Il 17 aprile del 1998 questa rubrica
titolò: “Gli sponsor a scuola?”.
Era la logica domanda all’ avvio dell’autonomia
scolastica in Italia, a partire
dalla materia sport, sancito con il
protocollo di intesa Ministero Pubblica
Istruzione/Coni del 12 marzo 1997.
Un accordo, regolato in autunno dello
stesso anno con la Circolare ministeriale
n. 466/1997, che potrebbe essere superato
dall’intraprendenza del ministero
che in Formia, l’11 febbraio 1999, ha
emanato l’ “Ipotesi di progetto nazionale
dell’educazione fisica e sportiva nei
vari ordini scolastici”.
Il possibile fallimento del
Totoscommesse potrebbe avvicinare i
tempi di realizzazione di quel progetto
e le relative conseguenze: il Coni,
in continua caduta di immagine e di
finanze, sarà relegato alla preparazione
degli atleti scelti per i giochi olimpici,
al di fuori della quale il movimento
sportivo passerà sotto il Ministero dello
Sport e della Gioventù (modello francese),
interlocutore diretto del dicastero
dell’istruzione.
Un ostacolo a questo progetto di
associazionismo sportivo scolastico
è sotto gli occhi di tutti: le carenze
patrimoniali (impiantistica) e gestionali
(dotazioni di materiale) del sistema.
L’art. 36 della recente bozza di regolamento
di attuazione circa l’autonomia
gestionale degli istituti, in discussione
nel mondo scolastico dal 21 gennaio
scorso, risponde affermativamente
alla domanda di apertura, prevedendo
infatti l’ingresso della figura dello
sponsor. La norma, se ratificata, sarà
storica, ma è bene fare subito alcune
puntualizzazioni, considerato il digiuno
in materia del Paese.
1. Imprese. Nella patria dell’economia
di mercato, le aziende Usa intervengono
periodicamente e sistematicamente
nel settore dell’educazione scolastica
attraverso le loro fondazioni (corporate
foundations).
Quindi non si tratta di accordi di
sponsorship come si intende in particolare
nello sport, ma di forme di donazione.
Casse di Risparmio a parte, quante
grandi aziende italiane sono dotate di
fondazioni?
2. Scuola. Se per ricevere dei fondi
l’educazione all’attività fisica ed allo
sport diventerà una materia di serie A,
ben venga la rivoluzione, ma dopo le
parole occorrono i fatti.
3. Fisco. Occorre rivedere in chiave
di deregulation l’intera disciplina della
deducibilità dei contributi dai bilanci
dei donatori.
Un discorso non facile in un Paese in
cui la riforma Irap di fine anno ha reso
indeducibili quelli destinati dalle imprese
al settore no-profit.