L’ERESIA

DA GIOACCHINO DA FIORE A FRA DOLCINO

di Luigi Rigazzi

 “L’eresia è di per sé una grande cosa, e colui che difende la propria eresia è sempre un uomo che tiene alta la dignità dell’uomo. Bisogna essere eretici, rischiare di essere eretici, se no è finita. Voi avete visto che non è stata soltanto la Chiesa cattolica ad avere paura delle eresie. E’ stato anche il Partito Comunista dell’Urss ad avere paura dell’eresia, e c’è sempre nel potere che si costituisce in fanatismo questa paura dell’eresia. Allora ogni uomo, ognuno di noi, per essere libero, per essere fedele alla propria dignità, deve essere sempre un eretico”.

               Leonardo Sciascia – L’Ora, 9 maggio 1979

Per poter parlare di eresia, bisogna parlare prima dell’ortodossia, infatti senza l’affermarsi di un pensiero unico non può esserci l’eresia.

Il termine ortodossia viene dal greco όρθος,, retto, corretto e δόξα, opinione, dottrina.

Eresia, è un termine storico religioso e teologico che indica un movimento religioso, segnalato come deviante da un altro movimento religioso appartenente alla stessa tradizione religiosa, deriva dal greco αἵρεσις,, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω haiō, afferrare, prendere ma anche scegliere o eleggere.

Nel cristianesimo il termine eresia è assente nei Vangeli del canone, ma lo troviamo in At 5, 17; 24,5; 24,14; 28,5; 28,22, sempre ad indicare sette come i Sadducei i Farisei e i Cristiani, senza tuttavia accezione denigratoria. Soltanto con le Lettere, 1 Cor 11,19; Gal 5,20; 2Pt 2,1, il termine eresia comincia ad assumere un carattere dispregiativo e di separazione, perché è nata la Nuova Ecclesia. Fu Giustino di Nablus ad usare per la prima volta il termine eresia per combattere le varie correnti cristiane considerate da lui devianti.

Nel nuovo Codice di Diritto Canonico attualmente in vigore, promulgato nel 1983 da Papa Giovanni Paolo II, nel Libro 3 canone 751, si definisce eresia: l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa. Lo stesso codice parla di apostasia: il ripudio totale della fede cristiana, e di scisma: il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice. Dalla lettura delle tre definizioni emerge un dato importante: gli eretici non chiedono e non vogliono separarsi dalla Chiesa di Roma, come avvenne in particolare per gli eretici del medioevo. Gli Spirituali volevano riformare la chiesa e la religione cristiana dal di dentro, per riportarla al cristianesimo delle origini.

Nel XI secolo ebbe inizio la grande Riforma Gregoriana, che secondo gli storici mise fine al Saeculum Obscurum. Essa affermò il primato della Sede apostolica sui vescovi e sul clero altri principali obbiettivi furono la lotta contro il concubinaggio la simonia e le investiture. La Riforma, iniziata  nel 1046 sotto la guida dei papi tedeschi, fu conclusa da papa Gregorio VII. Nel 1075 Papa Gregorio emanò il documento Dictatus papae, in base al quale il papa diventa Vescovo dei Vescovi, Roma Caput Ecclesiae, tutti i credenti sudditi del papa. Dopo la grande riforma, alcuni grandi pensatori, come il benedettino Ruperto di Deutz, il vescovo Anselmo di Havelberg e Ildegarda di Bingen, elaborarono un’altra concezione apocalittica, sostituendo all’avvento del Cristo sulla terra l’avvento dell’opera dello Spirito Santo.

Alla fine del XII secolo, la visione profetica del Calavrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato, come lo appella Dante nel Canto XII ai versi 140 – 141, e le aspettative apocalittiche, influenzano  gli Spirituali di origine francescana. Essi volevano riformare la chiesa e approdare alla Ecclesia Spiritualis. L’attesa apocalittica si doveva al simbolismo contenuto nell’Apocalisse di Giovanni, con le sue visioni, i sette angeli, i sette sigilli, le sette trombe ecc. ecc., con la Parusia, il ritorno di Cristo. Questa visione della fine dei tempi fu Agostino il primo a elaborarla, senza però fornire una data precisa della fine dei tempi. La dottrina agostiniana venne sviluppata in seguito da Beda il Venerabile e Isidoro arcivescovo di Siviglia e influenzò tutta l’esegesi medievale.

Gioacchino da Fiore (1130 / 1202)

Gioacchino da Fiore in preghiera (Incisione in rame del 1589)

… e lucemi (d)a lato
il calavrese abate Gio(v)a(c)chino
di spirito profetico dotato.

Con questi solenni tre versi, nel canto XII, vv 139 –141 del Paradiso, Dante colloca nel cielo del Sole, fra i Dottori della Chiesa, lo scomunicato ed eretico Abate, da lui considerato un grande teografo perchéinsegnava la dottrina di Dio con le sue dotte speculazioni. Il tocco di grandezza del Sommo poeta è che lo fa presentare da San Bonaventura, in vita suo acerrimo nemico, sia personale che delle sue idee.

Per capire l’ammirazione di Dante per Gioacchino da Fiore basti pensare che le altre figure erano presentate sempre soltanto con il nome e qualche attributo, mentre per Gioacchino egli spende ben tre versi. Gioacchino nacque a Celico nel 1130, morì a Pietrafitta nel 1202. Figlio di una famiglia benestante (il padre era  notaio, bene introdotto alla corte Normanna), è attratto dalla vita religiosa sin da fanciullo. Dopo un viaggio in Oriente con una visita a Gerusalemme e a Bisanzio, al rientro nel 1152 entrò nel convento di Santa Maria di Sambucina. Nel 1168 prese i voti, e già era notissimo per i suoi studi biblici, con varie pubblicazioni al suo attivo. Nel 1177 fu nominato Abate del monastero di Corazzo, dove produsse avendo come scribi Frate Giovanni e Frate Nicola, alcune delle sue opere più importanti come la Cetra delle dieci corde, Interpretazione dell’Apocalisse e La Genealogia, opere che ebbero l’imprimatur di Roma. Nel 1182 si ritirò nell’abbazia di Calamari, per dedicarsi completamente allo studio dei testi biblici. Il 25 agosto del 1196, nel suo nuovo eremitaggio a Fiore sulla Sila, che da quel momento fu chiamata San Giovanni in Fiore, con l’approvazione di papa Celestino III fondò l’Ordine del Florensi. Nel 1200 sottopose tutte le sue opere all’approvazione  di papa Innocenzo III. Gioacchino morì il 30 marzo del 1202 a Pietralata. Nel 1225 il IV Concilio Lateranense,  condannò l’opinione che l’abate aveva del teologo Pietro Lombardo. Ma ai nostri giorni il suo ruolo nella Chiesa è certamente rivalutato.Secondo Riccardo Succuro: Gioacchino da Fiore – fondatore dell’Ordine Florense –  è un teologo della storia, un esegeta biblico ed un riformatore monastico. Nella  storia del pensiero cristiano, Gioacchino emerge all’interno del  gruppo di teologi della storia, i quali hanno cercato di fornire una ricostruzione complessiva dell’intero processo storico fondandosi sul messaggio biblico.

