Dividendi e mattoni

3 Aprile 1998

La scorsa settimana commentavamo

l'ipotesi di gestione di un'attività

sportiva agonistica di un certo livello

(campionati nazionali) sotto la natura

giuridica di società di capitali. Risultato:

una serie di brevi note sotto l'aspetto

tecnico per evidenziare lacune ed

incongruenze delle normative civilistica

e tributaria in proposito. Che oggi

dimentichiamo per cogliere l'aspetto

economico-finanziario dell'operazione

nell'ottica del potenziale socio sottoscrittore

"non sentimentale", intendendosi

colui che investe il capitale

indipendentemente dal suo "sentire"

nei confronti di quello sport (ricordi di

infanzia, pratica in età giovanile, prole

in attività, intervento sociale, passatempo

del fine settimana ...).

La domanda è opportuna: esiste questo

investitore? Può darsi. Di sicuro si

tratta della grande sfida al mercato dei

capitali da parte dello sport italiano. Dal

piccolo azionista per Moratti al facoltoso

imprenditore locale per il presidente

di provincia della squadra di pallavolo,

di pallacanestro ... . La questione è stereotipata:

che cosa ho in cambio?

1. Partecipazione agli utili. Senza

diritti televisivi garantire dividendi è

piuttosto rischioso. La biglietteria, l'entrata

diretta della produzione tipica (lo

spettacolo sportivo) unitamente alle

sponsorizzazioni sono spesso sufficienti

a coprire i costi di gestione della prima

squadra, compreso il saldo negativo

della compravendita delle prestazioni

degli atleti che, dopo la sentenza

Bosman, non sono più dei beni del

patrimonio sociale in ogni caso. I proventi

delle attività collaterali (merchandising)

sono per ora insoddisfacenti,

tranne quelli legati alla produzione ed

al commercio di giovani atleti. In questo

ultimo caso sono necessari investimenti

immobiliari (vedi progetto Milanello 2).

2. Partecipazione al patrimonio.

Essere comproprietari di un impianto

sportivo coperto e/o di una foresteria

non sarà il massimo delle possibilità di

impiego di capitali, ma in mano si ha

qualcosa di concreto che, in presenza

di una valida collocazione urbanistica,

potrebbe al limite essere riconvertito ad

altre attività industriali o commerciali.









Museo Alessandro Roccavilla

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