La nostra società periodicamente si
interroga ed invoca lo sviluppo “sostenibile”.
Sostenibile. Un termine che richiama
la memoria al principio informatore
della scuola di pensiero austriaca di
due secoli addietro, che caratterizzava
il ciclo di studi economici negli istituti
tecnici superiori ad indirizzo ragionieristico:
la capacità di autolimitazione
nell’agire economico.
Un atteggiamento responsabile che
va oltre il “non fare il passo più lungo
della gamba” da parte dell’operatore
(famiglia, impresa, Stato) con mezzi
contenuti a disposizione; esso dovrebbe
infatti diventare un sentire comune
che muove anche chi di risorse ne ha, e
molte, ma non le impiega in un mercato
fragile per non alterare certi equilibri, a
partire da quelli inerenti il costo della
manodopera. Senza contare poi che a
lungo termine quella “supremazia” non
verrebbe premiata in proporzione agli
investimenti sia in termini di immagine
che di profitti. Questi ultimi sconterebbero
infatti le ripercussioni negative del
settore.
Riflettiamo: in una delle massime
espressioni dell’industria sportiva spettacolistica
oggi in fase di stagnazione,
la Formula 1, con modi di fare forse
discutibili non si sta cercando in fondo
di portare le grandi scuderie (Ferrari in
testa) all’applicazione di quel principio?
Allora si può e si deve cominciare
a parlare di “sport sostenibile”, a maggiore
ragione nell’àmbito dei confini
nazionali.
Per esempio nel massimo campionato
francese di pallavolo il budget di
spesa annuale di un sodalizio tipo è di
895mila euro, fatta eccezione per quelli
dei club di Parigi (1.500) e di Tourcoing
(1.250) che impiegano lavoratori stranieri
per 3/6; questo mercato non
sarebbe più “sostenibile” allorchè un
imprenditore decidesse di costruire un
club transalpino “mondialista” per 6/6
a 3.000euro; quanti delle attuali società
potrebbero fare fronte al conseguente
incremento salariale senza l’aiuto pubblico?
In Canada la questione è aperta
nientemeno che nello sport nazionale,
l’hockey su ghiaccio. Per aiutare i club
impegnati nel costosissimo circuito statunitense,
le autorità distrettuali preleveranno
da questo anno e fino a tutto il
2005 il 12,5 per cento della retribuzione
giornaliera dei lavoratori delle società
che pagano ingaggi oltre certi tetti
(Edmonton, Calgary), e redistribuiranno
il gettito (in totale 3,6milioni di euro)
a favore delle aziende in difficoltà. In
barba al liberismo ed alla libera concorrenza.