Le Tre Età della Storia Terrena.

Gioacchino, dopo una vita dedicata allo studio dei testi sacri, l’Antico Testamento, i Vangeli e in particolar modo l’Apocalisse di Giovanni, elaborò una esegesi della Storia del Tempo. Secondo il Grande Mistico, c’è stato un primo tempo in cui ha operato il Padre, un secondo tempo in cui ha operato il Figlio, e per forza di cose ci sarebbe stato un terzo tempo in cui avrebbe operato lo Spirito Santo, infatti nel quinto libro del suo testo Concordia Veteris et Novi Testamenti, Gioacchino scrive: Vi sono tre stati. Il primo stato è quello in cui fummo sotto il dominio della legge, il secondo quello in cui siamo sotto il dominio della grazia, il terzo, che attendiamo imminente, quello in cui sarà elargita una grazia più piena. Il primo stato visse nella conoscenza, il secondo nel possesso della sapienza, il terzo vivrà nella perfetta intelligenza. Il primo fu l’epoca della schiavitù, il secondo della servitù filiale, il terzo sarà il tempo della libertà. Il primo stato fu l’età appartenente al Padre, il secondo è l’età del Figlio, il terzo sarà l’età dello Spirito Santo. Così per Gioacchino abbiamo:

Lo Status del Padre, che seguendo la narrazione biblica va da Adamo ad Ozia, re di Giuda (784 – 746 a.e.v.);
Lo Status del Figlio, che va da Ozia all’avvento di Gesù secondo i Vangeli e si spinge oltre fino al 1260 e.v.;
Lo Status dello Spirito Santo, dal 1260, ovvero l’era in cui l’umanità, seguendo una vita di purezza e libertà, avrebbe goduto di una grande grazia.

Ora, secondo Gioacchino, Lo Status dello Spirito Santo si riferisce ad un Ordo Spiritualis Monachorum, una chiesa di spiriti superiori, sempre in seno alla Chiesa di Roma e non in alternanza. Questa visione profetica dell’avvento di un ordine spirituale, che governerà la Nuova Ecclesia, per cui la vecchia gerarchia ecclesiastica verrà soppiantata, per la Chiesa di Roma è una visione eversiva. L’Abate Calabresel’aveva espressa nel suo Tractatus super quattuor Evangelia, testo composto da tre trattati (Sermoni), opera rimasta incompiuta e scritta verso la fine della sua vita.Un’altra grande elaborazione di Gioacchino fu Il Monasterium, uno schema di vita religiosa per Lo Status dello Spirito Santo, elaborato nella tavola XII Dispositio novi ordinis (nel Liber Figurarum), suddiviso in sette oratori:

Oratorio della Santa Madre di Dio e della Santa Gerusalemme;
Oratorio di San Giovanni Evangelista (per la vita contemplativa);
Oratorio di San Pietro (per gli anziani i deboli, i malati);
Oratorio di San Paolo, (per lo studio);
Oratorio di Santo Stefano, (per la vita attiva);
Oratorio di San Giovanni Battista, (per il clero);
Oratorio del santo patriarca Abramo, (per i laici coniugati).

Tavola XII  Dispositio novi ordinis

Le figure del Liber, pensate e disegnate da Gioacchino in tempi diversi, vennero riunite assieme subito dopo la sua morte avvenuta ne 1202. Le figure illustrano in modo sublime il pensiero della sua teologia  trinitaria e l’esegesi delle concordanze tra Antico e Nuovo Testamento (Concordia Veteris et Novi Testamenti). Del Liber si conoscono a tutt’oggi tre esemplari, il Codice di Reggio Emilia, il Codice di Oxford e il Codice di Dresda. Le figure del Codice di Reggio Emilia sono state datate  verso la metà del XIII° secolo. Per gli esperti il Codice di Oxford è il più antico, in quanto disegnato tra il 1200 e il 1230, forse nello Scriptorium dell’abazia di San Giovanni in Fiore.

Questa concezione della vita a cui potevano partecipare tutti, laici e clero, coniugati e non, vivendo una vita spirituale sotto la guida di unAbate, strutturava la società  perfetta sulla terra come la Gerusalemme Celeste, affrancandola dalla feudalità laica e ecclesiastica. Questa profeziaviene spiegata nel Monasterium (Tavola XII Dispositio novi ordinis) Sino ad allora i laici erano stati sempre tenuti ai margini della società sia civile che religiosa. Il Tondelli nel suo Libro delle Figure dell’Abate Gioacchino da Fiore scrive: La forte influenza che il libro delle figure esercitò su Dante può essere una misura dell’influenza che esso, certamente con altri libri figurati, dové avere sulle concezioni e sulle speranze, popolari o d’elementi colti, al tempo di Gioacchino ed in tutto il secolo che lo seguì. Il Tondelli ci descrive cosi gli ultimi due Oratori: Sotto, a grande distanza ideale,fissata in cifre in tre  miglia vi sarà l’ordine o la famiglia dei sacerdotes et clerici che vogliono vivere nella purezza e nella vita comune: e più sotto, a distanza appena di tre stadi, l’ordine dei coniugati che accettino di vivere sub vita comuni, prendendo dalla comunità il vitto  ed il vestito e lavorando sotto la regola in obbedienza al padre spirituale  che loro presiederà.

