La palestra che non c'è

6 Marzo 1998

In vista del decollo del nuovo indice

nel gennaio del 1999, l'Istat ha aggiornato

il paniere dei prezzi al consumo

dei beni legati ai meccanismi di calcolo

dell'inflazione.

Ne scaturisce una fotografia dei consumi,

del tempo libero e delle opportunità

di business del Paese di fine

millennio.

Tra strumenti e tendenze della vita

moderna irrompono le lezioni di ballo e

gli attrezzi per body-building, simboli di

uno stile di vita sempre più improntato

a quel dinamismo che nella palestra

trova il suo habitat. Ed i numeri confermano

la tendenza: dai risultati emersi

dal convegno "Ecologia e sport nei

centri urbani", svoltosi a Todi il 29 e 30

novembre 1997, nei prossimi anni tra gli

"sport" individuali più praticati a livello

amatoriale ci sarà infatti la palestra,

seguita dalla corsa e dalla bicicletta.

La palestra è ormai uno dei luoghi

simbolo dei percorsi individuali della

quotidianità della nostra società. Per lo

più in mano ai privati; troppo esigenti

e raffinati sono i gusti dell'utenza di un

servizio che l'ente pubblico non può

offrire per carenze di risorse strutturali

e professionali.

Fenomeno impressionante quello

delle palestre, nelle metropoli come

in provincia, dilatatosi anche a causa

dell'assenza di mercato del lavoro nella

scuola per l'esercito di diplomati Isef

sfornati annualmente da un sistema che

da un decennio attende una riforma. E

soprattutto programmi di studio che

tengano conto dell'aspetto manageriale

di una professione svolta sempre più

al di fuori dello status (lavoratore dipendente)

e del luogo (scuola) classici.

Ma se per l'Isef si parla di riforma, per

il mondo delle palestre non c'è neppure

la materia da riformare. Questo

potentissimo (anche politicamente)

settore industriale è infatti privo di un

inquadramento giuridico, previdenziale

e tributario.

Non è questione di interventismo

statale a tutti i costi, ma di quanto basta

per fare prendere coscienza ad un mercato

che, se fosse veramente tale, non

tollererebbe sullo stesso piano operatori

e strutture che vanno da equivoci luoghi

di incontro a centri mascherati da

associazioni di volontariato sportivo.









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