https://it.wikipedia.org/wiki/Estetica


La parola “aesthetica” ha origine dalla parola greca αἴσθησις, che significa “sensazione”, e dal verbo αἰσθάνομαι, che significa “percepire attraverso la mediazione del senso”. Originariamente l’estetica infatti non è una parte a sé stante della filosofia, ma l’aspetto della conoscenza che riguarda l’uso dei sensi.
STORIA
La civiltà greca fu forse il primo ambito culturale nel quale le attività artistiche acquistarono una loro definizione, tale da distinguerle dalle comuni attività della vita sociale; tuttavia erano concepite in modo molto diverso da oggi: il termine usato per la produzione di oggetti artistici era infatti il generico téchne, che indicava ogni operazione dell’uomo tesa a modificare e trasformare le cose di natura, e più in generale tutto ciò che era identificabile come artificio non naturale. Venivano definite e accomunate da questo termine tanto ciò che per noi oggi è comunemente l’arte quanto ciò che noi distinguiamo come artigianato, e addirittura la furbizia e la frode potevano essere considerate delle technai. Soltanto in seguito venne coniato lo specificativo technai eleutheriai. Ma la téchne si esprimeva anche come un “fare” umano al di fuori delle esigenze quotidiane, e in tal senso era il verbo poiein ad indicarlo, e il derivato poiesis l’attività artistica in generale. All’interno delle technai eleutheriai vennero a poco a poco raccolte tutte quelle forme espressive concernenti le nostre cosiddette arti visive (quali architettura, scultura, pittura), quelle letterarie e quelle dello spettacolo. Le Olimpiadi erano le occasioni in cui sia i professionisti che gli intellettuali dilettanti potevano cimentarsi nelle attività da esse previste oltre a quelle sportive.
Per Platone arte e scienza vanno valutate sullo stesso piano in quanto tentativi di rappresentazione dell’idea del bello nel primo caso, della verità nel secondo. Platone però non accettò l’arte tra le discipline di educazione sociale perché incita la passione invece di disciplinarla. Inoltre l’arte, vista come tentativo di imitazione della natura, ne è solo una incompleta rappresentazione che non può tendere all’idea del bello.
Per tutta l’antichità e per molti secoli a venire, l’arte in tutta la sua produzione fu imitazione della natura. Aristotele, nella sua Poetica, ne evidenziò il rapporto, indicando come da questa attività l’uomo tragga insegnamento e diletto. Aristotele, a differenza di Platone, evidenziò inoltre come la creazione dell’opera d’arte permetta la materializzazione dell’idea e quindi la sua manifestazione. Quest’idea però scaturisce esclusivamente dalla mente dell’artista e non può essere equiparata alla concezione platonica di bellezza assoluta.
Fatto salvo il Trattato del Sublime, di incerta attribuzione, che descrive i sentimenti connessi con l’uso di particolari artifici retorici, un ultimo tentativo di rilievo che portò la teoria dell’arte fino al Medioevo è quello della filosofia di Plotino, che ristabiliva il collegamento tra opera d’arte e regno delle idee, supponendo una visione interiore già espressa anche da Platone, che permette all’artista di attingere dalla forma ideale del bello la sua rappresentazione materiale. La teoria estetica è riportata nel corpus Dyonisianum dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita. Anche questo tentativo portò comunque al conflitto per cui la bellezza assoluta non può essere contaminata dalla materia dell’opera prodotta, evidenziando ulteriormente il valore negativo del procedimento artistico.
Nel Medioevo, Tommaso d’Aquino definisce l’opera d’arte in sé né morale né immorale, lo diventa solo se aiuta l’uomo nel suo perfezionamento o ve lo distoglie. Come in Platone, l’arte distingue un bello “formale”, che si ferma alla sola bellezza, e un bello “integrale”, che partecipa nel contempo alla bellezza e al bene.
La nascita dell’estetica si fa di solito risalire al 1750 la pubblicazione del libro Aesthetica da parte di Alexander Gottlieb Baumgarten, che la definì come “scienza del Bello, delle arti liberali e gnoseologia inferiore, sorella della Logica”. In pratica, essa era preposta allo studio dei concetti di Bello come categoria a sé stante e con propri criteri di valore

ALEXANDER GOTTLIEB BAUMGARTEN
La poesia infatti è un “analogo della ragione” ed è connaturata allo spirito umano, come dimostra la naturale tendenza dell’uomo verso la bellezza sensibile ed artistica. Nell’estetica il filosofo tedesco include anche la poetica dove vengono forniti precetti e regole di stile rifacendosi ai classici latini e greci e ai trattatisti italiani del Cinquecento.
Baumgarten ha anche posto in maniera definita e chiara la differenza tra quello che è di competenza del pensiero logico e ciò che riguarda la sensibilità umana, quella disposizione intellettuale di tipo sensistico-percettivo, definita da lui scientia cognitionis sensitivae.
Egli dà all’inizio della sua opera principale Aesthetica la definizione seguente: « L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare in modo bello, arte dell’analogo della ragione) è scienza della conoscenza sensibile.»
L’estetica per lui è quindi:
un’arte liberale che opera per la cultura;
produttrice di conoscenza vera, ma indefinita e non logica;
costituente il campo dove ci si occupa della bellezza;
un analogo del logico-razionale, poiché la razionalità del pensiero estetico è soltanto analogica rispetto al pensare della logica.
La sensibilità estetica, la cognitio sensitiva ha una sua assoluta specificità, ed è indipendente dalle altre forme del sapere. L’estetica è una conoscenza “aurorale”, ma niente affatto irrazionale; conoscenza poliedrica e polisemantica quella estetica è conoscenza del “carattere” di un oggetto, quindi riguarda oggetti individuabili ed individuati.