Questo modello di società fu subito osteggiato dai Baroni e dalla Chiesa: infatti la complessa nuova teologia gioacchiniana non fu accolta da tutti, in particolare dalla Scuola di Parigi. Ma essa ebbe comunque alcuni grandi estimatori, che diffusero il pensiero di Gioacchino soprattutto presso i Francescani Spirituali sia in Italia che in Francia:

Luca Campano, scriba di Gioacchino a Casamari, poi Arcivescovo di Cosenza e biografo dell’Abate con una Vita di Gioacchino.
Raniero da Ponza, monaco, confratello di Gioacchino a Pietralata e a Fiore, fu legato Apostolico in Francia e in Spagna nominato da papa Innocenzo III, diffuse il pensiero di Gioacchino da Fiore in quelle terre.
L’abate Matteo da Fiore, primo successore di Gioacchino, guidò i Florensi dal 1202 al 1234. Fece copiare tutte le opere del grande Abate e le fece diffondere in tutta Europa.

Tavola XI Trinitarian  Cicles

Nonostante la condanna per eresia, le sue idee hanno influenzato da subito l’arte e la cultura in generale: lo riscontriamo nell’apparato figurativo del Duomo di Assisi e in Dante che lo cita diverse volte nel suo Paradiso. Il merito di questa riscoperta va allo studioso Reggiano professore Don Leone Tondelli e alle due studiose inglesi che collaborarono con lui nello studio del Liber Figurarum. Nel loro commento: Il libro delle figure dell’Abate Gioacchino da Fiore esse spiegano che molte delle allegorie della Divina Commedia furono ispirate dal Liber Figurarum dell’Abate Calabrese.Lo studioso francese Xavier Rousselot nel suo libro Joachim de Fiore, Jean de Panne et la doctrine de l’Evangile éternel, Parigi 1861, attribuisce a Dante una dipendenza dalle idee  di Gioacchino da Fiore

Un’altra delle figure che ispirarono Dante è senz’altro la tavola XI Trinitarian Cicles, da lui utilizzata in tre passi dell’opera: nel Canto XIV, nel Canto XXXIII, nel Canto XXXVI, perché,come scrive Carmelo Ciccia: Premesso che il cerchio è figura perfetta perché privo di principio e di fine, quindi ben adatto a simboleggiare Dio, […]Come si vede, ogni cerchio (Persona) comprende parti degli altri due, e tutt’e tre insieme costituiscono un’unica figura (Trinità)nella quale campeggia a caratteri cubitali il tetragramma IEUE. Nel Paradiso, Canto XXXIII, 115ss, Dante scrive: Nella profonda e chiara sussistenza dell’Alto lume parvemi tre giri di tre colori e d’una contenenza; e l’un dall’altro, come Iri da Iri, parea riflesso, e il terzo parea foco, che quinci e quindi igualmente si spiri. Secondo il Professore Don Tondelli, Dante ha davanti un codice miniato antecedente al suo, forse il Codice di Oxford. Anche Michelangelo se ne ispirò per affrescare la Cappella Sistina, come afferma il teologo Heinrich Pfeiffer S.I., in un suo articolo in Civiltà Cattolica 20 maggio 1995 anno 146 quaderno 3478 pp 375ss.: in ogni sequenza dei quadri della Cappella Sistina, Michelangelo si ispirò alle figure alle persone ai tempi ai patriarchi ai profeti alle donne dell’Antico Testamento, fino al quadro del Giudizio Universale secondo il  testo della Concordia veteris et novi testamenti. Del Liber figurarum parla nella sua Cronaca Fra Salimbeni de Adam da Parma, frate minore, seguace di Gioacchino e quasi suo contemporaneo, scrive: Nel Libro delle figure, come ben di sovente ho letto, egli (Gioacchino da Fiore n.d.a.) descrive il sorgere di sette Ordini appresso il crollo rovinoso dell’Anticristo. Alcune tesi di Gioacchino da Fiore come abbiamo visto furono dichiarate eretiche nel 1215 dal concilio Lateranense IV, ma sin da subito i suoi confratelli e larga parte delle persone considerarono l’Abate Calabrese un santo e un taumaturgo. Gli erano stati  attribuiti miracoli anche da vivo. Dante collocò l’Abate Calabrese nel suo paradiso appellandolo beato, perché conosceva l’aureola che circondava il grande mistico e per l’incipit della sua terzina: di spirito profetico dotato, usa l’antifona che i confratelli di Gioacchino cantavano nei vespri in onore del loro santo. Nel 1220  papa Onorio III cercò di riabilitarlo con una bolla che recitava: Affinché per tutta la Calabria si annunci pubblicamente che l’Abate Gioacchino è un uomo cattolico, non eretico, ma Gioacchino aveva moltissimi potenti nemici, come il Buonaventura da Bagnoregio o Pietro Lombardo.La Chiesa Cattolica contemporanea sin dal Concilio Vaticano II, con Papa Giovanni XXIII, invocò