Due settimane addietro si rifletteva
in questa rubrica circa la difficoltà
ambientale crescente nei Paesi occidentali
Cee di avviare sistematicamente
le giovani generazioni alla professione
in quelle discipline che, in seguito alla
globalizzazione, si sono aperte a mondi
in cui la domanda di sport quale occasione
di avanzamento sociale è forte.
Ad integrazione di quanto sopra, occorre
sottolineare che in Italia la situazione
è aggravata dalla "assenza" della
scuola, cioè dell'istituzione che in altri
Stati è il primo punto di riferimento per
l'apprendimento comunque di quelle
capacità motorie di base utili in una
futura vita sedentaria da adulti, e non
di meno per una carriera sportiva professionale.
Su questa annosa questione è ora
di confrontarsi da parte di tutti i soggetti
in causa. D'altronde quando nel
corso del recente meeting di Rimini
il presidente di Ifil, Umberto Agnelli,
esorta i privati ad un impegno concreto
in quei settori no-profit in cui lo Stato
non dà buona prova, non è fuori luogo
aggiungere nell'elenco insieme con la
citata scuola lo sport, se è vero che la
scorsa settimana la Corte dei Conti ha
censurato la gestione amministrativa
del Comitato Olimpico, che non è Stato,
ma comunque è parastato.
Allora se la scuola è di fatto un cantiere
aperto, ci si imponga nei lavori
in corso di fare entrare l'attività fisica
dall'ingresso principale, elaborando un
sistema di formazione sportiva in base
ai diversi livelli.
A maggiore ragione se si scopre oggi
che su 9,2 milioni di studenti solo 391
mila gareggiano nelle competizioni di
istituto.
Una rivoluzione culturale a cui fa
resistenza una certa mentalità, che può
fare leva su di un dato: 1.165 scuole
sono prive di una superficie per l'attività
fisica.
Dove prendere anche queste risorse?
In questa estate che si sta concludendo
ha tenuto banco nelle cronache
di politica economica il dibattito circa
l'esigenza di ritagliare per le fondazioni
bancarie un ruolo sempre più attivo nel
sostenimento delle varie espressioni
del tessuto economico-sociale, come
ad esempio la scuola. Quella scuola
nuova, con la componente sport integrata
a tutti gli effetti, in modo che
il presidente della fondazione possa
intervenire con risorse per il patrimonio
(palestre) senza il rischio di censure per
essere uscito dai settori di intervento
statutari (lo sport è escluso).
In definitiva fondazioni bancarie e
scuola devono intervenire alla base di
un sistema sportivo che, sebbene le
cifre importanti (55 mila miliardi di lire
di giro di affari, il 2,4% del Pil ed il 3%
della spesa nazionale delle famiglie),
rimane un colosso dai piedi di argilla