Ma chi ce lo fa fare?

21 Gennaio 2000

Associazioni di pallavolo maschile di

serie A1 ed A2 in rivolta, pugili che fuggono

in Lussemburgo. L’inizio del nuovo

anno nel panorama sportivo nazionale

si è aperto anche con questi fatti accomunati

dalla motivazione: costringere i

consigli nazionali della Fipav e della Fpi

a revocare l’applicazione della Legge 23

marzo 1981, n. 91 sul professionismo

sportivo, in via retroattiva dal 1° gennaio

2000 per la boxe e dal prossimo 1°

luglio per il volley.

Cerchiamo di comprendere questo

fenomeno, seguendo un ordine.

La legge n. 91/1981 è una legge dello

Stato, ma la sua applicazione nei diversi

sport è subordinata ad una delibera di

consiglio nazionale delle varie federazioni.

La base della norma è il contratto di

lavoro subordinato con tanto di versamenti

obbligatori ai fini del tfr, fiscali

(irpef ed addizionali), previdenziali

(enpals) e, nel prossimo futuro, assicurativi

(inail). Insomma un aggravio di

costi per le parti, rispetto alla prassi

dei rimborsi spese esenti da tasse e

da contributi della ex Legge 25 marzo

1986, n. 80, nella quale associazione ed

atleta trovavano lo strumento ideale

per regolare i loro rapporti economici

di fronte allo Stato fino a 18milioni di

lire. Una cifra non più credibile ai massimi

livelli per pallavolo e pugilato. Da

qui la svolta alla luce del sole verso il

professionismo.

Ma il nuovo status fiscale dello sportivo

al servizio di una associazione dilettantistica

uscito a fine anno dal cilindro

di Visco ha cambiato (forse senza volerlo)

le carte in tavola: spazzata la legge n.

80/1986, il nuovo compenso non ha più

limiti, è esente da contributi, da tasse

fino a 6milioni e sulla parte eccedente

scatta una favorevole trattenuta secca

del 19% in barba alla progressività dell’Irpef.

Pugili e pallavolisti vogliono fare marcia

indietro. Ma a quelle condizioni, chi

applicherà ancora in futuro la legge sul

professionismo?









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