Nato a Ravenna nel 1902. Volontario nella grande guerra, a 15 anni è tra gli arditi del Piave e poi tra i legionari di Fiume.

A soli 13 anni viene espulso da tutte le scuole del regno per aver preso a pugni un professore. Non si scompone molto per questo fatto e a 14 anni scappa di casa per andare a combattere nella prima guerra mondiale ma i carabinieri lo rispediscono a casa. L’anno seguente ci riprova e riesce ad entrare negli Arditi.

Al fronte si distingue per le imprese spericolate e per la sua audacia. Si rende famoso un giorno quando il reparto di 800 uomini al quale appartiene viene mandato a formare una testa di ponte sulla riva di un fiume da attraversare. Il suo gruppo riesce nell’impresa ma quando alla fine arriveranno i rinforzi degli 800 partiti ne rimangono solo 23, tra i quali Muti stesso. Viene proposto per la Medaglia d’Oro al Valor Militare, ma Muti rifiuta poiché sotto falso nome in quanto minorenne. I superiori insospettiti lo rispediranno a casa verificandone la vera identità.

È d’Annunzio che conia per lui l’appellativo di «Gim dagli occhi verdi» durante l’esperienza fiumana al quale Muti partecipa divertendosi come un matto. Infatti si combatte poco e lui si esibisce in imprese spericolate che hanno più del circense che del soldato. Sempre D’Annunzio dirà di lui: «Voi siete l’espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un’offerta senza misura, un pugno d’incenso sulla brace, l’aroma di un’anima pura».

È in questo periodo che incontra Mussolini del quale rimane subito affascinato. Dopo l’esperienza di Fiume, Muti aderisce al fascismo comandando diversi assalti e venendo arrestato alcune volte. Il 29 ottobre 1922 sarà alla testa dei fascisti che occuperanno la prefettura di Ravenna durante le operazione della marcia su Roma.

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Dopo la presa del potere dei fascisti Muti inizia una carriera nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Nel 1923 è comandante della coorte di Ravenna e nel 1925 diventa console.
La sua vita è sempre spensierata e irrequieta. Organizza feste, frequenta belle donne, sfreccia per le strade con auto sportive, scorrazza con la sua Harley Davidson. Nel settembre 1926 si sposa con Fernanda Mazzotti figlia di un banchiere che non è d’accordo con le nozze. Nel 1929 nascerà la sua unica figlia, Diana.

Il 13 settembre 1927 Muti rimane vittima di un attentato nella piazza principale di Ravenna dove un bracciante noto per le sue idee di sinistra (tale Massaroli) gli spara 2 volte al braccio e al ventre. Il federale Renzo Morigi (medaglia d’oro nel 1932 nel tiro alla pistola alle olimpiadi di Los Angeles) allertato dagli spari giunge sul posto e fredda immediatamente l’attentatore.

Muti giunge all’ospedale in fin di vita dove nella notte viene operato. I medici giudicano scarse le probabilità che si salvi. Invece se la caverà ma gli resterà come ricordo una cicatrice di 20 cm nel ventre. Uscito dall’ospedale continua la sua vita spericolata condita da vari incidenti automobilistici e in seguito viene spostato a Trieste dove comanda la terza legione della milizia portuale. Qui non si trova bene e continua a scappare a Ravenna. Però a Trieste incontra il Duca Amedeo d’Aosta che lo convince ad entrare nell’aeronautica.

L’Arma Azzurra segna per lui una svolta: Muti si appassiona subito del volo, e pur di entrare in aeronautica, accetta il declassamento al grado di tenente. In Etiopia mette subito in luce le sue capacità nonostante la scarsa professionalità degli avversari. Le sue dimostrazioni di bravura verranno premiate con due medaglie d’argento. Nelle fasi finali del conflitto entra nella squadriglia Disperata con Ciano, di cui diventerà grande amico, Farinacci e Pavolini.

Nel 1936 torna in Italia da eroe ma poco dopo parte alla volta della Spagna dove, con lo pseudonimo di Gim Valeri, guida la sua squadriglia bombardando i porti spagnoli, guadagnandosi varie medaglie d’argento e, nel 1938, una d’oro. Dalla Spagna torna con il soprannome di «Cid alato» ma soprattutto con l’Ordine Militare di Savoia.

Nel 1938 parte per l’Albania dove si guadagna, alla guida delle truppe motorizzate, un’altra medaglia che lo fa diventare «il più bel petto d’Italia».

Tornato dall’Albania, diventa, su proposta di Ciano, segretario del partito. In questa veste non si trova però a suo agio, pur potendo ottenere praticamente ogni cosa, e, col pretesto di andare «là dove c’è bisogno», riesce a evadere dal suo ruolo di segretario per andare a combattere, col grado di tenente colonnello, la guerra voluta da Mussolini. Combatte prima in Francia, poi nei cieli d’Inghilterra con grande valore, ma si accorge subito che la guerra è stata affrontata purtroppo con approssimazione e leggerezza. Lascia volontariamente la segreteria del partito in quanto, per sua stessa ammissione, non era un uomo da scrivania ma d’azione, e smette di frequentare quei gerarchi che giudica negativamente, perdendo anche l’amicizia che aveva con Ciano.

