L'"impresa" sociale

15 Febbraio 2002

La scorsa settimana è stata annunciata

dal ministro Roberto Maroni la

prossima ultimazione della riforma del

settore no-profit. A soli cinque anni da

quella di Vincenzo Visco (1997), si torna

quindi a parlare di riforma di quella fetta

dell’economia nazionale caratterizzata

dalla assenza del fine di lucro nell’agire.

Quanto sopra è il frutto dell’istanza di

revisione della legislazione in materia

partita dalla base tempo addietro, fatto

raro in Italia.

Come più volte sottolineato in questa

rubrica il mondo sportivo non professionistico

non ha partecipato in questi

anni ai lavori portati avanti di concerto

fra il Forum del Terzo Settore ed i rappresentanti

dei governi succedutisi.

Un atteggiamento che da una parte

può essere letto come reazione alla

esclusione sostanziale dello sport amatoriale

dai settori di utilità sociale definiti

dalla legge sul volontariato (Legge

n. 266/91) e dal decreto legislativo n.

460/1997; dall’altra come l’attesa di una

legge quadro ad hoc in nome della specificità

dello sport.

A tal riguardo sarà interessante

riscontrare se nella riscrittura dei campi

di azione meritevoli di sostegno verrà

confermata l’attività motoria a favore di

soggetti disabili ed extra-comunitari in

condizioni disagevoli (onlus).

Tuttavia al di là di questa verifica,

ciò che avrebbe potuto interessare il

mondo sportivo non professionistico è

un aspetto non secondario della riforma

Maroni: il concetto di “impresa sociale”

che già nella Onlus sportiva della riforma

Visco sussiste nel momento in cui si

afferma l’irrilevanza fiscale dei corrispettivi

pagati dagli utenti, che non devono

essere necessariamente soci facenti

parte di una Assemblea degli aderenti.

E qui sta il punto. L’associazionismo

sportivo odierno di tendenza che eroga

servizi alla collettività, sotto questo

aspetto è già una “impresa”, nel senso

che la centralità dell’Assemblea dei Soci

non esiste più, o meglio l’organo volitivo

coincide con l’organo di gestione

(Consiglio Direttivo). Occorre prendere

atto di questa trasformazione innanzitutto

di costume, ed elaborare una

nuova figura giuridica da fare indossare

a quelle che sono di fatto oggi delle

società di persone (snc piuttosto che

sas) che operano senza fine di lucro.

Una rivoluzione che sposterebbe la rilevanza

fiscale di questi soggetti: essa

non verrebbe più basata sulla natura

(socio, socio di comodo, non socio) di

chi acquista a pagamento beni e servizi,

quindi sul fronte delle entrate dell’ente,

ma su quello delle uscite allorchè, pagati

i fornitori, vengano destinati o meno

dei fondi a remunerare l’attività (non lo

status di socio) dei componenti la compagine

ristretta dell’ “impresa sociale”.









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