il Muro di Istanbul

12 Ottobre 2001

Nel tentare di leggere in prospettiva

i fatti di New York dell’11 settembre

scorso, in preda ad una sorta di

isteria planetaria, è stato inevitabile il

ricorso all’espressione “svolta epocale”.

Dovendo poi riempire in concreto

questo concetto ci si trova spiazzati di

fronte alla sola alternativa che concede

una tale affermazione: conflitto mondiale

od allargamento al Vicino/Medio

Oriente (V/MO) dei principi dei Trattati

delle Comunità Europee. Cioè proprio le

opzioni della Guerra Fredda degli anni

Sessanta rispetto all’Est europeo (patto

di Varsavia) che ci sono state poi chiare

solo nel 1989.

Nella prima ipotesi in passato lo sport

(non ancora industria) si fermò, a partire

dalle Olimpiadi. I Giochi Olimpici

viceversa non hanno chiuso i battenti

in costanza di guerre circoscritte (cosiddette

“regionali”), anche se coinvolti

direttamente in fatti armati. Il ricordo

va a quelli di Monaco di Baviera

nel 1972, dove mandanti, esecutori ed

obiettivi furono noti all’opinione pubblica.

Questa ultima invece è rimasta in

sostanza all’oscuro in merito all’esplosione

durante le Olimpiadi di Atlanta

nel 1996, a tre anni dal primo attentato

alle Torri di New York. Un caso?

Procediamo ora nel senso del secondo

scenario “epocale”, proiettando le

conseguenze che ci competono in questa

rubrica. Una sorta di anticipazione,

seppure non ancora del tutto compiuta,

ce la fornisce la Turchia, dove investimenti

e capitali (in parte mediorientali)

hanno attratto risorse umane e knowhow

da fuori i confini anche nel settore

sportivo, e così da alcuni anni questo

Paese islamico si sta distinguendo in

discipline europee (calcio) ed americane

(basketball). Risultati frutto anche

di processi auspicabili nel bacino nordafricano

del Mediterraneo e nel V/MO:

una laicizzazione equilibrata unita ad

una ridistribuzione in termini sociali del

reddito (scuole, vie di comunicazioni,

infrastrutture...), che in particolare per

il V/MO vuol dire investire a quei fini i

profitti equi e stabilizzati della vendita

del petrolio.

Allora quell’area, nuova frontiera di

investimenti, molto più dell’Est europeo

potrà per esempio diventare anche

un partner finanziario ufficiale di una

industria europea dello sport spettacolo

(calcio e F1) con il fiato corto.

Una partnership capace di allontanare

il mito del satrapo arabo provvisto di

tesori senza limiti pronto a spenderli in

modo avventuroso e scostante (vedi la

finanziaria della famiglia Ben Làden che,

proiettata la scuderia Williams nell’olimpo

della F1, si eclissò tutto ad un tratto

nel 1984). Una finanza matura gestita

da operatori magari in concorrenza con

quelli americani, un po’ meno Paperoni

per un ridimensionamento del mercato

delle armi.









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