l’avvento di una Ecclesia Spiritualis, una nuova Chiesa Pentecostale, in sostituzione della vecchia chiesa. Anche il cardinale Lercaro e il suo teologo Don Giuseppe Dossetti invocarono una Chiesa dei Poveri, concetti espressi da Gioacchino da Fiore, dai Fraticelli Spirituali e da Papa Celestino V, il papa del grande rifiuto. Nel 2002 il cardinale Carlo Maria Martini, nel suo testamento spirituale Verso Gerusalemme, definì Gioacchino Da Fiore il più grande profeta del secondo millennio. Anche Joseph Aloisius Ratzinger (futuro Benedetto XVI), nella sua tesi di laurea del 1955, sul francescano San Buonaventura da Bagnoreggio, scoprì che  c’era un legame fra le teorie del Buonaventura con quelle di Gioacchino da Fiore, che aveva profetizzato l’avvento imminente dello Status dello Spirito Santo, di una Chiesa Spirituale e povera. Un altro grande studioso di Gioacchino da Fiore fu il Professore Don Ernesto Buonaiuti, che quando nel 1924 fu scomunicato e gli fu vietato l’insegnamento, ebbe il permesso di dedicarsi agli studi su Gioacchino da Fiore. Egli divenne uno dei più grandi esperti dell’Abate Calabrese, sul quale scrisse un libro: Gioacchino da Fiore, i tempi, la vita, il messaggio,e uno studio: Prolegomeni alla storia di Gioacchino da Fiore, in Ricerche Religiose, 4, 1928. Lavori validi ancora oggi. Nel 1936 Don Pietro Ferraboschi, su incarico del Vescovo di Reggio Emilia, catalogò una cassa di libri antichi e si trovò per le mani due manoscritti interamente miniati (figurati). Il Vescovo li consegnò al Professore Don Leone Tondelli che capì subito trattarsi del Liber figurarum di Gioacchino da Fiore. Il Tondelli capita l’importanza della scoperta, inizia una fitta corrispondenza con i più eminenti studiosi di Gioacchino da Fiore, in particolare con il Professore Don Ernesto Buonaiuti: (allora uno dei più grandi conoscitori ed esperti del pensiero dell’abate Calabrese). Il Tondelli, dedicò il resto della sua vita allo studio del manoscritto, che risulta essere una delle tre copie esistenti al mondo, e nel 1940 assieme a due studiose inglesi lo pubblicò nell’edizione in due volumi: Il Libro delle figure dell’Abate Gioacchino da Fiore, S.E.I, Torino, 1940, il frutto dei suoi studi cambierà per sempre la conoscenza della visione profetica dell’Abate Calabrese e del rapporto di Dante con il Grande Mistico Calabrese. Come scrisse Ugo Gualazzini, nel suo saggio “Il Medievalista”, non tutti i critici furono d’accordo con le tesi del Tondelli, sia che il Liber fosse di Gioacchino, sia che avesse influenzato il grande Poeta per la sua opera. Lo stesso Tondelli nella prefazione alla seconda edizione del Il libro delle figure dell’abate Gioacchino da Fiore” del 1953, scriveva: Molti approvarono le nuove interpretazioni ed ammisero rapporti di pensiero o di immagini tra la Commedia ed il Libro delle figure: alcuni questi contatti rifiutarono: altri li ignorarono o mostrarono di ignorarli, specialmente tra gli eredi della scuola del Barbi. Fra i negatori ricorderò il Pastonchi, il compianto G. Bertoni, F. Maggini, il cui giudizio grava ancora sui chiusi Studi danteschi. […] Fra i favorevoli Papini, il Calcaterra che additò sovente il libro agli studenti dell’Università bolognese, G. Mazzoni, E. Buonaiuti che rispose vivacemente al Pastonchi, il P. Buri della Civiltà Cattolica, C. Colombo, E. Galli, G. Pepe, il Grabher ed il Castellino, nei loro commenti a Dante… hanno riconosciuto più o meno profondamente nel Poema dantesco l’influsso dei simboli gioacchimiti. (Dopo otto secoli, finalmente nel 2001 il vescovo di Cosenza-Bisignano mons. Giuseppe Agostino, ha fatto riaprire il processo di beatificazione. Scrive Gian Luca Podesta:“Esegeta del testo biblico, Gioacchino dette forma ed espressione a una simbolica teologica e a un’ermeneutica storica complesse, con ampio ricorso a figure e diagrammi. Per quanto privo di tratti spiccatamente politico-civili, il suo profetismo apocalittico, destinato a permeare di sé la modernità, dà origine a una profonda riflessione sulla storia e sul futuro della Chiesa e della società. La meditazione dell’abate calabrese e dei suoi seguaci – per le implicazioni che da essa scaturiscono – si articola attraverso la ‘tradizione’ italiana, fino a divenire, a partire dall’ultimo decennio del 15° sec., un punto di riferimento significativo per molti pensatori.”

