Hobbisti alla fine?

28 Maggio 1999

Nel prossimo secolo il calcio professionistico

italiano scelto dalle televisioni

sarà sommerso da montagne di miliardi

di lire. Nascerà l'imprenditore sportivo,

cioè colui che farà dell'attività sportiva

di spettacolo la sua principale (se non

esclusiva) attività lavorativa.

Per attività sportiva di spettacolo si

intende quella "istituzionale" di una tale

società, cioè quella di produzione e di

cessione del prodotto tipico, l'evento

sportivo, attraverso mezzi propri: capitali,

impianto e manodopera specializzata.

In altre parole l'imprenditore sportivo

sarà in "fabbrica" (l'impianto) dal mattino

alla sera. Una rappresentanza legale

effettiva nei confronti dei terzi (fisco,

istituti previdenziali ed assistenziali, fornitori,

lega e federazione) e non delegata

a parenti (Daniela Cragnotti) o "testimonial"

di stagione (Marco Minniti).

Oggi nell'industria italiana degli sport

professionistici di squadra, chi lavora

per professione nella società non ha

il capitale, e chi ha il capitale non se

lo è fatto, né lo incrementa gestendo

l'attività sportiva di spettacolo, che tuttavia

finanzia o sponsorizza per motivi

personali (passione sportiva, immagine,

politica, fisco...).

Insomma ci sono le premesse per una

rivoluzione, di cui sarebbe auspicabile

quale conseguenza un ridimensionamento

nello sport ad alto livello dell'attuale

figura dell'imprenditore sportivo

"per hobby". Per diversi aspetti.

Mercato. Le tv faranno la naturale

selezione decretando un "numero chiuso"

a livello europeo (fondamentale

per il basket). In questo numero chiuso

stanno gli "imprenditori sportivi":

capitali, sponsor e diritti tv a nove zeri

più impianto. Privo di retrocessioni, da

questo mercato si esce come da tutti i

mercati: per fallimento.

Strategie. Ai primi segnali di dissesto

l'imprenditore sportivo "hobbista"

odierno abbandona il giocattolo, vendendo

il titolo sportivo per pagare i

debiti della gestione "altrui". Il futuro

imprenditore sportivo gestisce per farsi

i soldi e per non fallire.

Etica imprenditoriale. Oggi nello

sport chi paga nei termini stipendi, trattenute

fiscali, previdenziali e tfr (reale

e non figurativo) dei dipendenti è un

benemerito. Perchè in fondo si spera

sempre in un condono, in un contributo

pubblico (concorrenza sleale?) o nello

sponsor salvatore della patria. Per l'imprenditore

sportivo che ci rimette sugli

utili non esiste.









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