SITI CONSIGLIATI


https://doc.studenti.it/appunti/filosofia/cosi-parlo-zarathustra-visione-enigma.html

http://www.filosofico.net/nie3.htm

https://www.skuola.net/filosofia-moderna/cosi-parlo-zahrathustra.html

http://xoomer.virgilio.it/fnietzsche/Analisi/enigma.htm


 

così parlò Zarathustra- introduzione:                                                                                                                   Così parlò Zarathustra è l’opera principale della terza fase della filosofia di Friedrich Nietzsche, quella che si apre con le alternative che si manifestano con la morte di Dio e l’avvento dell’ultimo uomo o del superuomo, in cui Zarathustra è il profeta del superuomo. L’opera è suddivisa in quattro parti:  

  • la prima è dedicata alla distruzione della morale platonico-cristiana;
  • la seconda è dedicata alla redenzione;
  • la terza e la quarta alla dottrina del ritorno.

L’intero libro, è proposto come un continuo viaggio ciclico che non finisce con la fine del testo, ma permane per la vita. Il percorso di Zarathustra è la rappresentazione del continuo viaggio mentale che il lettore fa sia durante la lettura sia in riletture successive. Il percorso e i luoghi proposti sono sempre i medesimi, ma la plurarità dei significati e le varie chiavi di lettura creano messaggi e interpretazioni sempre nuove che sono percepite in base alle personali realtà quotidiane e alle proprie esperienze che portano ad arricchire la conoscenza di particolari sempre nuovi. Zarathustra in quest’opera ha il compito di annunciare agli uomini la venuta del Superuomo e la fine delle illusioni, egli infatti si pone come un profeta, professando l’accettazione totale ed entusiastica della vita, gli uomini però non sembrano pronti ad accettare ciò che lui dice. Quando Zarathustra giunge in città dopo dieci anni per insegnare quello che ha imparato fino a quel momento, non venne apprezzato dalla folla, allora prese la via del ritorno verso “le sue montagne e i suoi animali”. Tuttavia, durante il cammino incontra altri uomini che invita nella sua casa a dialogare con lui.                            Giunto a destinazione, dopo aver parlato con i suoi ospiti, così come il lettore, si rende conto dei propri errori e limiti e riuscendo a superarli si carica di una nuova forza che lo porta a ripercorrere la strada della città, sicuro che questa volta troverà “amici” pronti ad ascoltarlo.

il superuomo secondo Nietzsche                                                                                             Il superuomo, secondo Nietzsche, è un nuovo tipo di uomo in grado di accettare la dimensione dionisiaca dell’esistenza, che accetta la vita così come è senza aspettarsi nulla dalle condizioni che gli sono spettate. È colui che regge la morte di Dio, le certezze assolute e supera il nichilismo. Il superuomo è colui che ha il coraggio di sostituire la morale Cristina e avere una trasmutazione dei valori con il modello ideale del mondo omerico.                                                                               Accetta la prospettiva dell’eterno ritorno, ovvero della concezione, secondo la quale il corso degli eventi del mondo, compiuto il proprio ciclo, ritorna su sé stesso, in una serie indefinita di identiche ripetizioni, e sarà capace di rivivere gli stessi istanti dando a loro significati sempre nuovi, ponendosi come volontà di potenza. Il superuomo è colui che riconosce la sua natura vitale e mondana, accettando totalmente la vita. Comprende l’inesistenza dell’anima, e si riconosce sostanzialmente corpo. Per spiegare il senso del superuomo Nietzsche riccorre alle “Tre Metamorfosi dello Spitito”:  

  • Il cammello rappresenta l’uomo piegato sotto il peso della tradzione
  • Il leone è l’uomo che si libera dalle presunte certezze metafisiche ed etiche, giungendo ad una libertà che ha però una connotazione negativa; è libertà “da” e non libertà “di”.
  • Il fanciullo è il superuomo, ovvero una creautura di natura dionisiaca che, nella sua innocenza ludica, dice di sì alla vita e diviene uno “spirito libero”.

 

