La fatturazione di sponsorizzazioni e
di prestazioni pubblicitarie inesistenti
o di importo maggiorato nello sport
dilettantistico esiste da tempo.
Nel 1986 l’entrata in vigore della
legge sui rimborsi spese e le indennità
di trasferta forfettarie esentasse ha
standardizzato il meccanismo: la restituzione
all’imprenditore della maggiore
quota fatturata viene ricostruita attraverso
l’erogazione figurativa per contanti
dei suddetti compensi a percettori
ignari o compiacenti.
Tangentopoli portò alla ribalta della
cronaca le vicende più clamorose.
La punta di un iceberg che ha raggiunto
dimensioni intollerabili per l’erario,
se è vero che il ministero delle
finanze, dopo averlo annunciato nel
maggio scorso, ha emanato di recente
un pacchetto di misure contro le “superfatture”.
Il provvedimento in pratica blinda
in banca o presso la posta la gestione
finanziaria dell’associazionismo sportivo,
al fine di limitare i margini di manovra
per operazioni elusive.
Se si è arrivati al punto di bandire
l’uso di denaro contante, è ora di andare
alle radici di questo fenomeno.
Un fenomeno delittuoso che, dalla
parte del soggetto sportivo, fonda spesso
la sua ragione di esistere sulla possibilità
di esercitare senza fine di lucro la
promozione, l’organizzazione e la pratica
dell’attività sportiva di base, quella di
avviamento allo sport dei giovani.
Se ci pensate a mente serena, è qualcosa
di perverso.
Una delle cause principali del ricorso
alla fatturazione gonfiata attraverso lo
strumento dell’associazionismo sportivo
da parte delle Pmi italiane di capitali
(srl, spa) è il carico fiscale-previdenziale
(Irpeg, Irap e costo del lavoro) obiettivamente
elevato.
Senza una revisione della intera
materia, si ottiene ben poco in termini
di prevenzione del fenomeno in questione.
Sull’altro fronte, occorre distinguere
i sodalizi sportivi che “rimborsano” i
tecnici per l’avviamento dei junior da
quelli che erogano rimborsi ed indennità
anche a favore degli atleti senior (le
cosiddette “prime squadre”). Il prodotto
finito dell’attività dei senior, la partita,
è il fine per il soggetto sportivo, ma è il
mezzo per l’imprenditore che, tramite
l’associazione, ricompensa di fatto gli
atleti-sandwich sponsorizzati. Il provvedimento
ci può stare.
Ma scaricare la questione tout court
sulle spalle anche della formazione
sportiva privata, può provocare forme
di disubbidienza corale nei confronti di
uno Stato che non ha saputo canalizzare
l’avviamento allo sport nell’ambiente
naturale del sistema scolastico a tutti i
livelli, pubblico e privato.