Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’ Olocausto. È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell’ Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria.

 

shoah-olocausto

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita per ricordare gli atroci fatti avvenuti durante il periodo nazista e le persone a cui è stata negata vita e dignità durante la Shoah.

Il 27 gennaio è una data, una commemorazione, durante la quale non si possono e non si devono dimenticare le tragedie dell’olocausto, anzi è importante condividere e “far sapere” per sensibilizzare le persone a quella che è stata una delle più terribili e imperdonabili azioni della storia umana.

Una giornata simbolica, quella del Giorno della Memoria: era il 27 gennaio del 1945 quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arrivarono nella città polacca Oświęcim, oggi conosciuta con il nome tedesco di Auschwitz. Varcati i cancelli del lager, i militari si ritrovarono di fronte l’orrore, la morte, lo sterminio. Liberati i pochi superstiti, le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo la brutalità di un vero e proprio genocidio. 

Non è un caso che il termine Shoah stia ad indicare una “catastrofe” e sia utilizzato per riferirsi allo sterminio nazistaShoah, una parola ebraica che richiama un sacrificio biblico: con esso si voleva dare un senso alla morte, un senso ad un’incontenibile tragedia.

Inoltre, con il termine ebraico è nato anche quello di “genocidio”, una forma di eliminazione di massa che, purtroppo, ha sempre fatto parte della storia ma mai è stata come quella avvenuta nei campi di concentramento nazisti.

La legge italiana definisce così le finalità del Giorno della Memoria: “Data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz… al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Quello che oggi dobbiamo imparare è molto semplice: non dimenticare. Questo è lo scopo, il fulcro di quello che la Giornata della Memoria vuole tramandare. Le testimonianze dei sopravvissuti, i racconti, i documenti e la storia devono essere le fonti utili non solo per il presente, ma anche per le generazioni future che, a loro volta avranno il compito di “tramandare” un orrore storico che non si deve ripetere.


 

