Imposta no, tassa sì

22 Ottobre 1999

Nonostante le proiezioni in ripresa dal

2000 delle scommesse sportive, la crisi

della schedina non sembra avere fine: la

contrazione degli incassi a tutto il mese

di settembre ha raggiunto il 47% rispetto

all’anno precedente. L’obiettivo Coni

di fine anno dei 1.040 miliardi di lire di

entrate totocalcio/totogol sembra ormai

compromesso.

L’inversione di tendenza prevista con

lo svolgimento a regime del totoscommesse

è attesa oltre che dal Coni anche

dall’erario. Su di una quota degli introiti

delle scommesse sportive (5%), lo Stato

infatti punta per garantirsi dal prossimo

primo gennaio la copertura del mancato

gettito della abrogata imposta sugli

spettacoli (si parla di circa 300 miliardi di

lire all’anno).

Una soppressione salutata con soddisfazione

dal mondo dello sport, calcio

professionistico in testa. Questo ultimo

nel 1996 commissionò ad una società

del settore uno studio per dimostrare

l’anomalia tutta italiana di questo balzello

sconosciuto negli altri Paesi dell’Europa

unita.

Il tributo, nato all’epoca della riforma

tributaria degli anni Settanta, ha alimentato

nell’ultimo decennio un contenzioso

presso numerosi tribunali della

Penisola.

Si litiga in merito all’applicazione dell’imposta

(aliquota del 9%) sui proventi

legati all’organizzazione degli eventi

sportivi diversi da quelli pacificamente

tassati relativi alla biglietteria ed agli

abbonamenti. In sostanza si stratta delle

sponsorizzazioni e dei diritti televisivi.

Grazie a questa ultima risorsa l’industria

del calcio professionistico dopo

i Mondiali francesi nel 1998 ha visto

decollare i suoi ricavi in bliancio.

Il divario di potenzialità economiche

fra il calcio e le altre discipline sportive

sta allarmando da tempo i governi della

sinistra di quei Paesi dell’Europa dove il

business del football televisivo ha raggiunto

cifre impensabili solo fino a poco

tempo addietro.

Il 1° ottobre scorso il governo britannico

ha approvato l’istituzione della tassa

sui diritti tv del calcio (aliquota 5%), il cui

gettito andrà a favore dello sport amatoriale.

In Francia la ministro Marie-George

Buffet sulla stessa proposta sta incontrando

la resistenza della Lega calcio, ma

alla fine un analogo provvedimento a

quello di Londra dovrebbe passare.

Insomma l’armonizzazione europea

dei regimi fiscali è ancora lontana anche

in questo settore: mentre in Italia scompare,

in altri Stati questa imposta è destinata

a nascere sotto forma di tassa a

carico dello sport ricco per aiutare quello

orfano della tv. Un modello che farebbe

comodo allo sport italiano per arginare

la spaventosa voragine dei conti della

Sportass, la compagnia di assicurazione

dei 5 milioni di praticanti italiani (professionisti

compresi), che ha toccato recentemente

i 130 miliardi di deficit.









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