Filippo Bruno Giordano è un filosofo del XVI secolo, nato a Nola nel 1548, è figlio dell’alfiere Giovanni Giordano e di Fraulissa Savolina, muore il 17 febbraio del 1600 dopo una lunga detenzione iniziata il 27 febbraio 1593. Bruno fu detenuto a causa delle sue idee antireligiose. Egli pensava, infatti, che la terra non fosse ferma, ma bensì girasse su se stessa e che noi vedessimo il sole sorgere e tramontare proprio per questa rotazione; idea totalmente contraria a quella della Chiesa, che prendendo in considerazione la frase  «Terra stat in aeternum» , affermava che la terra fosse ferma e che fosse il sole a girarci attorno. Per questa sua idea e rifiuto all’abiurazione di esse, Filippo iniziò la sua detenzione, come già detto, dopo la sentenza dell’inquisizione veneziana e, conseguentemente, morì legato arso vivo ad un palo, nudo e con un mordacchia per impedirli di parlare.

I suoi screzi iniziarono, però, già in età infantile. Le poche cose che sappiamo della sua infanzia, rinvengono interamente da ciò che Fillippo stesso disse durante gli interrogatori dell’inquisizione. Finì gli studi di grammatica nella scuola di Bartolo di Aloia e continuo gli studi nell’Università di Napoli studiando lettere, logica e dialettica da Giovan Vincenzo de Colle chiamato da Filippo “Sarnese”, apostrofandolo, probabilmente, per la provenienza di quest’ultimo. Al Sarnese si devono le fondamenta antiumanistiche e antifilologiche di Filippo. Per Filippo era più importante il concetto che si voleva esprimere, piuttosto del modo in cui esso veniva espresso. Insieme a questi studi, Filippo apprese anche l’arte della mnemotecnica, influenzato forse dagli scritti di Pietro Tommai; arte che lo aiutò più avanti nelle discussione per la libera docenza. Intorno ai 15 anni rifiuta il nome di Filippo per acquisire quello di Giordano, prendendo così gli abiti da frate domenicano. Giordano detestava i domenicani, ma approfittò di questa sua posizione e della sua carriera nell’Ordine che lo portò a diventare presbitero nel 1573. Come citato, Giordano disprezzava la Chiesa a causa delle esperienze vissute nel convento di accuse di furto, scandalo sessuale e omicidi. Questi avvenimenti venivano letti da Giordano come una grave ,mancanza nonostante la maestose biblioteche di cui disponevano. Infatti approfittò di queste per perseguire gli studi di filosofia procurandosi numerosi scritti di cultura classica e contemporanea, compresi quelli di Erasmo da Rotterdam, proibiti in ogni convento. Inoltre godè della sicurezza offertagli dall’appartenenza a quest’Ordine; sicurezza durata ben poco dato che la sua scetticità nei confronti della Chiesa lo portò ad abbracciare il credo dell’arianesimo considerandolo meno eretico di quel che era comun pensiero. Questo li costò, però, una accusa di eresia. Sapendo che per questa idea non lo avrebbero messo in prigionia ma direttamente giustiziato, fuggì per molte corti italiani, e addirittura estere, venendo accolto a braccia aperte per poi essere cacciato a causa delle sue idee fino a portarlo all’ accusa di eresia già descritta. 

In queste corti scrisse molti saggi coprendo moltissimi campi come la cosmologia con i scritti La cena de le ceneriDe la causa, principio et uno e infine De l’infinito, universo e mondi. In questi dialoghi espone le sue idee sostenendo l’immanenza di Dio, cioè la sua presenza nella realtà che noi stessi viviamo, e altre tesi come la presenza dell’universo infinito e l’indipendenza tra teologia e filosofia. Filippo scrisse anche testi sulla mnemotecnica, ossia l’arte della memoria, come il De umbris idearum e l’Ars memoriae. Filippo sfruttò la sua capacità nel memorizzare concetti tramite immagini, seguendo la dottrina lulliana, per insegnare, grazie alle diverse discussioni tenute in corti e Università che davano accesso alla libera docenza. Tratta anche testi di critica come Spaccio de la bestia trionfante, riferito alla Riforma protestante, il testo satirico Cabala del cavallo pegaseo e il noto testo comico scritto in volgare Candelaio.