Incalzati dal dilagare della lotta partigiana nel Governatorato, cioè nei territori occupati della Polonia e della Russia, e costretti a far fronte con mezzi adeguati alla situazione, i nazisti decisero la creazione di un Lager che, oltre a quelli già esistenti e che si dimostravano inadatti alle bisogna, potesse ospitare un gran numero di deportati ed una complessa infrastruttura di imprese ed industrie alle quali adibire la manodopera concentrazionaria. Questo campo doveva inoltre rendere possibile la effettiva, efficiente e sollecita attuazione della «soluzione finale» del problema ebraico, cioè lo sterminio degli ebrei europei, secondo le indicazioni della conferenza di Wannsee.
Nei pressi del villaggio polacco di Oswjecim fu individuato un vasto terreno demaniale che circondava una caserma d’artiglieria in disuso. Questo complesso di 32 edifici poteva costituire il nucleo ideale per l’installazione del Lager.
Visti i piani e sentiti i pareri degli esperti, lo stesso Himmler dette l’ordine di costruire un campo della capacità di almeno 100.000 persone, al quale fu dato il nome, in tedesco, di Auschwitz. Nello stesso tempo fu anche deciso di costruirvi uno stabilimento per la produzione di gomma sintetica della IG Farben, che avrebbe assorbito i primi contingenti di deportati.
Da Sachsenhausen 30 «triangoli verdi», accuratamente scelti, furono trasferiti sul posto, per assumervi le funzioni di Kapo e presiedere ai lavori di sistemazione e alla costruzione delle officine, dei depositi e delle altre installazioni. Intanto si stendevano le recinzioni di filo spinato, si costruivano altre baracche, cucine, magazzini, caserme per i corpi di guardia, strade e raccordi ferroviari.
Migliaia di prigionieri russi e polacchi cominciarono ad affluire ad Auschwitz, per contribuire ai lavori, per lavorare a loro volta nelle aziende agricole e nelle fabbriche che sorgevano come funghi intorno al campo. Si trattava di imprese allettate dai bassi costi di produzione, dato che la manodopera era quella pressoché gratuita fornita dal Lager. Poi c’erano i vantaggiosi contratti di appalto, dai quali l’Amministrazione delle SS ritagliava generosamente la propria fetta di guadagno.
Il campo principale, in breve, non fu più sufficiente. Accanto ad Auschwitz I sorsero prima Birkenau, cioè Auschwitz II poi Monowitz, ossia Auschwitz III. Ma, oltre a questi Lager, si moltiplicavano, man mano aumentavano le esigenze della produzione, i comandi esterni, permanenti o temporanei.
Un immenso territorio, rigorosamente isolato dal resto del mondo, brulicava di deportati, uomini e donne, provenienti da tutti i paesi invasi ed occupati dai nazisti. Auschwitz era una vera e propria zona industriale, in pieno fervore di attività. La manodopera non mancava, continuamente sostituita da nuovi arrivi dato che la disciplina, la denutrizione, il clima, la fatica contribuivano alla falcidia dei deportati. Per coloro che, arrivando al campo, erano considerati abili al lavoro, le prospettive di sopravvivenza non superavano i tre mesi. Poi c’erano le fucilazioni in massa, per supposti sabotaggi, le punizioni individuali cui ben pochi poterono resistere, e le camere a gas.
Queste hanno funzionato ininterrottamente, ad Auschwitz ed a Birkenau, ingoiando convogli interi di ebrei, provenienti dalla Germania, dalla Polonia, dalla Francia, dall’Ungheria, dal Belgio, dall’Olanda, dalla Grecia, dall’Italia. Treni e treni di uomini, donne e bambini, stipati in carri bestiame, scaricati sulle rampe dei Lager ed avviati alle finte docce dove venivano uccisi con un gas letale, il famigerato Zyklon B, un conglomerato di cristalli di silicio saturati con acido cianidrico, prodotto dalle consociate di quella stessa IG Farben che impiegava il maggior numero di prigionieri nello stesso campo di Auschwitz. Perché Auschwitz era stato progettato, costruito, organizzato per questo: da un lato sfruttare la manodopera che le SS vendevano a condizioni di favore alle industrie installate nei dintorni, dall’altro procedere allo sterminio soprattutto degli ebrei, ma anche degli zingari, a ritmi accelerati. Nel frattempo specialisti delle SS studiavano gli effetti delle infezioni, degli aborti, delle pratiche di sterilizzazione, usando come cavie uomini, donne, bambini attinti dai convogli, prima di mandarli nelle camere a gas. Quando il crematorio non riusciva a smaltire la razione giornaliera di cadaveri, questi venivano bruciati in grandi cataste nei dintorni del Lager, appestando l’aria di un lezzo nauseante.
Per quantità e qualità, Auschwitz è stato il Lager dove l’inventario dei crimini, degli orrori e della morte ha assunto dimensioni apocalittiche. Lo stesso Rudolf Höss, che fu comandante di quel Lager, ammise l’uccisione di centinaia di migliaia di deportati. Quanti esattamente è ancora impossibile dirlo. Gli studi più recenti concordano nel fissare il numero delle vittime – nella stragrande maggioranza ebrei di ogni età e di ogni condizione – tra 1.300.000 e un milione e mezzo. Di certo l’ecatombe continuò a ritmo sostenuto fino agli utlimi giorni, e cessò solo con la chiusura del campo.
Alle SS il Lager rendeva anche quando gli schiavi erano morti. C’erano le loro spoglie da dividere. Treni interi di indumenti sottratti ai deportati, camion carichi di casse di gioielli e denaro furono spediti da Auschwitz a Berlino, al quartier generale delle SS: anche questi erano i proventi della «soluzione finale».
Nel clima di terrore e di morte, vi furono però alcuni che ebbero il coraggio di organizzare una resistenza clandestina; uomini e donne di diversa provenienza, militanza politica, religione, non esitarono a favorire il sabotaggio, ad aiutare i più deboli, a proteggere i perseguitati sottraendoli alla violenza dei Kapò e delle SS.

