Spesso i destini che nascono e si sviluppano nel corso di una guerra sono strani e conducono a situazioni impensabili. L’alpino Cavallini Federico, nato a Biella, classe 1883 era stato arruolato il 28 marzo 1904 nel 4° Reggimento Alpini, Battaglione “Aosta”, aveva svolto regolarmente il suo servizio militare fino alla data dell’8 gennaio 1905, quando veniva congedato in seguito a “rassegna di rimando” e gli veniva concessa dichiarazione di buona condotta. La “rassegna di rimando” era un procedimento adottato ogniqualvolta ci si trovava in presenza di inabili al servizio dichiarati tali dai medici civili: veniva nominata una commissione il cui compito era quello di redigere un minuzioso verbale, di essa facevano parte un ufficiale e due ufficiali medici. Le osservazioni principali della suddetta commissione venivano riassunte poi nella «dichiarazione Mod. 46», che era completata da una firma di approvazione da

parte dell’interessato, firma non si sa quanto consapevole ma in ogni caso ritenuta indispensabile dalla legge. Il giovane Federico, già sposato all’epoca del suo arruolamento, decideva, come molti altri a quel tempo di andare a vivere in Francia con la sua famiglia a svolgere la sua professione di “fornarino”. Ed era ancora in Francia all’atto dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Richiamato alle armi nel 1917, ligio al dovere, il Cavallini si presentò alla rivisita che lo definì idoneo al sevizio militare. Pertanto il 6 novembre di quell’anno fu riarruolato col grado di caporale con compiti

 nella sussistenza, forse legati alla sua passata inabilità alle armi definita quand’era ventenne. 

Ora una delle novità belliche più significative del primo conflitto mondiale fu la guerra sottomarina con cui la Germania  colpiva gli approvvigionamenti inglesi sulle rotte atlantiche e che fu la causa principale dell’entrata in guerra degli U

.S.A. con l’affondamento del piroscafo “Lusitania”. Non tutti sanno però che in minima parte questo modo subdolo e traditore di fare la guerra coinvolse anche il mar Mediterraneo. In realtà il blocco navale imposto da Francia ed Italia alla marina da guerra austroungarica in corrispondenza del canale d’Otranto stava tenendo. Per tutta la guerra la flotta imperiale solo in poche occasioni usci allo scoperto, prova ne sia che il mare Adriatico fu teatro di poche operazioni belliche, al di là degli atti di eroismo dei nostri MAS che culminarono con l’affondamento in acque libere della corazzata “Santo Stefano”.  Pertanto la navigazione nel Mediterraneo era ritenuta sufficientemente sicura. Così accadde che al caporale Cavallini, il giorno 11 maggio 1918, a sei mesi dalla fine del conflitto, nel porto di Messina,  fu ordinato di imbarcarsi sul piroscafo “Verona” alla volta della Libia  con altri 3000 soldati. Poco dopo la partenza in prossimità del porto di Reggio Calabria la nave venne silurata da un sottomarino tedesco che, forzato lo stretto di Gibilterra, aveva intrapreso la sua guerra pirata nelle nostre acque. Un mese dopo il sindaco di Biella riceveva dai comandi militari il triste annuncio, da trasmettere alla famiglia, della morte del caporale Cavallini Federico. E fu così che un alpino biellese morì lontano dalle sue montagne in un luogo che non avrebbe mai pensato neanche di vedere se i destini della guerra non l’avessero costretto.

Ringrazio Ermanno Sola che raccontandomi la storia di suo nonno mi ha fornito il materiale per la stesura di questo articolo.