La scorsa settimana è stata annunciata
dal ministro Roberto Maroni la
prossima ultimazione della riforma del
settore no-profit. A soli cinque anni da
quella di Vincenzo Visco (1997), si torna
quindi a parlare di riforma di quella fetta
dell’economia nazionale caratterizzata
dalla assenza del fine di lucro nell’agire.
Quanto sopra è il frutto dell’istanza di
revisione della legislazione in materia
partita dalla base tempo addietro, fatto
raro in Italia.
Come più volte sottolineato in questa
rubrica il mondo sportivo non professionistico
non ha partecipato in questi
anni ai lavori portati avanti di concerto
fra il Forum del Terzo Settore ed i rappresentanti
dei governi succedutisi.
Un atteggiamento che da una parte
può essere letto come reazione alla
esclusione sostanziale dello sport amatoriale
dai settori di utilità sociale definiti
dalla legge sul volontariato (Legge
n. 266/91) e dal decreto legislativo n.
460/1997; dall’altra come l’attesa di una
legge quadro ad hoc in nome della specificità
dello sport.
A tal riguardo sarà interessante
riscontrare se nella riscrittura dei campi
di azione meritevoli di sostegno verrà
confermata l’attività motoria a favore di
soggetti disabili ed extra-comunitari in
condizioni disagevoli (onlus).
Tuttavia al di là di questa verifica,
ciò che avrebbe potuto interessare il
mondo sportivo non professionistico è
un aspetto non secondario della riforma
Maroni: il concetto di “impresa sociale”
che già nella Onlus sportiva della riforma
Visco sussiste nel momento in cui si
afferma l’irrilevanza fiscale dei corrispettivi
pagati dagli utenti, che non devono
essere necessariamente soci facenti
parte di una Assemblea degli aderenti.
E qui sta il punto. L’associazionismo
sportivo odierno di tendenza che eroga
servizi alla collettività, sotto questo
aspetto è già una “impresa”, nel senso
che la centralità dell’Assemblea dei Soci
non esiste più, o meglio l’organo volitivo
coincide con l’organo di gestione
(Consiglio Direttivo). Occorre prendere
atto di questa trasformazione innanzitutto
di costume, ed elaborare una
nuova figura giuridica da fare indossare
a quelle che sono di fatto oggi delle
società di persone (snc piuttosto che
sas) che operano senza fine di lucro.
Una rivoluzione che sposterebbe la rilevanza
fiscale di questi soggetti: essa
non verrebbe più basata sulla natura
(socio, socio di comodo, non socio) di
chi acquista a pagamento beni e servizi,
quindi sul fronte delle entrate dell’ente,
ma su quello delle uscite allorchè, pagati
i fornitori, vengano destinati o meno
dei fondi a remunerare l’attività (non lo
status di socio) dei componenti la compagine
ristretta dell’ “impresa sociale”.