Gherardino Segalello o Gherardo Segarelli  (1260 / 1300).

Il libertario di Dio

La condanna al rogo di un eretico inglese  nel 1495

La Chiesa di Roma sin dalla fine del primo millennio e l’inizio del secondo combatte strenuamente in tutta Europa e in Italia settentrionale vari movimenti considerati eretici. Il Francescanesimo Spirituale era già presente sin da quando era ancora vivo San Francesco. Nel 1274 si assiste a una scissione, poichéla fazione più rigorista voleva vivere secondo lo spirito originario del movimento, in piena povertà, seguendo alla lettera quanto si legge nel Vangelo di  Luca 9,3: Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno, e in Atti 2,44ss: Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune;chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Questo movimento veniva chiamato degli Zeloti, o Zelanti. Vent’anni dopo nel 1294, Papa Celestino V  autorizzò questa corrente a  staccarsi dai Conventuali e a prendereil nome di Poveri eremiti di Celestino e in seguito di Fraticelli della Povera vita. Le prime guide spirituali furono Pietro da Macerata poi chiamato Fra Liberato e Pietro da Fossombrone poi chiamato Angelo del Clareno. Questi frati erano seguaci delle teorie di Gioacchino da Fiore che preannunciava l’avvento di una nuova era, la nascita di una nuova Ecclesia guidata da uomini spirituali. Essi confidavano che, se avessero seguito alla lettera il messaggio originale di San Francesco, sarebbero stati loro le guide per la Terza Età o Terzo Stato profetata dall’Abate Calabrese, e si convinsero che questa ultima età, cioè l’era dello Spirito Santo, era iniziata già dal1260, data profetizzata da Gioacchino da Fiore. Gherardino Segalello nasce a Segalara vicino all’odierna Orzano Taro nel parmense nel 1240 da una famiglia poverissima che lo manda sin da bambino a fare il guardiano di maiali. Nel 1260 incontra dei barba, discepoli di Valdesio detti i poveri di Lione, in Italia chiamati i poveri lombardi. Gherardo viene conquistato da questa gente e decide di entrare in convento nell’ordine dei Frati Minori nel mese di novembre del 1260, come apprendiamo dall’unica fonte coeva, la Cronaca di Fra de Adam Salimbeni da Parma, che scrive: Quando io abitavo, nell’Ordine dei Frati Minori, nel convento di Parma e già ero sacerdote e predicatore, capitò un giovanotto nativo della città, di famiglia molto in basso: illetterato e laico, idiota e stolto. Aveva nome GerardinoSegalello. E domandava ai frati Minori d’esser ricevù in de l’Orden. Non fu esaudito. La fonte storica della Cronaca del Salimbeni va presa con le molle, perché, mentre egli difende i conventuali,  secondo lui i soli deputati a seguire la regola di Francesco, è un nemico giurato dei Fraticelli spirituali e di tutti i movimenti che si rifanno a una povertà assoluta. Quando parla di loro è sempre sprezzante, usa toni e frasi poco gentili, li appella: idioti, porcari, illetterati, bighelloni, però non può fare a meno di dirci che la gente in massa segue il Gherardino, e che gli Apostolici raccolgono più elemosine del suo ordine approvato dalla Chiesa. Gherardino ricevuto il rifiuto di ammissione, decide di fondare lui stesso un ordine nuovo che prende nome di Apostolici, perché si rifà ai primi apostoli, quelli che a suo avviso hanno messo in pratica quanto predicato da Gesù. Il suo primo atto fu di spogliarsi di tutto, indossare un mantello bianco sulle spalle e, come aveva fatto Valdesio a Lione e Francesco in Assisi, vendette una sua piccola proprietà. Poi salì sulla pietra al centro di Parma da dove il Podestà della città parlava al popolo, e iniziò a gettare tutte le monete ai passanti che in quel momento si trovavano davanti a lui. Sempre il Salimbene denigra tale gesto con queste parole: E tenendosi in mano il suo sacchetto di denari, non li distribuì in dono ai poverelli né si fece affabile verso la turba dei mendicanti, ma chiamò dei ribaldi che ivi appresso giocavano in sulla piazza, e li sparpagliò tra loro, dicendo ad alta voce:<<Chi ne vuol tor, ne tolga e se li tenga!>>. Raccattarono prontamente sì quei denari, i ribaldi, e se ne andarono a giocarli ai dadi. E biastemavano Iddio vivente. Si lascia crescere la barba e capelli e con il saio indosso inizia a predicare, attacca la chiesa per lui corrotta, gli ordini conventuali, predica la povertà assoluta, affermando che ognuno si può rivolgere a Dio senza intermediari, e che uomini e donne sono uguali, affermazioni che lo mettono da subito in contrasto con le autorità ecclesiastiche. Gli Apostolici, con il loro esempio e con la loro predicazione ,iniziarono ad avere un grande seguito. Vivevano di elemosina e non accumulavano beni, in cambio davano assistenza agli ammalati e ai bisognosi. Per essere accettati fra gli Apostolici come pauperes Christibisognava spogliarsi di tutto, anche con gesti simbolici, e sempre il Salimbeni ci descrive la scena di affiliazione in modo canzonatorio, caricaturale, ridicolo, per condannare al disprezzo il Segalello e i suoi seguaci: …si dispogliava ignudo e fece spogliare tutti gli altri, fino a che rimasero scoverti, senza brache o alcun velame, anche i membri genitali. E si stavano appoggiati al muro, l’uno appresso all’altro, tutto intorno, in una successione scomposta e desonesta e brutta. Li voleva espropriare, onde da quell’ora innanzi seguissero nudi Cristo nudo. Ma come osserva  Tavo Burat: Ma a ben osservare il comportamento di Gherardino, questi ci appare invece come un riformatore, originale sì, ma non “stolto” e sprovveduto. Egli era indiscutibilmente dotato di una straordinaria capacità comunicativa, riuscendo a “far passare” messaggi tutt’altro che banali e facili in una popolazione di analfabeti, e quindi formatasi su una cultura meramente orale e “visiva”. Il gesto della vendita della casa e conseguente distribuzione dei denari ai passanti è coerente con quanto ordinato da Gesù in Mt 19,21ss: Gli disse Gesù:<<Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi>>. Anche l’aver gettato il denaro senza curarsi di chi lo prendesse, è un gesto radicale: a lui non interessava chi se ne appropriava, ma il fatto che da quel momento lui stesso non avrebbe più posseduto denari o vesti, distaccandosi dai beni terreni. Non c’è dubbio che Gherardino fosse un uomo carismatico, capace e grande riformatore, poiché aveva liberato il Cristo di ogni sacralità lo aveva restituito al popolo e alla gente comune.La Chiesa comincia a capire il pericolo e  la potenzialità di questo messaggio e passa subito ai ripari. Gregorio X il 17 maggio del 1274 con il Concilio di Lione, con il  canone Religionum diversitatem nimiam, proibì la costituzione di qualsiasi nuova congregazione, obbligando quelle non riconosciute a confluire in ordini riconosciuti. Gherardino non sottostà all’ordine del Concilio, e per gli Apostolici iniziano le persecuzioni: essi sono tacciati di eresia per la prima volta nel 1286 con la bolla di Papa Onorio IV Olim felicis recordationis, poi dal concilio di Wurzburg del 1287, che ribadiva la condanna del loro movimento e in fine nel 1290 da papa Nicolò IV. Gherardino nel 1287 è imprigionato per la prima volta a Parma e tradotto nelle carceri cittadine, ma viene fatto scarcerare dal vescovo Obizzo San Vitale, forse un suo ammiratore. Nel 1294, di nuovo arrestato, non potendo più contare sulla protezione del vescovo Obizzo trasferito a Ravenna, viene processato e condannato all’ergastolo, ma riesce a fuggire, mentre quattro suoi confratelli due uomini e due donne vengono mandati al rogo. Nel 1300 è di nuovo arrestato el’inquisitore il domenicano Manfredo da Parma dopo il processo lo condanna a morte e lo invia al braccio secolare che lo mette al rogo il 18 luglio del 1300 a Parma in Piazza Duomo. Fra la gente che assiste impotente al suo supplizio c’è il giovane Dolcino da Novara, che da lì a poco ne prenderà l’eredità spirituale. Come scrive lo studioso Andrea Moneti: La cosa che più colpisce, leggendo i processi contro gli Apostolici negli anni a cavallo tra fine Duecento ed il Trecento, compreso quello del Segalelli, che decretò la sua condanna al rogo, è che non si possono individuare accuse specifiche e tali che, sulla base del diritto canonico e dei decreti pontificali, potessero far delineare apertamente il reato di eresia, come, ad esempio, per il dualismo dei catari. Il movimento degli apostolici, infatti, non aveva una vera e propria dottrina e non proponeva particolari letture e interpretazioni del Vangelo, se non un rapporto più coerente con il primitivo messaggio cristiano.[…] Quella di Gherardo è invece un’apertura al mondo dei laici: tutti possono annunciare Dio senza bisogno di prendere voti (con duecento anni di anticipo rispetto al sacerdozio universale predicato da Martin Lutero). […]La “Chiesa” di Gherardo è una chiesa che cammina nel mondo a fianco del povero e dell’emarginato; professa un Dio accondiscendente verso tutti coloro che vivono in povertà e a imitazione di Cristo. In altre parole è il Vangelo “sine glossa“, il Vangelo di Francesco, senza compromessi, da qui la rinuncia a ogni pur minima forma di accumulazione e la comunione dei beni, il rifiuto di qualsiasi gerarchia nella comunità apostolica, e l’eguaglianza tra uomini e donne, così ben sintetizzato nel rito apostolico della expoliatio o expropriatio a cui dovevano sottostare i nuovi fedeli.

