Con ogni probabilità i Mondiali di
calcio in corso diventeranno l’evento
sportivo più seguito nella storia della
televisione con 41 miliardi di audience
globale.
Gli Americani sono molto attenti a
questi aspetti, fanno i conti, confrontano
la media giornaliera dei contatti
tv dell’evento (1,3 miliardi) con i 140
milioni di telespettatori della finale del
Super Bowl 2002 nello scorso Febbraio,
e si rendono conto di quanto pesa non
essere protagonisti nell’industria del
calcio.
In questo momento storico gli
Americani stanno facendo i conti con
il dissesto di alcuni gruppi della finanza
e della new economy nazionali, ma
guardano con altrettanto sospetto alla
potentissima confindustria del calcio
mondiale in Zurigo, la Fifa, e si domandano
come il reggente, lo svizzero Joseph
Blatter, non sia ancora stato messo
sotto processo nonostante i fallimenti
di due partner in due anni (Isl e Kirch)
ed il non controllo sulle uscite gestionali
dell’ente.
La risposta la trovano (e la troviamo)
in questi giorni: il mondo adora il calcio.
I finanziatori della Fifa, i 15 sponsor
mondiali, non chiedono altro che questa
vetrina mondiale. In futuro possibilmente
biennale ed aperta a nuovi mercati
(per l’edizione africana della Coppa
del Mondo non sono ancora sufficienti i
consumi solo sudafricani).
Dunque industria mondiale del calcio
uguale Fifa uguale Adidas uguale
Ma dal 1994 attraverso Nike gli Americani
cercano di dare scacco matto al sistema,
con la vittoria in finale di una squadra
della scuderia.
Dal 1994 questa è la vera sfida della
Coppa del mondo di calcio. E non può
che essere così.
Dal 1994 il prezzo che paga il colosso
tedesco dell’abbigliamento sportivo per
mantenere la partnership in esclusiva
con Zurigo è salito. Come in tutti gli altri
settori dove c’è concorrenza. Il tutto a
vantaggio della Fifa e della Coppa del
Mondo sempre più faraonica. Risultato:
i costi della Coppa del mondo sono
ormai tali che io Fifa ho bisogno di te
sponsor tecnico (Adidas) che hai bisogno
che una mia affiliata da te vestita
si affermi. Per vendere più magliette e
ripagare i costi dell’investimento mondiale
(forniture gratuite di dotazioni
tecniche all’organizzazione, spot sulle
televisioni di mezzo mondo, diritti di
immagine degli atleti...), i fornitori e gli
stipendi. Insomma per fare quadrare i
conti. Sarà business, ma è innanzitutto
economia di impresa. Con tanto di
rischio se un Chievo di turno (Robe di
Kappa, Puma, Umbro o Hummel) fa saltare