Vi furono alcuni che tentarono la fuga, specie polacchi e russi, che in qualche caso poterono contare sull’omertà delle popolazioni. Per ogni fuggiasco che non veniva ripreso le SS procedevano a feroci decimazioni dei loro compagni. In occasione di una di queste fughe, padre Massimiliano Kolbe, un sacerdote polacco, si offrì spontaneamente di sostituire un compagno condannato a morire di fame nel famigerato Bunker n. 11. Esempio fulgido di coraggio e di solidarietà, per cui fu proclamato prima martire poi santo. Il suo sacrificio non fu il solo esempio di coraggio e di solidarietà, perché ad Auschwitz, come negli altri Lager, resistere non era facile, ma necessario. Lo dimostrarono anche quelli di un Sonderkommando che si rivoltarono con le armi sottratte ai loro carcerieri e tentarono l’impossibile. Furono sopraffatti e caddero da eroi.
Il 17 gennaio 1945 – quando le armate russe puntavano decisamente in direzione di Cracovia – il campo fu sgombrato. Tutti coloro che potevano camminare furono avviati, a marce forzate, verso altri campi. Fu un’altra ecatombe. Migliaia di uomini e di donne furono abbattuti a colpi di mitra, quando non riuscivano più a muoversi. Nei campi ai quali erano desti nati, giunsero ben pochi, ridotti in condizioni pietose.
Le avanguardie del 62° corpo delle armate russe del fronte ucraino entravano in Auschwitz il 27 gennaio 1945, salvando alcune centinaia di creature che di umano non avevano più nulla e incaricandosi di seppellire una montagna di cadaveri.
Auschwitz è il simbolo della follia e della barbarie nazista.



Olocausto e Shoah

Quale è la differenza tra Olocausto e Shoah? In quali contesti storiografici si usano?
Col termine Olocausto viene attualmente designato il genocidio o sterminio di una considerevole componente degli ebrei d’Europa. Assieme agli ebrei altri gruppi finirono nel programma di sterminio dei regimi nazi-fascisti, anche se l’ostilità antiebraica – nella sua nuova veste di moderno antisemitismo razziale – fu fin dall’inizio parte integrante della ideologia del Nazismo tedesco.
Il termine olocausto, che deriva dal greco e successivamente dal latino, traduce anche un termine biblico legato alla sfera dei sacrifici cruenti e animali. Con tale termine si traduce in lingua greca il sacrificio ebraico detto ‘olah, ossia innalzamento, un sacrificio che viene “tutto bruciato”. Il fumo che sale “è odore gradito al Signore”.
Il termine utilizzato per descrivere la lo sterminio degli ebrei d’Europa si è mantenuto nella lingua inglese (Holocaust). Che esso provenga da ambienti cristiani di età medievale, che indichi un lemma proveniente dal mondo pagano, che abbia un significato troppo religioso, come spesso si afferma, è tutto sommato irrilevante. Certo ci può essere una sorta di assonanza tra il fumo dei campi di sterminio e quello della vittima sacrificale, ma si tratta di assonanza superficiale e deviante, poiché l’immagine biblica indica ben altro gesto culturale. Cosa si voleva intendere quando si associo’ lo sterminio degli ebrei all’offerta sacrificale del mondo antico? Un “sacrificio” dei nazisti al “dio della Razza”? O una autoconcezione del sé ebraico come vittima sacrificale simile alle concezioni del sacrificio cristiano?
L’ambiguità del significato di questo termine è ovvia, provoca di certo disagio.

Da qualche decennio – per lo più nei paesi di tradizione non anglosassone – è invalso l’uso di utilizzare un termine ebraico, ritenuto più pertinente.

Il termineShoah–  שואה – veicola, nel lessico biblico, diversi significati legati all’idea di distruzione. Esso è certamente più neutro, meno  connotato in senso religioso, anche se a dire il vero, il lemma ricorre frequentemente nel libro di Giobbe, nella lingua del profeta Isaia e in alcuni salmi, ed essendo in qualche senso legato alla sfera del religioso, non è così determinato dalle azioni di carattere cultuali.


Campo di concentramento di Bergen-Belsen

A differenza di quanto è accaduto ad Auschwitz (in Polonia), del più terribile campo di concentramento nazista in territorio tedesco non è rimasto assolutamente nulla e ciò che si vede è praticamente soltanto un prato che in estate si ammanta di erica viola, ma che ben presto si rivela un’enorme distesa di fosse comuni. I cartelli recano scritto il numero approssimativo dei cadaveri sepolti in ciascuna: 1000, 2000, 5000, numero sconosciuto.

A Bergen-Belsen morirono in tutto 70.000 tra ebrei, soldati russi, prigionieri politici e altri detenuti. Fra questi ci fu anche la giovane Anna Frank, il cui diario postumo è diventato un classico della letteratura del Novecento.

