Largo ai giovani?

2 Agosto 2002

Da un certo tempo a questa parte

nello sport italiano la parola d’ordine è

“largo ai giovani”. Per le diverse componenti

essi sono diventati la panacea

delle degenerazioni dello sport d’élite

professionistico.

Per alcune federazioni (tennis, atletica...)

la linea verde è lo stimolo alla

rifondazione dei rispettivi movimenti

agonistici di vertice in disgrazia.

Per le istituzioni un segnale di sensibilità

nei confronti delle aziende in crisi:

fondi permettendo, la confindustria del

calcio di serie C, la Lega di Firenze,

ha deciso di ripartire dal prossimo torneo

tra le società affiliate le quote del

concorso Totocalcio in via direttamente

proporzionale alla quantità di giovane

manodopera impiegata sul campo; il

tutto in attesa delle norme di attuazione

delle disposizioni contenute nella Legge

Finanziaria 2001 circa gli incentivi fiscali

e previdenziali all’occupazione giovanile

previsti per i datori di lavoro nel calcio di

serie C. In diverse discipline di squadra

i management puntano sul vivaio per

motivi di contenimento del costo del

lavoro. E non mancano per finire sponsor

storici e nuovi che, rifiutando la vetrina

dello sport di vertice, hanno deciso

di investire negli esordienti (Mapei,

Liquigas...).

A questo punto il fenomeno merita

alcune considerazioni.

Innanzitutto questa attenzione verso

la formazione sportiva giovanile è ben

diversa da quella a sfondo sociale dell’Italia

del boom economico fine anni

Sessanta, un’epoca in cui di “lavoro sportivo”

si parlava limitatamente al calcio.

Cioè qui non stiamo formando sportivi

nel tempo libero, ma futuri “lavoratori

dello sport”. Il tutto avviene forzatamente

al di fuori di un sistema scolastico

che dovrebbe essere in grado di offrire

quelle valide alternative, allorchè scopriremo

che oggi questo disegno sembra

sottovalutare le delicate prospettive

di quel mercato sbocco finale degli

investimenti:

- un professionismo sempre più selettivo

(anche e soprattutto per motivi

finanziari) che va verso il “numero chiuso”;

- uno pseudo-dilettantismo sempre

più legato alle alterne fortune dello

sponsor principale;

- il comparto dei gruppi sportivi di

Stato sulle spalle dei cittadini che deve

fare i conti con il debito pubblico ed il

rispetto dei Patti di stabilità comunitari;

- la crescente manodopera sportiva

extracomunitaria, a partire per l’industria

del calcio da quella proveniente

da un contiente allo sbando come il

SudAmerica. In Brasile i dollari della Nike

del recente trionfo mondiale seguiranno

i campioni all’estero, mentre quelli nelle

tasche della federazione difficilmente

riusciranno a contrastare con progetti

concreti l’espatrio organizzato dei giovani

calciatori.









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