Fra’ Dolcino in un’immagine di Lorenzo Innaciotti di Romagnano Sesia

 

Fra Dolcino da Novara. 1250 / 1307

                   

« Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,

sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve. »

        Dante Alighieri – Inferno XXVIII 54,60

Il 18 luglio 1300 Gherardino Segalello salì sul rogo a Parma, nonostante fosse iniziato il Primo Giubileo Cattolico,  la grande festa del perdono. Lasciava un gran numero di seguaci, fra di loro Dolcino da Novara, che prese la guida del movimento, riuscendo a riorganizzarlo e a dargli una nuova struttura. Dolcino nacque a Prato Sesia vicino Vercelli verso il 1250. Secondo alcune fonti il suo vero nome era Davide Tornielli, ma di questi uomini perseguitati e arsi vivi non abbiamo testimonianze dirette, bensì soltanto quelle dei loro nemici, che con atti pubblici o cronache del tempo hanno sempre cercato di presentarli come dei reietti e  dei fannulloni. Dolcino non sfugge a questa regola. Divenuto seguace del Segalello verso il 1291, Dolcino non era un illetterato: da alcune fonti si apprende che sin da bambino fu affidato per lo studio al maestro Syon, professore di grammatica ma che ben presto fuggì e si rifugiò nel Trentino, perché accusato di furto nei confronti del suo tutore.

L’autore della fonte anonima Historia fratris Dulcini heresiarchae scrive: Dulcinus, filius presbiteri Julii, l’inquisitore Bernardo Gui, nella sua opera: De secula illorum qui se dicunt esse de ordine Apostolorum, scrive: spurius filius sacerdotis. Studi più recenti hanno forse messo fine a questa diatriba: l’Orioli nel suo Venit perfidus heresiarcha, Il movimento apostolico dolciniano dal 1260 al 1307, Istituto Storico Italiano per la Storia del Medioevo, Roma 1989, afferma che Fra Dolcino è discendente di Julio Presbitero o Presbiteridella Valsesia, famiglia ghibellina imparentata con i Tonielli, perciò la causa della fuga di Dolcino secondo l’Orioli si deve soltanto alla sua appartenenza alla fazione dei ghibellini, fuga che le fonti cattoliche dell’epoca inquinarono accusandolo di furto. Dolcino, alla morte del Segalello nel 1300, ne prese il posto e fu costretto a fuggire con tutti i suoi seguaci. Come primo atto scrisse la sua prima lettera indirizzata a tutti gli Apostolici. Lettera   che diventò il programma del movimento, dove Dolcino si presenta come guida profetica e capo carismatico. Si sa che Dolcino scrisse tre lettere, considerate delle vere e proprie  encicliche. Si conosce parzialmente il contenuto riassunto della prima, perché ci è pervenuta sempre tramite l’inquisitore Bernando Gui dagli atti del processo. Dolcino dichiara pubblicamente che gli Apostolici, sono stati inviati da Dio, saranno i soli salvati, mentre tutto il clero, tutti gli ordini, tutti i tiranni saranno sterminati. Il loro movimento sarà ancora perseguitato, ma alla fine rimarranno solo loro perché  Pauperes Christi – Poveri diCristo. Dolcino elabora una nuova teoria sulla spartizione della Storia del Tempo. Alla visione gioacchiniana che prevedeva una suddivisione della storia in tre epoche, Dolcino ne aggiunge una quarta e le denominaGradi di Santità”, così articolati:

Primo Status dei patriarchi, dei profeti e dei giusti;
Secondo Status, dalla venuta di Gesù con i suoi Apostoli e tutti i discepoli, questa età durò sino al tempo di Papa Silvestro e dell’Imperatore Costantino;
Terzo Status, dall’avvento di San Francesco e San  Domenico, perché avevano rinunciato ai beni terreni;
Quarto Status, da Gherardino Segalello, perché aveva  reintrodotto la regola della povertà, i frati minori e i domenicani avevano abbandonato la via dettata dai loro fondatori. Questo stato durerà sino alla fine dei giorni.

Dolcino afferma che la sua profezia si sarebbe compiuta entro l’agosto del 1303, e l’esecutore del volere divino, cioè il distruttore di tutti i nemici degli Apostolici, sarebbe stato Federico III d’Aragona, e che papa Bonifacio VIII sarebbe stato ucciso  da Federico III d’Aragona. E’ sempre l’inquisitore Bernardo Gui a riportare la profezia di Fra Dolcino della terza lettera di cui non si conosce il contenuto: Nel 1305 Federico diventerà imperatore; nominerà dieci re; papa, cardinali e tutti gli altri religiosi periranno ad eccezione di coloro che appartengono agli Apostolici e lui medesimo. Dolcino, sarà posto sulla sede di San Pietro. Sempre dalla prima letteraarrivata sino a noi, perché conservata nel fascicolo di Bernando Gui, Dolcino spiega l’avvento della sua era messianica, alla luce dei capitoli 1 – 3 della Apocalisse, e così per lui gli angeli inviati alle chiese sono:

L’angelo della chiesa di Efeso: Benedetto e il suo ordine;
L’angelo di Pergamo: papa Silvestro e il clero del suo tempo;
L’angelo di Laodicea (Ap 3,16-17): Domenico e il suo ordine;
L’angelo di Sardi: Francesco e i suoi frati minori;
L’angelo di Smirne (Ap 2,9-10): Gherardino Segalello, fatto uccidere dai domenicani;
L’angelo di Tiatira (Ap 2,19,28): Fra Dolcino stesso;
L’angelo di Filadelfia: il papa Santo non più eletto da cardinali, ma scelto da Dio stesso. Il successore di  Bonifacio VIII sarebbe stato Dolcino stesso.

