Gli esperti di marketing hanno sentenziato
di recente che sponsorizzare
lo sport rende di più di una campagna
pubblicitaria.
Pallavolo e pallacanestro, secondo
gli addetti ai lavori, sono gli investimenti
più remunerativi, ma le novità
potrebbero arrivare dal calcio. Uno
sport dove è difficile individuare nuovi
spazi su persone e cose per ulteriori
abbinamenti di sponsorship. Eppure,
se ci pensate bene, è rimasta ancora
una maglietta linda sul campo, marca
della sponsor tecnico a parte: quella
dell’arbitro. Improbabile? Se è vero che
l’arbitro spesso è oggetto di contestazioni
dentro e fuori dal campo di gioco,
è altrettanto vero che egli è comunque
indispensabile: senza di lui niente partita.
E questo basta a renderlo un “uomosandwich”
unico nel suo ruolo e quindi
appetibile per il marketing.
Piuttosto l’aspetto frenante potrebbe
essere un altro. A parte il fatto che un
abbinamento personalizzato e non a
livello di categoria (Aia) potrebbe fare
scattare la stessa rivendicazione da
parte del sindacato calciatori professionisti,
con la conseguenza che sulle divise
da gioco comparirebbero lo sponsor
del club e quello dell’atleta, è prevedibile
che l’arbitro, cioè l’autorità, potrebbe
essere rifiutato da una fetta del mercato.
Testimonial ideale di beni e servizi
destinati ad un target maturo, il giudice
di gara infatti non comunicherebbe con
la clientela più difficile, quella degli
adolescenti (ado). Ne sanno qualcosa
le grandi marche mondiali del settore
sportivo (Adidas e Nike in testa), che
hanno impiegato del tempo prima di
capire a loro spese che la comunicazione
verso gli ado deve essere non diretta,
fatta a colpi di spot videomusicati e
veicolata attraverso personaggi mito.
Che scarseggiano sempre più. Non a
caso negli Usa sta ottenendo uno strepitoso
successo (35milioni di dollari di
volume di affari) la Split, che ha puntato
tutto sugli sport alternativi che fanno
trend ed ora veste la quotidianità degli
ado Usa alla moda con capi ispirati ai
suoi settori forti: surf, bmtx, moto-cross,
skate, snowboard e ski freeride.
L’onda americana è arrivata sulle
coste europee.
Un problema per Adidas, Nike e C.,
che nel settore della scarpa tecnica cercano
la risposta all’offensiva di Split. Con
il sogno proibito di “griffare” un giorno
il tesoro delle Olimpiadi: le medaglie.
Quelle di Salt Lake City (febbraio 2002)
porteranno sul retro l’effige della dea
greca della vittoria, Niké. Una magra
consolazione per la marca della virgola
più famosa nel mondo.