Nell’estate del 1943 entra nel Servizio Informazioni Militare (il servizio segreto militare) e inizia a frequentare un’attrice cecoslovacca di nome Edith Ficherova, in arte Dana Harlova, che si spaccia per una contessa ma che probabilmente è una spia tedesca o inglese.

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Il 25 luglio, giorno della caduta di Mussolini, Muti è in Spagna per cercare di recuperare un radar da un aereo americano precipitato. Rientra a Roma il 27 luglio per poi ritirarsi in una villetta a Fregene. La notte tra il 23 e il 24 agosto 1943 un tenente dei carabinieri si presenta con altri colleghi alla villa di Muti con l’ordine di arrestarlo. Il gerarca segue i carabinieri nella pineta, cosa sia accaduto dopo ancora oggi è un mistero. Il primo commento ufficiale è dell’agenzia Stefani:

“A seguito di un accertamento di gravi irregolarità nella gestione di un ente parastatale, nel quale risultava implicato l’ex segretario del disciolto partito fascista, Ettore Muti, l’arma dei carabinieri procedeva nella notte dal 23 al 24 agosto al fermo del Muti a Fregene. Mentre lo si conduceva alla caserma sono stati sparati dal bosco alcuni colpi di fucile contro la scorta. Nel momentaneo scompiglio egli si dava alla fuga ma, in seguito e ferito da colpi di moschetto sparati dai carabinieri, decedeva”.

 

 

 

 

 

Le gravi irregolarità di cui si parla non furono mai chiarite e nemmeno chi sparò i colpi dalla pineta. Nella drammatica sparatoria l’unico ad essere raggiunto dai colpi fu Ettore Muti, il cui berretto, recuperato fortunosamente dalla famiglia e tuttora esistente, reca due fori di proiettile: uno sulla parte posteriore, in corrispondenza della nuca, l’altro davanti, che attraversa la visiera. Diverse altre circostanze confermano la tesi dell’esecuzione politica dello scomodo personaggio, definito da Badoglio «una minaccia» in una lettera spedita poco prima (il 20 agosto del 1943), al capo della polizia Senise. Essa recita testualmente: “Muti è sempre una minaccia. Il successo è solo possibile con un meticoloso lavoro di preparazione. Vostra Eccellenza mi ha perfettamente compreso”.

A lui vennero intitolate:

  • Squadra di Bombardamento Ettore Muti: reparto dell’Aviazione Nazionale Repubblicana che effettuò solo una limitata attività addestrativa.
  • Battaglione Ettore Muti della Brigata Nera Mobile Achille Corrao, nel ravennate.
  • Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, corpo autonomo costituitosi a Milano il 14 settembre 1943.

A tutt’oggi Ettore Muti detiene il record mondiale di ore di volo in guerra e quello italiano per le medaglie conquistate in azioni di guerra.

 

È tra i fondatori delle squadre d’azione nel ravennate. Uomo d’azione, agli ambienti romani della politica preferisce le corse in automobile e le scazzottate contro i rivali. Nel 1924 è nominato console della Milizia fascista.

Nel 1927 viene gravemente ferito in un attentato a Ravenna. A 34 anni entra nell’Aeronautica con il grado di tenente e combatte in Etiopia e in Spagna. Nel 1939 Mussolini lo chiama alla segreteria nazionale del PNF per sostituire Achille Starace. Nominalmente rimane segretario del PNF fino all’ottobre del 1940 (verrà sostituito da Adelchi Serena), ma dal 1° giugno rientra nell’Aeronautica per prendere parte attiva alla guerra. Anche dopo il 25 luglio 1943 e l’arresto di Mussolini, Muti continua a manifestare apertamente il suo culto del duce. Arrestato a Fregene la notte del 24 agosto, viene ucciso mentre i carabinieri lo stanno portando in carcere. Porterà il suo nome, durante i 600 giorni di Salò, una delle  squadre della Repubblica di Salò.

 

 

Muti fu uno dei primi ammiratori del Duce e tra i più fedeli: entrerà a far parte dei Fasci di combattimento, nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e in breve tempo nella segreteria del Partito Nazionale Fascista. Fin da giovane capì che doveva andare via da Ravenna e dopo l’episodio del ’27, nel quale durante una sparatoria ricevette due colpi, decise di arruolarsi nella Regia Aeronautica e da lì non lascerà mai la sua più grande passione: il volo. Entrò nella 15ma Squadriglia bombardieri “La Disperata” con Pavolini, Ciano e Farinacci. Presente durante la Guerra d’Etiopia e in Spagna, diventerà poi comandante di Gruppo nel 12mo stormo “I Sorci verdi”.

Con l’arresto di Mussolini, Muti venne considerato un soggetto pericoloso dal re e durante la notte tra il 23 e il 24 agosto del 1943 una squadra di carabinieri si presentò nella sua villa a Fregene per arrestarlo, ma venne ucciso con due colpi alla testa. Un’uccisione ancora non del tutto chiarita. L’estimatore D’Annunzio lo celebrava così: “Voi siete l’espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un’offerta senza misura, un pugno d’incenso sulla brace, l’aroma di un’anima pura”.