Doping e finanza sono i due fattori
della produzione che caratterizzano l’industria
sportiva di fine secolo.
Essi stanno ponendo i governi e le
autorità sportive nazionali e continentali
di fronte a delle scelte: compromesso o
repressione per il primo, mercato (Borsa)
o mutualità per il secondo. Sulle due
questioni quello francese è il governo
europeo occidentale che ad oggi dimostra
una linea di condotta politica chiara:
la seconda soluzione per entrambi.
Due sfide che sta portando avanti da
due anni esatti oggi (insediamento il 4
giugno 1997) il ministro dello sport, la
signora Marie George Buffet (PCF).
La dura legge anti-doping è in vigore
(caso Festina al Tour 1998); quella di riforma
dello sport è attesa in parlamento
per il prossimo autunno.
In Italia il collega di madame Buffet,
Walter Veltroni, nel novembre dell’anno
prima aveva intanto aperto al calcio la
Borsa con la legge n. 586/1996, mentre
sull’argomento doping il primo intervento
veniva lasciato alla magistratura. Il successore
di Veltroni, la signora Melandri, è
una sostenitrice ed una ammiratrice di
madame Buffet.
Il suo disegno di legge contro il doping
della scorsa settimana profuma anche di
aria di Parigi in un clima di recupero del
tempo perduto.
Il semaforo verde allo sport in Borsa
deciso dal predecessore impedirà viceversa
al ministro Melandri di puntare
ad un bis italiano della futura legge di
riforma dello sport transalpino che, con
ogni probabilità, ai club sportivi negherà
piazza affari, ma aprirà al conseguimento
ed alla distribuzione di dividendi.
Il meccanismo ricalca quello delle
fondazioni bancarie italiane in fase di
smantellamento.
L’attuale associazione sportiva francese,
allorchè raggiungerà un certo tetto
del costo del lavoro, dovrà “associare”
una delle quattro società previste nel
progetto: società d’economia mista
sportiva locale (Semsl), impresa unipersonale
sportiva a responsabilità limitata
(Eusrl), società sportiva per azioni (Saos)
o società per azioni sportiva professionista
(Sasp). Alla società il sodalizio cederà
la gestione dell’attività commerciale
(sponsor, diritti tv, merchandising...)
legata a quella sportiva, mantenendo
la titolarità della immatricolazione federale,
di cui la società non potrà mai
disporre per legge. Dal canto suo l’associazione
non potrà paralizzare il funzionamento
degli organi del “socio gerente”,
dal quale riceverà come “dividendo” il
minimo indispensabile per sostenere gli
oneri federali previsti per l’attività.
Il calcio in Italia è un’altra cosa rispetto
a quello francese, ma per il resto
dello sport in attesa dal 1982 della prima
legge quadro, la signora Melandri, privatizzazione
delle federazioni a parte,
potrebbe attendere gli sviluppi dell’autunno
francese.