Controlli poco "studiati"

23 Marzo 2001

I gestori di impiantistica sportiva in

Italia possono essere suddivisi in tre

categorie: le imprese con fini di lucro,

le associazioni sportive dilettantistiche

senza fini di lucro ed i falsi sodalizi noprofit.

A grandi linee possiamo legare a ciascuna

una diversa tipologia di strutture:

alle prime (rare) la grande impiantistica

privata, alle seconde quella pubblica

in concessione ed ai terzi le palestre

private.

Tutti questi operatori, se esercenti

attività commerciale, in queste ultime

settimane stanno ricevendo dal

Ministero delle Finanze, al pari di altre

categorie di lavoratori autonomi, un

questionario in merito alle attrezzature

utilizzate, ai consumi sostenuti, all'attività

svolta ed ai costi e ricavi di gestione

(1999).

Si tratta degli studi di settore, attraverso

i quali il fisco cerca di fotografare

la capacità reddituale delle aziende.

In altre parole elaborando le risposte

degli intervistati l'Erario punta a definire

per ogni categoria economica una griglia

di redditi medi a livello nazionale. Il

mancato raggiungimento del suddetto

valore da parte dei contribuenti è una

spia per il fisco.

Da quando sono nati gli studi di

settore sono oggetto di critiche. Come

tutti i sistemi basati esclusivamente

su numeri e medie aritmetiche, la

loro rigidità di fondo non tiene conto

infatti di una grande verità: l'economia

aziendale non ha regole, se è vero che

due imprenditori - a parità di capitali

investiti, di localizzazione e di prodotti

fabbricati - uno può fallire e l'altro prosperare.

Figuriamoci poi quando uno dei due

opera non per fine di lucro.

E così da più parti si rimpiange il

tempo (anni Settanta) degli "studi" fatti

sul campo da funzionari esperti, capaci

di fare quadrare i conti dello Stato con

quelli della logica aziendale.

Nel 1993 e nel 1997 il fisco si ripropose

di farlo proprio con i gestori di

impiantistica sportiva, ma il taglio

repressivo e la limitata azione sul territorio

nazionale delle indagini evidentemente

non diedero risultati.

In caso contrario noi avremmo oggi

una legge quadro a trecentosessanta

gradi, agevolativa se del caso, dedicata

ai diplomati Isef giovani conduttori di

palestre private che, abbandonati a se

stessi dal legislatore, si mascherano dietro

il no-profit e, senza partita iva, non

riceveranno neppure il questionario. E

nello stesso tempo degli studi di settore

in materia che, nelle premesse, terrebbero

conto delle diverse logiche di

gestione fra chi manda avanti il proprio

impianto per lucro, e chi quello pubblico

coniugando pareggio di gestione e

politiche tariffarie sociali.









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