Lo spiritismo nella Grande Guerra

La Prima guerra mondiale, la più “moderna” tra le guerre fino ad allora combattute, non fu esente da fenomeni radicalmente antimoderni, tra questi il più inquietante, ma non sorprendente, fu il diffondersi dello spiritismo1. Non sorprendente, si è detto, visto il crescente numero di lutti che indistintamente, a partire dal 1914, colpì quasi ogni famiglia d’Europa.

In età moderna la pratica di comunicare con i morti aveva trovato il suo apogeo in età vittoriana. Il fenomeno trovava senso in quella reazione di rigetto alle certezze del positivismo in campo comportamentale ed evoluzionistico. Questa forte spinta antimaterialistica trovava, tuttavia, la ferma opposizione di tutte le chiese cristiane e di quella cattolica in primis. Ogni forma di divinazione o di comunicazione con i morti era considerata di natura demoniaca e poggiava su precisi divieti biblici ( Levitico 20,6, Deuteronomio 18,10-2) tanto che nel 1898 papa Pio IX mise all’indice il movimento e i suoi testi2. Malgrado le censure ecclesiastiche lo spiritismo proliferò in tutta Europa facendo adepti, anche insospettabili, tra docenti universitari, filosofi (ricordiamo Henry Bergson e William James), scienziati e premi Nobel, ad esempio Lord Rayleigh, fisico, nobel nel 1904 o William Mc Dougoll, fisiologo, ma anche Cesare Lombroso, padre dell’antropologia criminale, o ancora i celebri scienziati russi Wagner e Butlerov, rispettivamente zoologo e chimico, entrambi noti occultisti.

Seduta spiritica, Londra, fine ‘800

Lo scoppio della guerra portò, inevitabilmente,l’occultismo e lo spiritismo da espressione culturale di nicchia, per spiriti liberi e radicali, a fenomeno di massa. Lo spiritismo divenne uno strumento legittimo per alleggerire lo strazio di milioni di famiglie. Testimonial d’eccellenza di questo filo diretto tra i caduti al fronte e i familiari a casa fu l’esperienza dello scrittore inglese Arthur Conan Doyle, il padre dell’investigatore Sherlock Holmes, esempio letterario di incrollabile fede scientista.

Tra il 1914 e il ’18 la guerra, direttamente o indirettamente, falcidiò la famiglia di Conan Doyle che perse il figlio, ferito nella battaglia della Somme, il fratello e il cognato, quest’ultimo ucciso a Mons. I lutti minarono la granitica fede razionalistica dello scrittore che a partire dal 1915 incominciò a frequentare sedute spiritiche per mettersi in contatto col figlio. La fama dello scrittore e la sua presa di posizione pubblica in favore dello spiritismo ne fecero un punto di riferimento per molte famiglie inglese distrutte dalla perdita, soprattutto, di un figlio. Questo lavoro di proselitismo si concretizzò in un’opera dal titolo The new revelation , del 1918 e che per tutto il decennio post bellico divenne un best-seller dello spiritismo europeo. Ma lo spiritismo non fu appannaggio solo delle famiglie a casa, anche i soldati al fronte non furono immuni da questo contagio irrazionalistico. Nell’orrore delle trincee, esposti quotidianamente alla lotteria del vivere o morire, i soldati di tutti gli eserciti riscoprirono arcane e pre-razionali forme di pensiero. Fin dai primi mesi di guerra presero a diffondersi su tutti fronti storie di fenomeni soprannaturali avvenuti sui campi di battaglia. Tra l’esercito inglese, per esempio, dopo la battaglia di Mons, che rallentò nel ’14 l’avanzata tedesca sul fronte occidentale, cominciò a circolare la voce di strane apparizioni. Sulle trincee di Mons in molti giuravano di aver visto nientemeno che spettri di arcieri inglese morti ad Azincourt (1415). Tra i francesi, invece, in un’inchiesta raccolta dal fisiologo Charles Richet, centinaia furono le testimonianze di premonizioni di morte poi effettivamente avveratesi o ancora di fantasmi di commilitoni morti e riapparsi per spronare al combattimento i compagni o esortarli a portare consolazione ai familiari3.

Man mano che la guerra mieteva vittime sui campi di battaglia, i morti, o meglio gli spettri, diventavano presenze sempre più costanti nella vita e nelle suggestioni dei soldati. I caduti erano ovunque e la loro presenza era pervasiva nella psiche dei compagni, tanto da costituire un vero e proprio esercito parallelo che combatteva a fianco dei vivi. Al termine della guerra lo spiritismo, come fenomeno di massa, andò lentamente scemando ritornando ad essere una pratica per élites. La sublimazione del lutto da parte dei sopravvissuti spense, infatti, l’interesse per la comunicazione coi morti, tornando a relegare questa forma di “mediazione” con l’aldilà ai margini della storia culturale d’Europa4.

1 Jay Winter, Il lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale d’Europa, Il Mulino, Bologna, 1997, pag.8

2 Ibidem.

3Jay Winter, op.cit., pag. 98.

4Ibidem, pag. 109.