Il Candelaio è una commedia teatrale scritta nel 1582 durante il suo soggiorno a Parigi. Il testo è suddiviso in cinque atti per un complessivo di settantasei scene. L’introduzione all’opera è in contrasto con le commedie tradizionali rinascimentali. È composto da una poesia iniziale rivolta ai poeti e ad una certa Morgana B., forse sua conoscente, a cui segue una introduzione del testo, un antiprologo dove ironizza sulla possibilità che quest’opera venga realmente rappresentata e infine un proprologo dove polemizza su alcune ideologie false. Giordano dubitava della rappresentazione della sua commedia in teatro perchè, forse, riconosceva che il linguaggio da lui utilizzato non fosse quello consono e comune per i teatri dell’epoca. L’opera, scritta in volgare italiano e a cui aggiunge termini latini, toscani e napoletani, è molto volgare e a tratti sconcia e non venne bene accolta dai lettori dell’epoca e del Settecento che la definivano “scellerata ed infame”.

La storia, ambientata a Napoli, ha come protagonista Bonifacio, soprannominato “candelaio”, che volgarmente significa omosessuale. Bonifacio spiega il suo amore traditore, perchè nascosto a sua moglie Carubina, verso una prostituta di nome Vittoria al su amico e alchimista Bartolomeo che, a sua volta, esprime il suo più grande desiderio, nonché aspirazione di ogni alchimista: trasformare il metallo in oro e argento. Bonifacio si serve di ogni stratagemma per ingraziosirsi Vittoria evitando a tutti i costi di pagarla. Fa scrivere una lettera romantica al grammatico Manfurio, il quale la riempie di inutili latinismi e citazioni, commissiona un ritratto all’artista Gioan Boiardo per farsi ritrarre migliore di quanto e, sfruttando il suo soprannome, ironizza sul suo cambio di sessualità: da candelaio volete diventar orefice. Infine si rivolge anche ad un mago Scaramuré pur di ottenerla. Vittoria, ragionando dell’amor di Bonifacio, decide di ingannare il povero Bonifacio. Manfurio e Bartolomeo che tanto sono accecati dalla cupidigia vengono derubati e picchiati più volte. Alla fine dell’opera, Gioan Boiardo trae in inganno Bonifacio, facendolo partecipare ad un appuntamento con Carubina travestita da Vittoria. Gioan Boiardo, dopo che Carubina si è resa conto del tradimento, le dice che tradire un marito del genere non è perdere l’onore. 

I temi della commedia sono tre:

  • L’amore, in questo caso traditore, per Vittoria
  • Il tempo.  Nel testo Vittoria pronuncia una frase “chi tempo aspetta, tempo perde”. Secondo Bruno, infatti il tempo sembra essere infinito e immutato, ma in realtà passa e cambia costantemente.
  • Il denaro da cui sono ossessionati Bartolomeo e Manfurio e che Bruno aspramente condanna come visto nel testo.

Bruno inoltre in questo testo ironizza sugli dei, i quali sembrano guardare la scena senza però interagire con essa, quasi come se l’uomo fosse relegato ad una sfera che ne limita la libertà. Possiamo concludere che questo testo demonizzato dai lettori dell’epoca, sia, in realtà, una feroce condanna alla stupidità, all’avarizia e alla pedanteria.


ARTICOLO DI ALESSANDRO MAZZONI DELLA CLASSE IV D DEL LICEO LINGUISTICO


Stilografia:

  1. https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#Il_processo_e_la_condanna
  2. https://it.wikipedia.org/wiki/Candelaio
  3. http://www.adripetra.com/Siti%20Web/Candelaio.htm