Il calcio sta all’Italia come la corsa sta
al Kenya.
Il Del Piero della situazione, il modello
da imitare si chiama Paul Tergat, cinque
volte campione del mondo di cross e
soprattutto proprietario di diverse case
ad Ngong e ad Eldoret.
Perchè questo è il primo punto: la
corsa in Kenya è come il basket negli Usa
od il calcio in Italia. Più che la celebrità è
il denaro ciò che conta.
Insomma, se un giorno là si correva
dietro alle antilopi, oggi si corre dietro
all’oro.
Una pressione sempre più forte. Il
livello è tale che gli atleti non durano a
lungo sulla scena, incalzati dai giovani
leoni assetati di dollari. Per mettere su
famiglia a fine carriera e sfruttare i vantaggi
economici dell’atletica a favore di
tutti i famigliari. In altre parole, per emergere
dalla onnipresente miseria.
Rimanendo però a casa, perchè i kenyani,
a differenza dei maghrebini, si adattano
a fatica a vivere in Europa.
E questo è il secondo punto, fondamentale
per le multinazionali degli articoli
sportivi, scarpe in testa: 3.000.000
di dollari che grazie all’atletica entrano
in Kenya ogni anno, pari al montepremi
dei meeting conquistati in media dai
corridori degli altopiani.
Un bottino redistribuito in patria in
termini di potere di acquisto nei consumi.
Di scarpe e di magliette firmate
per correre, per sognare. E per indurre
appunto una multinazionale ad investire
quanto basta in un deserto di povertà.
Fila con il dottor Rosa l’ha capito per
prima, cambiando strategia: basta corridori
in Brescia; strutture su misura in
Kenya (camp) per reclutare quanti più
giovani possibile, fra i quali i campioni
del 2000. La corsa è cominciata: Puma,
Adidas e Nike, con i manager-procuratori
che tengono in pugno l’atletica di oggi
(Hermens, McDonald, De Madonna...),
hanno seguito l’esempio della Fila e tutti
insieme oggi si spartiscono la popolazione
giovanile (maschi e femmine)
delle varie tribù del Paese per zone di
influenza.
Queste marche spesso entrano in
conflitto con esercito e federatletica di
Nairobi (targata comunque Nike), allorchè
negano loro gli atleti per gli appuntamenti
istituzionali, dove le medaglie e
le coppe sostituiscono il denaro e quindi
non c’è ritorno.
In definitiva un mercato con cifre
ragguardevoli: 25 i manager da tutto il
mondo presenti ai campionati nazionali
1999 di cross, e 1.639 i partecipanti
alla selezione annuale Discovery Kenya
della Fila (234 under 10, 201 under 12,
168 under 14 e 534 juniors nell’ultima
edizione).
Quanto durerà questo fenomeno economico
e sociale dell’atletica kenyana?
Difficile stabilirlo con precisione, ma la
fame è tale che si può escludere l’ipotesi
di una moda di stagione.