Bergen-Belsen(www.bergenbelsen.de; Loh-heide; 10-18) fu creato nel 1940 come campo per prigionieri di guerra, ma dall’aprile 1943 parte del complesso passò sotto il comando delle SS, che lo usarono come campo di detenzione degli ebrei che venivano scambiati con i prigionieri di guerra tedeschi detenuti all’estero. Vi furono internati molti soldati russi e alleati, e in seguito ebrei, polacchi, omosessuali e rom, che furono percossi, torturati, fatti morire di fame o di stenti o usati come cavie per esperimenti medici.

Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale decine di migliaia di prigionieri provenienti dai campi situati vicino alla linea del fronte furono trasferiti a Belsen, determinando condizioni di sovraffollamento che generarono epidemie e seminarono ancora più morte. Sebbene le SS avessero tentato di nascondere le prove delle loro pratiche disumane distruggendo documenti e costringendo i prigionieri a seppellire o incenerire i cadaveri dei loro compagni, il terreni del lager erano ancora disseminati di migliaia di cadaveri quando, il 15 aprile 1945, le truppe inglesi ne presero possesso.

 

Dopo la guerra le truppe alleate usarono le caserme dei soldati per organizzare un campo profughi temporaneo, destinato a ospitare chi attendeva di potere emigrare verso paesi terzi (inclusi molti ebrei che si trasferirono in Israele dopo la sua creazione nel 1948). Il campo profughi fu chiuso nel settembre del 1950.

 

Il Centro di documentazione, uno dei più interessanti nel suo genere, rievoca con partecipazione ma al tempo stesso con grande efficacia la vita delle persone detenute nel campo prima, durante e dopo la prigionia. L’allestimento della mostra permanente segue un criterio cronologico e in parte si focalizza sui primi anni, quando Bergen-Belsen era un campo di prigionia in cui erano detenuti soprattutto soldati sovietici. Tra il 1939 e il 1942 nel campo morirono circa 40.000 prigionieri, in gran parte a causa delle atroci condizioni di vita. Nel corso della visita si ascoltano in cuffia descrizioni in lingua originale (anche sottotitolate sugli schermi), si leggono documenti e spiegazioni e si vede un documentario di 25 minuti sul campo, che riporta anche la commovente testimonianza di uno dei militari inglesi che effettuò le riprese al momento della liberazione. Vengono alternate proiezioni con sottotitoli in varie lingue.

Presso il centro c’è un libro con i nomi delle persone che furono internate a Bergen-Belsen, oltre a guide e libri in vendita, tra cui Il diario di Anna Frank (1947), e un opuscolo di informazione storica (su offerta).

Nei diversi ettari all’interno dei cancelli adibiti a cimitero sorgono un grande obelisco e monumento in pietra, con scritte dedicate a tutte le vittime, una croce posta sul luogo dove in origine c’era un monumento eretto dai prigionieri polacchi e la Haus der Stille, dove potete ritirarvi in raccoglimento.

È stata posta anche una lapide per Anna Frank e sua sorella Margot non lontano dall’ingresso del cimitero, in direzione dell’obelisco. Inizialmente, dopo la scoperta del nascondiglio di Amsterdam, l’intera famiglia Frank fu deportata ad Auschwitz, ma in seguito le due sorelle furono trasferite a Belsen. Nessuno sa con esattezza dove riposi Anna, ma molti rendono omaggio alla loro eroina quindicenne presso questa lapide.


La storia di Mara, uccisa insieme ad Anna Frank a Bergen-

https://www.youtube.com/watch?v=tWijqFFmeAA


 

 

Jan Karski

http://www.museoalessandroroccavilla.it/2019/01/23/jan-karski/


 

 

 

 


CHE USIAMO TERMINI COME NEGAZIONISMO, RIDUZIONISMO O GIUSTIFICAZIONISMO,  RESTA IL FATTO CHE TACERE DI FRONTE A CHIUNQUE USI QUALUNQUE CADUTO A FINI POLITICI E PARTITICI SIGNIFICA RENDERSI COMPLICI. SIAMO COMPLICI DI CHI UCCIDE UNA SECONDA VOLTA E DI CHI, GRAZIE A TALE ATTEGGIAMENTO, SARA’ PRONTO AD AVALLARE O PERPETRARE IDENTICI CRIMINI FUTURI.  TALI SILENZI RISULTANO ANCORA PIU’ COLPEVOLI SE HANNO LUOGO IN AMBITO SCOLASTICO. 

Marco Castelli