Secondo Platone, Eros è figlio di Pòros (ricchezza, abbondanza) e Penìa (povertà). La sua peculiarità consiste essenzialmente nella sua ambiguità, ovvero nell’aspirazione alla verità assoluta e disinteressata (la sua abbondanza); ma al contempo nel suo essere costretto a vagare nelle tenebre dell’ignoranza (la sua povertà). La contrapposizione tra verità e ignoranza viene sentita da Platone come una profonda lacerazione, fonte di continua irrequietezza e insoddisfazione. 

Si desidera, infatti, soltanto quello che non si ha, per questo eros è la forma più bassa di amore. Il desiderio che genera l’amore nasce da una mancanza, pertanto questo tipo di sentimento provoca una sofferenza che non potrà mai essere colmata, dato che quando si ottiene ciò che si pensa di amare non lo si ama più, siccome non c’è più la mancanza che era il motivo del nostro amore. Si può notare come la ricerca di questo amore muova dalla stessa consapevolezza socratica del “sapere di non sapere”. Platone aggiunge che l’uomo non desidererebbe con tanta forza una tale verità se non l’avesse mai vista, se non fosse certo che esiste. In tal senso, non solo si desidera quel che non si ha, ma si desidera soltanto ciò che non si ha più, che si è perso.

Per Platone vale l’ideale della kalokagathìa, ossia bellezza e bontà. Tutto ciò che è bello (kalòs) è anche vero e buono (agathòs) e viceversa. La bellezza delle idee che attira l’amore intellettuale del filosofo perciò è anche il bene dell’uomo. Il fine della vita umana diventa la visione delle idee e la contemplazione di Dio. Tale contemplazione è sempre imperfetta nella dimensione del mondo sensibile, dominata dalla materia priva di essere. L’esistenza per Platone è una dimensione ontologica che non ha l’essere in proprio, ma esiste solo in quanto è subordinata a un essere superiore; egli la paragona a un ponte sospeso tra essere e non essere. L’uomo è dilaniato così da una duplice natura: da un lato avverte il richiamo del mondo iperuranio, in cui risiede la dimensione più vera dell’essere, eterna, immutabile, e incorruttibile, ma dall’altro il suo essere è inevitabilmente soggetto alla contingenza, al divenire, e alla morte (non-essere). Questa duplicità umana è vissuta dallo stesso Platone ora in maniera più ottimista, ora con toni decisamente più pessimisti. Da ciò deriva il disprezzo dei platonici per il corpo: Platone più volte nei dialoghi gioca con l’assonanza di parole sèma/sòma, ossia “tomba”/“corpo”: il corpo come tomba dell’anima.

Esiste però un’altra forma di amore, una più alta, l’agape. Questo tipo di sentimento può essere provato solamente dai genitori verso i figli e da un marito verso la moglie ma non viceversa. Questo avviene perché quando un uomo ama una donna è come se lei diventasse sua figlia e per questo si sente in dovere di proteggerla. La persona che prova questo tipo di sentimento non desidera il meglio per se stesso, ma lo desidera per l’altra persona; quando la persona amata è felice anche la persona che ama lo è e lo stesso succede quando la persona è triste. Proprio come avviene dai genitori verso i figli e dal marito verso la moglie.


Sitografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Platone#La_filosofia_come_Eros

https://it.wikipedia.org/wiki/Eros_(filosofia)#Platone


ARTICOLO DI LETIZIA RIVPLI DELLA CLASSE III I DEL LICEO LINGUISTICO