Nel tentare di leggere in prospettiva
i fatti di New York dell’11 settembre
scorso, in preda ad una sorta di
isteria planetaria, è stato inevitabile il
ricorso all’espressione “svolta epocale”.
Dovendo poi riempire in concreto
questo concetto ci si trova spiazzati di
fronte alla sola alternativa che concede
una tale affermazione: conflitto mondiale
od allargamento al Vicino/Medio
Oriente (V/MO) dei principi dei Trattati
delle Comunità Europee. Cioè proprio le
opzioni della Guerra Fredda degli anni
Sessanta rispetto all’Est europeo (patto
di Varsavia) che ci sono state poi chiare
solo nel 1989.
Nella prima ipotesi in passato lo sport
(non ancora industria) si fermò, a partire
dalle Olimpiadi. I Giochi Olimpici
viceversa non hanno chiuso i battenti
in costanza di guerre circoscritte (cosiddette
“regionali”), anche se coinvolti
direttamente in fatti armati. Il ricordo
va a quelli di Monaco di Baviera
nel 1972, dove mandanti, esecutori ed
obiettivi furono noti all’opinione pubblica.
Questa ultima invece è rimasta in
sostanza all’oscuro in merito all’esplosione
durante le Olimpiadi di Atlanta
nel 1996, a tre anni dal primo attentato
alle Torri di New York. Un caso?
Procediamo ora nel senso del secondo
scenario “epocale”, proiettando le
conseguenze che ci competono in questa
rubrica. Una sorta di anticipazione,
seppure non ancora del tutto compiuta,
ce la fornisce la Turchia, dove investimenti
e capitali (in parte mediorientali)
hanno attratto risorse umane e knowhow
da fuori i confini anche nel settore
sportivo, e così da alcuni anni questo
Paese islamico si sta distinguendo in
discipline europee (calcio) ed americane
(basketball). Risultati frutto anche
di processi auspicabili nel bacino nordafricano
del Mediterraneo e nel V/MO:
una laicizzazione equilibrata unita ad
una ridistribuzione in termini sociali del
reddito (scuole, vie di comunicazioni,
infrastrutture...), che in particolare per
il V/MO vuol dire investire a quei fini i
profitti equi e stabilizzati della vendita
del petrolio.
Allora quell’area, nuova frontiera di
investimenti, molto più dell’Est europeo
potrà per esempio diventare anche
un partner finanziario ufficiale di una
industria europea dello sport spettacolo
(calcio e F1) con il fiato corto.
Una partnership capace di allontanare
il mito del satrapo arabo provvisto di
tesori senza limiti pronto a spenderli in
modo avventuroso e scostante (vedi la
finanziaria della famiglia Ben Làden che,
proiettata la scuderia Williams nell’olimpo
della F1, si eclissò tutto ad un tratto
nel 1984). Una finanza matura gestita
da operatori magari in concorrenza con
quelli americani, un po’ meno Paperoni
per un ridimensionamento del mercato
delle armi.