Nel 1303, morto papa Bonifacio VIII ed eletto Benedetto XI, ripartono i processi contro gli Apostolici, a Bologna viene mandato  al rogo Fra Zaccaria di Sant’Agata. Dolcino si reca con tutti i suoi seguaci che sono circa 4000 in Trentino, forse chiamato dal fabbro Alberto da Cimego. Nella sua casa Dolcino scrisse la sua seconda lettera. Nel 1304 è costretto a lasciare il Trentino e passare in Lombardia e proseguire per il Piemonte. Si fermano a Gattinara e a Serra Valle Sesia.  Il movimento di Fra Dolcino sino a questo momento è stato totalmente pacifista, come lo era stato quello di Segalello, e come furono quasi tutti i movimenti considerati ereticali, che diventarono violenti solo quando furono attaccati duramente. In Val Sesia gli Apostolici si trovarono a predicare una chiesa povera ai contadini che già da molti anni erano in lotta con le baronie sia ecclesiastiche, quali il vescovo di Vercelli e il vescovo di Novara, sia con la potente famiglia dei Conti Biadrate. Le lotte per riscattarsi dalle servitù feudali ebbero inizio dal 1207 / 1217, quando si tentò di costituire dei governi autonomi. Anche questa volta Dolcino è chiamato dal capo della rivolta locale, Milano Sola di Campertogno. Gli interessi degli Apostolici e dei contadini sono gli stessi, sono perseguitati  gli uni e in lotta gli altri contro gli stessi attori, le famiglie baronali e i vescovi locali.  Nel 1305 papa Clemente V su richiesta dei vescovi di Vercelli e Novara indice la crociata contro Dolcino in Valsesia. Il papa  invia tre bolle datate 7 settembre 1306, una agli inquisitori lombardi, una a Ludovico di Savoia signore del Vaud, l’ultima all’arcivescovo di Milano. Alla Crociata rispondono i baroni e i vescovi del centro e nord Italia e del nord Europa. Dolcino e i suoi, come già detto, non erano avvezzi all’uso delle armi, mentre i valleggiani  erano combattenti coriacei che da sempre lottavano con le armi a loro più congeniali come l’arco, perché provetti cacciatori, e con i coltelli. Ranieri Avogadro di Pezzana,signore di Biella e vescovo di Vercelli, assoldò  quattrocento balestrieri genovesi assai provetti. Dolcino e i suoi alla lotta armata contro un esercito ben fornito e ben armato offrirono la loro diligenza, mentre i forti e coriacei montanari la loro esperienza nell’uso delle armi e la conoscenza dei luoghi. Tutta la storiografia sia ecclesiastica sia laica da subito non ha voluto accettare l’idea che Dolcino fosse stato aiutato dalle popolazioni autoctone, idea che gli studi dalla fine dell’800 e del ‘900 hanno dimostrato falsa, per il semplice motivo che in quei luoghi di alta montagnanel basso Medioevo le strutture sociali erano tribali, e tutta la società si muoveva compatta. La lotta contro Dolcino e i montanari si può distinguere in due crociate, la prima dal 1305 al 1306 in Valsesia, fallita e che Dolcino e i suoi riuscirono a contrastare, la seconda dal 1306 al 1307, dove i crociati si riorganizzarono e riuscirono a spingere gli insorti nel Biellese sul monte Rubello. Qui gli insorti erano soli, non avendo referenti locali e furono stremati dalla fame e dal freddo per l’inverno particolarmente rigido. L’ultima grande offensiva dei crociati  fu lanciata il venerdì santo tra il 22 e il 23 marzo. Gli ultimi resistenti furono massacrati e Dolcino con la sua donna Margherita da Trento e Longino Cattaneo da Bergamo suo luogotenente furono fatti prigionieri e l’indomani sabato santo furono trascinati in catene al castello di Piazzo, a Biella. Trascorsero tre mesi nell’attesa della decisione di Clemente V, che infine li fece giudicare dal tribunale dell’inquisizione. Fu chiesto più volte a Dolcino e ai suoi sventurati amici di abiurare, ma loro tennero testa ai loro carnefici e furono consegnati al braccio secolare e salirono sul rogo. Dolcino fu costretto ad assistere al rogo di Margherita in riva al torrente Cervo. Dolcino fu suppliziato con tenaglie roventi che gli strapparono le carni; mentre veniva portato in giro per le strade di Vercelli, non emise mai un lamento se non quando fu evirato, alla fine fu posto sulla pira per essere arso vivo: era il 10 giugno del 1307.  La vicenda di  Dolcino e i suoi seguaci suscitò grande stupore e risonanza tra i suoi contemporanei. Come abbiamo visto, lo stesso Dante, facendo una cronaca esatta degli avvenimenti del Monte Rubello, mette in bocca a Maometto, condannato nel girone dei seminatori di discordia e non tra gli scismatici una profezia: «Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,tu che forse vedra’ il sole in breve, s‘ello non vuol qui tosto seguitarmi, di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, ch’altrimenti acquistar non saria leve.» (Inferno, Canto XXVIII, 54,60). Quasi tutti i commentatori della Divina Commedia hanno affermato che Dante ha avuto un occhio particolare e della simpatia per la vicenda di Fra Dolcino. Forse bisognerebbe tener conto del fatto che tra il 1287 e il 1289 Dante ebbe probabili contatti con il francescano Pietro di Giovanni Olivi (1248 / 1298), predicatore e teologo francese, uno dei capi della corrente degli Spirituali, aderente alle tesi di Gioacchino da Fiore,  che insegnò teologia presso il convento francescano di Santa Croce a Firenze. Gli Apostolici sonol’unico movimento eretico ad essere  citato nella Divina Commedia.

Simbolo dell’inquisizione

Storia delle inquisizioni.

