Carlo Emilio Gadda nasce a Milano il 14 novembre 1893, da una famiglia della media borghesia lombarda, caduta in difficoltà a causa dei disastrosi investimenti economici del padre. Dopo la morte del padre, la madre provvede al mantenimento della famiglia e costringe il figlio a rinunciare agli studi letterari per iscriversi alla Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano.Convinto interventista, allo scoppio della prima guerra mondiale partì come volontario nei reparti territoriali delle truppe alpine, venendo dislocato nelle zone arretrate del fronte sull’Adamello e sulle alture vicentine. Fu fatto prigioniero e deportato a Celle (Germania). L’esperienza della guerra e della prigionia, dopo la rotta di Caporetto, lo porteranno a scrivere Giornale di guerra e di prigionia, pubblicato solamente nel 1955. Al rientro a casa nel 1919, la notizia della morte del fratello aviatore, precipitato con il suo apparecchio durante un combattimento, lo getta in un stato di profonda depressione, da cui si riprende assai lentamente. Laureatosi in ingegneria elettrotecnica, lavora come ingegnere prima in Sardegna e in Lombardia, e poi tra il 1922 e il 1924 in Argentina. Ritornato a Milano, si iscrive alla Facoltà di filosofia, e si mantiene insegnando matematica e fisica. Nel 1925 riprende l’attività di ingegnere; e inizia a collaborare alla rivista fiorentina «Solaria», pubblicandovi saggi e racconti. Durante un lungo riposo dovuto a motivi di salute, elabora vari testi rimasti incompiuti. Nel 1931 appare il suo primo libro La Madonna dei filosofi. Fallito il tentativo di vivere solamente del suo lavoro letterario, torna all’ingegneria, intensificando però il suo impegno in campo letterario. Nel 1934 esce il suo secondo volume Il Castello di Udine. Nel 1936, in seguito alla morte della madre, inizia a scrivere il romanzo La cognizione del doloreAbbandonata definitivamente la professione di ingegnere, dal 1940 al 1950 vive a Firenze, dove si lega a scrittori e critici, tra cui Montale, Bo e molti altri. Negli anni della guerra escono Le meraviglie d’ItaliaGli anni e la raccoltaL’Adalgisa. Nel ’50 riceve l’incarico di redattore dei programmi culturali della Rai; ottiene il premio Viareggio con Le novelle del Ducato in fiamme; e, sempre nello stesso anno, porta a termine Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana che ottenne un vasto consenso di pubblico. Negli anni successivi cresce notevolmente la sua fama e vengono pubblicate molte sue opere rare o inedite: la raccolta di saggi I viaggi e la morteVerso la certosa, la raccolta di novelleAccoppiamenti giudiziosiEros e PriapoLa meccanicaNovella seconda. Ciò nonostante non muta il suo distaccato e traumatico rapporto con il mondo: Gadda continua a vivere nel suo doloroso e tormentato isolamento fino alla morte, che lo coglie a Roma il 21 maggio 1973.

Giornale di guerra e di prigionia

Gadda si arruolò volontario il 1º giugno 1915 e fu congedato il 3 ottobre 1919. In sei quaderni diversi per formato e numero di pagine tenne, fra il 24 agosto 1915 e il 31 dicembre 1919, un diario. I quaderni (eccetto il terzo andato perduto in occasione della ritirata di Caporetto) furono pubblicati solo a partire dal 1955. Scritto come un diario e senza un preciso impianto letterario, il Giornale di guerra e di prigionia è una denuncia forte e amara dell’incompetenza con cui era stata condotta la guerra e del degrado della vita dei prigionieri. L’opera riporta in differenti occasioni alcuni dei temi che diventeranno il fondamento delle sue opere maggiori: il disordine oggettivo del reale, l’affetto dell’autore nei confronti del fratello, l’orrore della guerra, il disprezzo delle gerarchie. Il testo che ne proponiamo qui di seguito è una realistica e impietosa rappresentazione delle condizioni delle nostre truppe al fronte e, al tempo stesso, un violento atto di accusa contro i vertici militari e politici.

 

 

Edolo, 20 settembre 1915. – Ieri passai una giornata noiosa con mal di testa e stanchezza. Oggi sto meglio. Oggi è ancora giorno di riposo, per la festa nazionale. Nessuna speciale animazione nelle vie del borgo: deserte e uggiose.- I nostri uomini sono calzati in modo da far pietà: scarpe di cuoio scadente e troppo fresco per l’uso, cucito con filo leggero da abiti anzi che con spago, a macchina anzi che a mano. Dopo due o tre giorni di uso si aprono, si spaccano, si scuciono, i fogli delle suole si distaccano nell’umidità l’uno dall’altro. Un mese di servizio le mette fuori d’uso. Questo fatto ridonda a totale danno oltre che dell’economia dell’erario, del morale delle truppe costrette alla vergogna di questa lacerazione, e, in guerra, alle orribili sofferenze del gelo! Quanta abnegazione è in questi uomini così sacrificati a 38 anni, e così trattati! Come scuso, io, i loro brontolamenti, la loro poca disciplina! Essi portano il vero peso morale della guerra, peso morale, finanziario, corporale, e sono i peggio trattati. Quanto delinquono coloro che per frode o per incuria li calzano a questo modo; se ieri avessi avuto innanzi un fabbricatore di calzature, l’avrei provocato a una rissa, per finirlo a coltellate.

 

 

 

Noi Italiani siamo troppo acquiescenti al male; davanti alle cause della nostra rovina morale diciamo: “Eh ben!”, e lasciamo andare. Non è esagerazione il riconoscere come necessaria una estrema sanzione per i frodatori dell’erario in questi giorni, poiché il loro delitto, oltre che frode, è rovina morale dell’esercito. – Io mi auguro che possano morir tisici, o di fame, o che vedano i loro figli scannati a colpi di scure. – Non posso far nulla: sono ufficiale, sono per giuramento legato a un patto infrangibile di disciplina; e poi la censura mi sequestrerebbe ogni protesta. Se veniva il Semenza a trovarmi, gli consegnavo un pacco di articoli da mandare anonimi (non è una viltà l’anonimità in questo caso) a qualche giornale democratico: poiché questo stato di cose non dovrebbe essere oltre tollerato.-Chissà quelle mucche gravide, quegli acquosi pancioni di ministri e di senatori e di direttori e di generaloni: chissà come crederanno di avere provveduto alle sorti del paese con i loro discorsi, visite al fronte, interviste, ecc. Ma guardino, ma vedano, ma pensino come è calzato il 5° Alpini! Ma Salandra, ma quello scemo balbuziente d’un re, ma quei duchi e quei deputati che vanno «a veder le trincee», domandino conto a noi, a me, del come sono calzati i miei uomini: e mi vedrebbe il re, mi vedrebbe Salandra uscir dai gangheri e farmi mettere agli arresti in fortezza: ma parlerei franco e avrei la coscienza tranquilla. Ora tutti declinano la responsabilità: i fornitori di materiali, i collaudatori ai fornitori, gli ufficiali superiori agli inferiori, attribuiscono la colpa; tutti si levano dal proprio posto quando le responsabilità stringono. E’ ora di finirla: è ora di impiccare chi rovina il paese. Non mi darò pace se non avrò fatto qualche cosa e alla prima occasione farò.

Alessandra D’Agosta 3 A