STUDIO DEL BELLO E STUDIO DELL’ARTE
L’estetica è stata tradizionalmente definita come lo studio del bello, ma alcuni estetologi, poiché la nozione di bello appare troppo vaga e indeterminata per poter essere adeguatamente studiata, si sono rivolti all’analisi delle arti, giungendo alla definizione dell’estetica come studio dell’arte. Ognuno di questi due concetti, bello e arte, appartiene ad una sfera diversa. Il bello infatti non è limitato all’arte e l’arte non è in linea assoluta la ricerca del bello; in alcuni momenti storici, come ad esempio nell’antichità, il rapporto fra arte e bello apparve infatti tenue o addirittura inesistente e, sebbene venisse ugualmente approfondito lo studio sia dell’uno che dell’altro aspetto, questi furono trattati separatamente in quanto non appariva alcuna motivazione logica valida per associarli. Lo studioso moderno invece fatica a dissociare il bello dall’arte poiché troppe idee intorno al bello si sono sviluppate dallo studio dell’arte e numerose idee intorno all’arte derivano dallo studio del bello.
Si tratta quindi di due sfere che tendono a convergere e tale tendenza, che rappresenta il primo dualismo evidente nella storia dell’estetica, è caratteristica della storia di questa disciplina: lo studioso potrà pertanto attribuire maggior rilievo al bello o all’arte, ma l’estetica, in quanto disciplina, evidenzia un duplice campo di ricerca in quanto comprende lo studio di entrambi.

ECONOMIA O ETICA
KALIKAGATHIA
“è bello ciò che è bello o è bello ciò che piace?”
Il termine si origina dalla sostantivizzazione di una coppia d’aggettivi: καλός κἀγαθός, (kalòs kagathòs), crasi di καλὸς καὶ ἀγαθός, (kalòs kai agathòs), cioè “bello e buono” inteso come “valoroso in guerra” e come “in possesso di tutte le virtù”. In particolare, il termine καλός per i greci si riferisce non solo a ciò che è “bello” per il suo aspetto sensibile, ma anche a quella bellezza che è connessa al comportamento morale “buono” (ἀγαθός).
La bellezza nella cultura greca arcaica è concepita come un valore assoluto donato dagli dei all’uomo e spesso associato alle imprese di guerra dell’eroe omerico.
In base a un esauriente studio sulle ricorrenze del termine kalokagathia, risulta invece che questo concetto più che essere un’eredità della civiltà omerica fu ampiamente introdotto, ad Atene in particolare, a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. dai Sofisti, che caratterizzavano con questa espressione l’intellettuale dominante nella carriera oratoria e politica, senza più riferirsi dunque a qualsiasi aspetto militare ma piuttosto a un valore morale di virtù e giustizia.
Per Platone quello della kalokagathia è un ideale aristocratico che distingue il sapiente dalla massa incolta:
«Chi si dedica alla ricerca scientifica o a qualche altra intensa attività intellettuale, bisogna che anche al corpo dia il suo movimento, praticando la ginnastica, mentre chi si dedica con cura a plasmare il corpo, bisogna che fornisca in compenso all’anima i suoi movimenti, ricorrendo alla musica e a tutto ciò che riguarda la filosofia, se vuole essere definito, giustamente e a buon diritto, sia bello sia buono.»
La kalokagathia quindi deve essere l’oggetto dell’educazione dell’uomo eccellente:
«Tutte le qualità buone e belle devono essere tenute in esercizio e la saggezza non meno delle altre.»
La kalokagathia dunque rappresenta la concezione greca del bene connessa all’azione dell’uomo e si sostiene quindi che vi sia una complementarità tra “bello” e “buono”: ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono è necessariamente bello.
Questo stesso principio del bello e buono viene riportato all’ordinamento del cosmo che con i suoi armonici movimenti astronomici e con la precisione dei rapporti matematici in esso nascosti, come avevano già messo in evidenza i pitagorici, funziona bene ed è quindi compiutamente perfetto (τέλειος, compiuto):
«È necessario che la condizione del bene sia compiuta o non compiuta? – Certamente la più compiuta di tutte, o Socrate.»
Una perfezione che nella visione platonica non può contemplarsi se non nel mondo ideale perfetto dove la suprema bellezza coincide con la perfetta bontà: il “bello e buono” sono principi che spingono gli uomini a imitarlo nel loro comportamento morale.

SOLO BELLEZZA OGGETTIVA

Cosa traspare di così bello da definire una cosa buona?
Noi definiamo bello solo ciò che per noi è utile (econonomia),
non preoccupandoci di quei valori morali, di cui a volte ce ne serviamo per nasconderci da ciò che non può essere giustificato. La nostra propensione alla scelta di un partner, ad esempio, è basata sulla valorizzazione di determinati principi e cataloghiamo le persone, oltre che dall’impressione dataci a primo impatto, sui nostri parametri di selezione. Selezione che può essere di tipo economico o eugenetico.
Il bello è oggettivo perchè è il trasparire del bene nel mondo materiale. Per quanto noi possiamo avvicinarci al vero significato di bello la nostra visualizzazione sarà sempre corrotta. Le nostre necessità, i vuoti causati dalla tendenza dell’uomo nella ricerca dell’utile e il desiderio volto alla perfezione dell’essere umano porta alla distorsione dei criteri assunti per la qualificazione del bello. Solo colui che vede ciò che è veramente bello e non utile arriva al santo.

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ARTICOLO REDATTO DA DE VITA AURORA ALLIEVA DELLA CLASSE III B DEL LICEO CLASSICO