Della visione e dell’enigma                                                                                                                                          Il brano “La visione e l’enigma” si trova nella terza parte dello Zarathustra, nella quale Nietzsche annuncia la teoria dell’eterno ritorno.    Il brano si presenta come un racconto esposto da Zarathustra ai marinai della nave che lo trasportano nel mare aperto: egli  parla a loro della sua salita faticosa su di un sentiero di montagna. Nel racconto di Zarathustra si associano due immagini essenziali, il mare e la montagna, ossia l’altezza e la profondità estreme che alludono al pensiero dei pensieri, tutto ciò sopportando il peso di uno strano personaggio, un nano deforme, che rappresenta lo “spirito di gravità”, l’ “arcinemico” di Zarathustra, di cui Nietzsche ne spiega la metafora  in un successivo capitolo dello Zarathustra, intitolato “Dello spirito di gravità”. Il nano è colui “che scava come una talpa” e dice: “buono per tutti, cattivo per tutti”, rappresenta cioè i valori “universali”. Essi, però, impediscono di dare significato alla propria vita. Si è liberato dal nano, aggiunge Nietzsche, “colui che dice: questo è il mio bene e male”. Il coraggio è quello di considerare se la propria vita, sottratta ai valori esterni, ha di per sé valore, e, dato che la risposta è ovviamente negativa, di iniziare a vivere in altro modo, nella prospettiva dell’eterno ritorno.                                                                                                                  Giunti davanti ad una porta carraia, sulla quale sta scritta la parola “attimo”, e da cui si dipartono, in direzioni opposte due sentieri infiniti, (la porta carraia e i due sentieri simboleggiano il tempo e l’eternità) Zarathustra domanda al nano: “Credi tu, nano, che queste vie si contraddicano in eterno?” e il Nano: “Tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”                                                                                                                                                                                               Benché il nano abbia fatto riferimento al circolo dell’eterno ritorno, non ha indovinato l’enigma, perché ha preso le cose troppo alla leggera. Successivamente Zarathustra rivolge al nano una seconda domanda:E se tutto è già esistito: che ne pensi tu, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra in modo tale che quest’attimo trae dietro di sé tutte le cose a venire? Dunque anche sé stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche questa lunga via “al di fuori” – deve camminare ancora una volta!” Zarathustra domanda ora partendo dall’attimo; e in riferimento ad esso si deve pensare di nuovo l’intera visione che esige una propria posizione nell’ “attimo” stesso, cioè nel tempo. In tal modo la domanda è posta ad un livello infinitamente superiore, tale da non poter essere soddisfatta dal nano.                               Zarathustra allora espone così la dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale: Nel quale dice che il passato deve essere liberato, deve essere riportato nell’ambito della volontà di potenza, perché altrimenti esso,come immutabile,vanificherebbe il divenire, lo renderebbe qualcosa di illusorio; ma la redenzione del passato non può essere la sua modificazione, con il costituirsi di un altro passato, perché ciò amplierebbe solo la dimensione dell’immutabile; dunque, lo stesso passato, in tutte le sue sfumature di contenuti, deve eternamente ritornare così come esso è stato. Il tempo, quindi, non ha uno sviluppo semplicemente lineare, bensì circolare: l’andare in avanti è, insieme, un tornare indietro, perché andando avanti ci si muove, restando in un circolo, verso il punto di partenza. Quindi, ciò che stato non è qualcosa di immodificabile, di eternamente sottratto alla volontà, ma è qualcosa che ritornerà infinite volte, eternamente.                                                                                                                                                                        Ritornando eternamente su se stesso, il divenire del mondo, quindi il mondo stesso, non ha principio né fine, non ha alcuno scopo né alcun senso il cui essere prestabilito ed immutabile vanificherebbe il divenire stesso.                                                             L’oltreruomo, conoscendo la dottrina dell’eterno ritorno e volendo l’eterno ritorno, si identifica allora con la dimensione universale della volontà di potenza, avendone la piena consapevolezza:   In quest’ottica, l’oltreruomo vuole ed ama la necessità dell’accadere di ogni cosa, che si ripete all’infinito. La necessità di cui parla Nietzsche è una necessità cieca, irrazionale: gli enti, infatti, non hanno alcun legame intrinseco fra di loro, perché questo legame sarebbe di nuovo un immutabile che vanificherebbe il divenire. La necessità nietzscheana è allora la necessità dello stesso ripetersi eterno del caos:                                                                                                                                                                                                                             “ il caos implica la necessità del ritorno eterno del caos, della mancanza di senso del tutto. Appunto per questo Nietzsche scrive che ‘il carattere complessivo del mondo è … caos per tutta l’eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine’ metafisico-epistemico”.                                                                     

Successivamente appare un pastore “cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca”.                                                                                                                                                                                                                           “Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca”.
“Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinti su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e lì si era abbarbicato mordendo.
“La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava – invano! Non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: “Mordi! Mordi!”.
“Staccagli il capo! Mordi!”, così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me – buono o cattivo – gridava da dentro di me, fuso in un sol grido”. Il pastore morse come gli fu gridato e sputò lontano da sé la testa del serpente. Balzò in piedi. Non era più un pastore, tantomeno un semplice uomo ma “un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!”.


L’apparizione del pastore, priva com’è di ogni legame e continuità di spazio e tempo con la scena della porta carraia.                            Il serpente che si insinua nelle fauci è appunto il pensiero della vita vissuta come un insieme di attimi insignificanti, nell’attesa che la loro somma produca qualcosa di sensato, o, come sostiene il cristianesimo, che la miseria della vita terrena prepari un’esistenza autentica dopo la morte.                                                                                                                                                                                Il morso dato al serpente è il rifiuto di questa dinamica, il suo rovesciamento. Ogni istante ha valore in quanto tale e ad ogni momento della propria vita occorre dare un senso. Accettare ciò implica una metamorfosi, vuol dire andare oltre l’uomo. Dopo essersi liberato dal serpente, il pastore è un uomo nuovo, anzi, un superuomo; egli ride, accetta ogni momento della vita per se stesso, senza derivarne il senso dal passato o dal futuro.


ARTICOLO DI ERIC BERTIERI DELLA CLASSE V A DEL LICEO CLASSICO