FONTI:

Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Friedrich Nietzsche


SITI CONSIGLIATI:

http://www.filosofico.net/nietzsccardonefranc.htm

http://xoomer.virgilio.it/fnietzsche/Analisi/enigma.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Così_parlò_Zarathustra


Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (Also sprasch Zarathustra. Ein Buch für Alle und Kainen) è una delle opere più celebri, maestose ed emblematiche del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Composta da un prologo e da quattro parti dove vengono riportati i vari discorsi di Zarathustra, venne scritta tra il 1883 e il 1885. La prima parte fu scritta da Nietzsche nel gennaio 1883, secondo la sua testimonianza, in dieci giorni. La stampa della seconda parte durò dalla fine di luglio alla fine di agosto 1883, mentre quella della terza parte durò dalla fine di febbraio alla fine di marzo del 1884, sappiamo inoltre che intercorre circa un anno tra la pubblicazione della terza e quella della quarta, infine la stampa della quarta e ultima parte durò dalla metà di marzo alla metà di aprile del 1885. Questa quarta parte dell’opera non doveva conoscere pubblicità, probabilmente anche perché Nietzsche avrebbe voluto ritornare – in tempi più favorevoli – al primitivo progetto di un altro scritto zarathustriano di cui essa sarebbe stata la prima parte. Solo nel 1892 si ebbe una prima edizione completa dello Zarathustra che comprendeva anche la quarta parte, dopo che questa era stata resa pubblica nel 1890. Il libro quarto della Gaia Scienza si chiudeva con un aforisma che corrisponde esattamente al primo paragrafo del Prologo di Così parlò Zarathustra; il nome di Zarathustra compariva però nelle annotazioni del filosofo già un anno prima della pubblicazione della Gaia Scienza: la figura di Zarathustra, insieme al pensiero dell’ «eterno ritorno», sorsero all’orizzonte di Nietzsche nell’estate del 1881, come rivelano anche delle sue annotazioni. Nonostante ciò è ancora sconosciuta l’esatta fonte, dalla quale Nietzsche ha desunto questo nome, presumibilmente la fonte più prossima è un passo dei Saggi di Emerson, che Nietzsche lesse con particolare attenzione e su cui annotò a fianco «è questo!».

Noi pretendiamo che un uomo si stagli così impotente e simile a una colonna nel paesaggio, da meritare che si narri di lui quando si alzi e si cinga i lombi per accorrere in tal luogo incontro a un altro. Le immagini più degne di fede ci sembrano quelle di grandi uomini che si imponevano, catturando i sensi, già al loro primo apparire; come accadde al saggio orientale, che era stato inviato per mettere alla prova i meriti di Zarathustra o Zoroastro. Quando il saggio di Yunnan arrivò a Balk, ci narrano i Persiani, Gustaps stabilì un giorno in cui si dovevano radunare i Mobed di ciascun paese, e fu tenuto pronto per il saggio di Yunnan un seggio d’oro. In quel momento l’amato Yezdam, il profeta Zarathustra, fece il suo ingresso nel mezzo dell’assemblea. Quando il saggio di Yunnan ebbe scorto quel capo, disse: “Una siffatta figura e un tale passo e portamento non possono mentire; e niente che non sia verità può uscirne fuori”

L’opera ha come argomento i viaggi fittizi e la pedagogia del profeta Zarathustra, o Zoroastro. Si tratta di un personaggio realmente esistito, anche se la sua figura è avvolta nel mito: fu un saggio principe persiano, fondatore della religione che dominò la Persia dal VI secolo fino alla conquista araba, lo zoroastrismo. Effettivamente lo Zarathustra di Nietzsche ha in comune con quello storico solamente il nome. Nel prologo dell’opera, composto da 10 brevi parti, viene descritto il “tramonto” di Zarathustra che, stanco del possesso solitario della saggezza che lo ha “saturato fino al disgusto” e desideroso di spartire i suoi doni “finché i saggi tra gli uomini tornino a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza”, scende dalla montagna in cui si era rifugiato per dieci anni: Zarathustra reca agli uomini un “dono” e, giunto in una città limitrofa chiamata “Vacca pezzata”, parla alla folla riunita annunciando: “io vi insegno il superuomo”.

Delle tre metamorfosi

Analizziamo ora il primo discorso di Zarathustra, quello “Delle tre metamorfosi”, che inizia così:

Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo.

In esso Zarathustra esprime con una metafora molto efficace l’essenza spirituale del superuomo: il cammello rappresenta l’uomo gravato e reso schiavo dal peso dei valori e dagli ideali della morale e della metafisica che subisce la vita, ma anche l’abnegazione e la rinuncia, l’io soggiogato e chino:

Tutte queste cose, le più gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, così corre anche lui nel suo deserto.

Il leone invece, che raffigura la seconda metamorfosi, incarna il momento della rivolta e della possibilità di una nuova libertà, dicendo si alla vita:

Ma laddove il deserto è più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuole come preda la sua libertà ed essere signore del proprio deserto.

Il leone dunque si trova nel deserto a dover fronteggiare un “grande drago”, che incarna il “tu devi” e sulle cui squame rilucono i valori millenari delle cose, che gli sbarra il cammino ma lo spirito del leone dice “io voglio”. Il leone però non è ancora in grado di creare nuovi valor bensì la sua potenza è capace di crearsi la libertà per una nuova creazione. Zarathustra continua affermando che un tempo il leone amava come la cosa più sacra il “tu devi”, ora  invece è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nella cose più sacre. É necessaria dunque una terza e ultima metamorfosi: il leone diventa fanciullo.

Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì

E così continua:

Ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo.

Il fanciullo, dunque, caratterizzato da un’innocenza primordiale, esprime nel suo gioco creatore il superamento dell’uomo inteso come l’affermazione della sua essenza più propria. Non l’uomo pienamente realizzato, nel senso di colui che fa del proprio io il suo esclusivo orizzonte, è dunque il superuomo, bensì colui che dimentica se stesso confondendosi nella gioia infinita del gioco creatore. L’oltreuomo, colui che ha in se lo spirito creatore del fanciullo, sarà tale solo se recupera la trasformazione cammello-leone-fanciullo.

La visione e l’enigma 

La terza parte dell’opera ha come tema portante l’eterno ritorno, centro nevralgico di tutta l’opera. Nella prima parte Zarathustra scende dalla montagna per insegnare agli uomini la dottrina del superuomo (Übermensch), nella seconda il profeta dialoga con i suoi discepoli, mentre nella terza parte egli ritorna nella sua più profonda solitudine. Ciò che lega il primo discorso, quello “Delle tre metamorfosi” a questo discorso della terza parte che andremo ad analizzare è il fatto che l’eterno ritorno richieda uno sforzo estremo per Zarathustra, dettato dall’esigenza di un’ultima trasformazione, ovvero quella che porta al fanciullo. Un altro apparente elemento di raccordo tra i due discorsi è il fardello che il cammello porta su di se, proprio come fa Zarathustra.

Il primo discorso che introduce l’eterno ritorno è proprio “La visione e l’enigma”, nel quale Nietzsche espone questa dottrina mediante una “visione del più solitario tra gli uomini”, ad indicare che l’eterno ritorno può essere compreso solamente nella più totale solitudine. 

Zarathustra sta salendo faticosamente una montagna e il suo incedere è reso gravoso da un peso che porta sulle sue spalle:

Così il mio piede si faceva strada verso l’alto. Verso l’alto: a dispetto dello spirito che lo traeva in basso, in basso verso abissi, lo spirito di gravità, il mio demonio e nemico capitale. […]metà nano; metà talpa; storpio; storpiante.

Il nano rappresenta i valori universali e trascendenti della morale che rendono la vita un insieme di costrizioni e di doveri e che impediscono di dare un significato alla propria esistenza: la teoria dell’eterno ritorno infatti può essere intesa come fondamento di un senso nuovo e diverso della vita. Non è da intendere però come una vera e propria teoria poiché non è né dimostrata né argomentata; Heidegger infatti la definisce “dottrina”. Il fulcro dell’eterno ritorno è rappresentato nel momento in cui Zarathustra si ferma e dice al nano «Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte son io -: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo – tu non lo potresti sopportarlo!». Il nano dunque scende dalle spalle di Zarathustra, che improvvisamente si sente più leggero. I due si trovano di fronte ad una porta carraia nella quale convergono due sentieri, che simboleggiano il passato e il futuro, e sulla cui sommità c’è scritto “attimo”, punto effettivo di incontro tra passato e futuro. Le due vie sono entrambe infinite ed eterne e convergendo e divergendo allo stesso tempo si contraddicono a vicenda. A questo punto il nano afferma che tutte le cose diritte mentono e che il tempo stesso è una circolo, proponendo così la formulazione secondo cui il tempo è circolare. Zarathustra lo biasima perché prende la questione troppo alla leggera; continua problematizzando l’infinità del passato:

E se tutto è già esistito: che pensi,. o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia – esserci già stata?

Se il passato è una via infinita, di conseguenza qualsiasi nostra possibilità e qualsiasi configurazione di un accadimento devono già essere accaduti; questo perché l’infinità del passato include qualsiasi configurazione del presente. Così anche il futuro accadimento deve essere già accaduto. L’eterno ritorno deve essere dunque interpretato come creazione di qualcosa che fatto adesso tornerà in eterno. Zarathustra quindi più che soffermarsi sulla circolarità del tempo, insiste sull’eternità di passato e futuro e sulla loro ripetitività.

All’improvviso però Zarathustra ode un cane ululare e ciò gli riporta alla mente un passato episodio caratterizzato da un medesimo ululare. La scena cambia totalmente: egli si chiede dove siano il nano, la porta, il ragno e se stia sognando.

D’un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna.

Zarathustra afferma di non aver mai viso una tale scena agghiacciante di fronte ai suoi occhi:

Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca.

Il pastore è Zarathustra stesso mentre il serpente raffigura la circolarità dell’eterno ritorno che aggioga l’uomo e il pensiero della vita vissuta come un insieme di attimi insignificanti, nell’attesa che la loro somma produca qualcosa di sensato, o, come sostiene il cristianesimo, che alla miseria della vita terrena segua dopo la morte un’esistenza autentica. Zarathustra cerca di strappare il serpente dalla bocca del pastore ma i suoi tentativi risultano vani e dunque grida: «Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!». Il pastore segue il consiglio di Zarathustra e sputa lontano da sé la testa del serpente, balzando così in piedi. Il morso dato al serpente simboleggia il rifiuto di una vita alienata e priva di senso. 

Non più pastore non più uomo, – un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! […]udii un riso che non era di uomo. 

 Il pastore si trasforma e accetta ogni momento della vita per sé stesso, senza derivarne il senso dal passato o dal futuro.