La storia della lotta alle eresie, con relativi massacri per le crociate indette e per l’opera incessante dei tribunali dell’inquisizione, parte da molto lontano. Raccontando la Storia di Gioacchino da Fiore, di Gherardo Segalello e di Fra Dolcino da Novara, ho soltanto voluto soffermarmi su tre dei personaggi che per la loro storia sono arrivati sino a noi segnati da luci ed ombre, sempre perché la storiografia o gli atti erano di parte e negativi nei loro confronti. Come vedremo, le persecuzioni per i pagani e gli eretici iniziarono fin da quando, con l’editto di Tessalonica del 380 dell’imperatore Teodosio, l’impero diventò uno stato confessionale. L’editto prevedeva anche le pene per chi non si convertiva alla religione cristiana. Con editti successivi fu introdotta la pena di morteper chi veniva riconosciuto eretico. Una delle vittime più illustri fu la filosofa paganaIpazia, che nel 415 ad Alessandria d’Egitto fu massacrata dai Monaci Parabolani. Un altro episodio che destò enorme impressione fu la cattura nel castello di Monforte d’Alba dei feudatari e di tutta la popolazione convertiti alla fede Catara, da parte del vescovo di Milano Alberto da Intimiano coadiuvato dal vescovo di Asti Alrico. Tutta la popolazione fu deportata a Milano, sottoposta ad interrogatorio e, non avendo voluto abiurare la loro fede Catara, furono tutti condannati al rogo. Fu il Concilio Lateranense III ad approvare le prime misure inquisitoriali e il Concilio Lateranense IV del 1215 a istituzionalizzare l’inquisizione. Il termine inquisizione nei documenti ufficiali compare per la prima volta negli atti del Concilio di Tolosa del 1229. Secondo gli storici l’inquisizione si può dividere in tre fasi:

Inquisizione medievale dal 1179 a metà XIV secolo, alle dipendenze dirette del papa;
Inquisizione spagnola dal 1478 al 1820 e Inquisizione portoghese dal 1536 al 1821, alle dipendenze dei rispettivi sovrani;
Inquisizione romana (Sant’Uffizio) dal 1542 sino ai nostri giorni l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede, con un suo tribunale permanente.

Papa Innocenzo III il 25 marzo del 1199, con la  bolla Vergentis in senium, modifica il reato di eresia da religioso a crimine contro lo stato, coinvolgendo gli apparati degli stati nella lotta alle eresie a fianco della Chiesa. Papa Innocenzo IV il 15 maggio 1252 introduce l’uso della tortura con la bolla Ad extirpanda. Si deve tuttavia aspettare la fine del 1900 perché la Chiesa faccia ammenda dei suoi misfatti. E’ Papa Giovanni Paolo II a indire in Vaticano dal 28 al 31 ottobre 1998 un Simposio per fare il punto sulla Storia dell’Inquisizione, in vista del giubileo del 2000, quando avrebbe chiesto perdono per le atrocità commesse dalla Chiesa nei secoli passati. Alla conferenza parteciparono circa cinquanta storici e prelati chiamati a fare luce sull’inquisizione. Si scontrarono due correnti: una di tendenza revisionista mitigatoria, l’altra appoggiata dal papa che vuole  la verità sui secoli bui delle persecuzioni. Il Pro-teologo della casa Pontificia Georges Cottier cita alla lettera le parole di Giovanni Paolo II: E’ l’ora di affrontare a viso aperto i fenomeni che hanno sfigurato il volto della Chiesa […] e che sono diventati contro-testimonianza e scandalo. Più esplicito il Cardinale Roger Etchegaray: Non muta il carattere ecclesiastico dell’inquisizione, perché (certi) poteri di intervento e di controllo furono riconosciuti a quei sovrani, in forma espressa o tacita, dal papato stesso e perché ecclesiastica fu la giurisdizione esercitata dagli inquisitori nei processi in materia di fede. Uno dei revisionisti che ha cercato di ridimensionare la portata delle esecuzioni delle varie inquisizioni è stato Agostino Borromeo, Preside dell’Istituto Italiano di Studi Iberici, che nella sua relazione riduce a qualche centinaio le condanne a morte dei tribunali italiani e spagnoli dell’inquisizione. Giovanni Paolo IIchiese perdono il 12 marzo del 2000 durante la Giornata del perdono. La storia delle persecuzioni  degli eretici è stata una della pagine più buie della storia dell’Europadove furono perpetrati i più grandi crimini collettivi della storia, contro: catari, valdesi, beghini, spirituali, movimento del libero spirito, albigesi, umiliati, apostati, lollardi, poveri predicatori, hussiti, taboriti, fratelli boemi, convertiti, apostolici, ebrei, ebrei neri, ebrei bianchi, musulmani, protestanti, marrani (conversos), nestoriani, induisti, blasfemi, sodomiti, streghe, illuse, illudenti, bigami, superstiziosi, anabattisti, criptogiudei, criptomusulmani, pagani, illuminati, scismatici, peccatori di magia, sortilegi, divinazione, abuso di sacramenti, disprezzo delle Chiavi, studiosi, medici, alchimisti, atei, oppositori politici, filosofi, matematici, scienziati, per la maggior parte mandati ai roghi o massacrati durante le varie crociate. Facendo il salto di qualche secolo una delle figure più illustri finita nelle maglie dell’inquisizione fu Giordano Bruno, incarcerato per anni e più volte torturato, il 17 febbraio del 1600 a Piazza de’ Fiori a Roma, con la lingua in giova – serrata da una morsa perché non possa parlare, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere. Alla lettura della sentenza ascoltata in ginocchio, Giordano Bruno si alza e rivolto ai suoi carnefici indirizza loro la storica frase: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla»). E’ ancora oggi impressionante quello che si leggeva nel Manuale degli inquisitori di Nicolau Eymerich: Bisogna ricordare che lo scopo principale del processo e della condanna a morte non è salvare l’anima del reo, ma terrorizzare il popolo. Bisogna dire che non fu soltanto la Chiesa Cattolica a perseguitare gli eretici, accesero roghi i seguaci di Lutero dopo la riforma, accesero roghi gli Anglicani nel Regno Unito, dopo la scissione da Roma. Perciò fu una piaga vergognosa che ha attraversato tutta l’Europa e tutti i cristianesimi. Forse si deve anche al sacrificio di tutti questi uomini e queste donne che morirono per le loro fedi, se oggi  tutte le libertà sono sancite e riconosciute dalla “Dichiarazione universale dei diritti umani,” firmata il 10 dicembre 1948, che al primo articolo recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”; all’articolo cinque: Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti; e all’articolo 18: Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti. Ma, nonostante oggi si sia arrivati a dichiarare che ogni individuo è libero di professare la sua religione, siamo certi di una cosa: dove nasceranno pensieri unici li ci saranno sempre perseguitati per eresia. A tal propositoscriveva San Tommaso d’Aquino: Hominem unius libri timeo (Temo l’uomo di un solo libro).