Per l'attuale generazione di giocatori
professionisti delle prime serie il calcio
è una miniera d'oro inesauribile.
Ma per tuo figlio che oggi frequenta
la scuola calcio, fra venti anni il football
avrà ancora l'oro in bocca?
L'attuale Eldorado è reso possibile
grazie ai fondi senza fine che arrivano
dai diritti televisivi alle imprese calcistiche.
Una massa di liquidità mai vista
prima d'ora che, coperti i costi fissi
di gestione, viene erogata ai calciatori
dipendenti a titolo di stipendi.
Una posta questa ultima che nella
maggiore parte dei casi compromette
l'equilibrio economico-finanziario del
bilancio. E chiudendo i conti in rosso,
non scatta neppure l'obbligo di legge
di destinare il 10% degli utili conseguiti
al settore giovanile societario.
Quindi le aziende, salvo eccezioni,
non hanno capacità di risparmio.
Chi ha questa possibilità?
Il terminale di quel fiume di ricchezza
prodotto dallo spettacolo: il calciatore.
Che, alle prese con una fiscalità media
sopra il 50%, difficilmente risparmia per
investire nel calcio.
Insomma qui la sensazione è che
l'azienda spettacolistica del calcio non
si curi di destinare risorse in termini
di investimenti in mattoni (impianti) o
formazione (centri di addestramento)
non dico per la sopravvivenza, ma per
un suo consolidamento, anche in previsione
di possibili cali di audience tv
(Germania).
A questo punto si tratta allora di capire
se è matura l'introduzione nel sistema
del "risparmio salariale" in luogo di
quello sugli eventuali utili di cui sopra,
a livello comunitario (compreso quindi
il Principato di Monaco beneficiato da
esenzioni fiscali concorrenziali).
Ci sono due vie: l'onere a carico delle
imprese si configurerebbe come una
sorta di "salary cap", con obbligo di reinvestimento
del risparmio retributivo in
formazione (settori giovanili propri o
presso club satelliti).
In caso contrario si può pensare che
una percentuale della retribuzione in
capo al calciatore venga defiscalizzata
e redistribuita da una Lega calcio
continentale per la creazione di centri
di formazione nei vari Paesi, tenendo
conto anche della provenienza dei contribuenti.
Considerato che una fetta
della massa salariale interessa sempre
più manodopera extracomunitaria, si
creerebbero così anche i presupposti
per programmi di formazione nei Paesi
di origine dei giovani, mitigando il fenomeno
degli "scafisti del pallone".