Leif Erikson

IL PRIMO EUROPEO IN AMERICA

Nonostante comunemente si pensi a Cristoforo Colombo come primo Europeo ad aver messo piede sul suolo americano, questo merito spetta in realtà a un altro grande esploratore: Leif Erikson, lo scopritore di Vinland, nato in Islanda intorno al 970 da Erik il Rosso.

LA FAMIGLIA E LE SAGHE

I racconti riguardo alle straordinarie imprese della sua famiglia sono state tramandate per centinaia di anni attraverso le mitiche saghe norrene, in particolare quella di Groenlandia e quella di Erik il Rosso, dapprima oralmente poi per iscritto. Grazie a queste abbiamo preziose informazioni, sebbene tra la leggenda e la realtà, della storia degli insediamenti vichinghi nell’Atlantico settentrionale.

Questi intrepidi avventurieri avevano l’audacia nel sangue, infatti nel IX secolo un loro avo chiamato Naddoddr fu tra i primi colonizzatori delle isole Fær Øer oltre che il primo norvegese a raggiungere l’Islanda, all’epoca occupata da monaci eremiti Irlandesi. Pare che fu lui, arrivato in questa terra per errore e trovatosi in mezzo a una nevicata, a denominarla Snæland (Terra della neve), che divenne poi Ísland (Terra del ghiaccio).

Erik il Rosso

Con il passare delle generazioni arriviamo a un altro personaggio chiave delle navigazioni vichinghe, Erik il Rosso, così chiamato per il colore dei capelli, nato in Norvegia nel 940 circa. Questi fu esiliato dalla terra natale insieme al padre Thorvald Asvaldsson per aver commesso alcuni omicidi, dunque i due si stabilirono sulle coste occidentali dell’Islanda, dove Erik trovò moglie. Poco tempo dopo però, attorno al 982, rimasero nuovamente coinvolti in un fatto di sangue durante una rissa, perciò furono condannati a lasciare l’isola per tre anni. Così, con la sua famiglia e alcuni coloni, Erik salpò alla ricerca di una nuova terra avvistata da un uomo di nome Gunnbjörn, che era stato trascinato verso occidente a causa del maltempo. Il Rosso raggiunse la costa di un territorio ghiacciato e per due anni lo esplorò in cerca di una zona abitabile. Terminato il bando e deciso a colonizzare la suddetta terra, tornò in Islanda e «riferì di aver scoperto “Grünland” (Groenlandia)[ossia “Terra verde”] , nome appositamente dato ad una terra quasi per intero coperta di ghiacci per renderla “attraente” ai futuri coloni», bisogna però anche considerare che in quel tempo la temperatura potesse effettivamente essere più calda rispetto alle epoche precedenti e successive. In ogni caso, Erik riuscì nell’intento e, passato l’inverno, ripartì con diverse navi (probabilmente 25) ma in Greenland ne arrivarono soltanto 14. Fu dunque lui ad insediarsi per primo in Groenlandia, in una baia che fu chiamata Eriksfjord (fiordo di Erik) con sede principale Brattahlid. Oggi conosciamo con precisione due principali insediamenti: quello occidentale e quello orientale, che a dispetto del nome, pur trovandosi più a est dell’altro, rimane sul lato occidentale dell’isola, esattamente a ovest di Capo Farewell, la punta meridionale della Groenlandia.

LA SCOPERTA DI LEIF: VINLAND

Dopo questa doverosa introduzione, possiamo ora concentrarci sul nostro protagonista. Leif Erikson trascorse gli anni di studio in Norvegia, poi ritornò in Groenlandia con l’ordine del santo re Olaf il Cristianizzatore di convertire i coloni, l’impresa riuscì bene con la madre che fece costruire la prima chiesa dell’emisfero occidentale, mentre il padre rimase fedele alla religione norrena.

Leif Erikson scopre l’America, dipinto di Christian Krogh

Successivamente Leif, venuto a sapere che un certo Bjarne Herjolfsson aveva avvistato una nuova terra a occidente, decise di comprare la sua nave e partire con un equipaggio di 35 uomini, tra cui “uno del Sud”, probabilmente un tedesco o quantomeno un uomo di nome Tyrkir che parlava tedesco.

Secondo la leggenda, chiese a Erik di seguirlo nella spedizione, e questi accettò dopo essersi inizialmente mostrato riluttante, ma venuto il giorno della partenza cadde da cavallo e si fece male a un piede e interpretò l’accaduto come il segno che non era destinato ad avventurarsi oltre alla terra da lui colonizzata.

Dunque Leif Erikson intorno all’anno 1000 «veleggiò verso occidente in esplorazione e si imbatté dapprima in una costa pietrosa, per la qual cosa chiamò la regione “Helluland” (terra delle lastre di pietra). È l’odierna Terra di Baffin. Veleggiò poi verso sud e scoprì una costa ricca di boschi che chiamò “Markland” (terra dei boschi) – l’odierno Labrador. Proseguendo ancora a sud raggiunse una terra che… ma sulla denominazione data a questa terra è necessario soffermarsi più a lungo.

Quando furono giunti in questa terza terra, essa gli apparve talmente bella e ubertosa  che vi rimasero, costruirono delle case e ben presto ripartirono per un’ulteriore ricognizione. Avvenne un giorno che il tedesco […] si smarrì. Leif si mise a cercarlo ma ben presto Tyrkir fu di ritorno. Ma si comportava da matto e faceva strane smorfie: in poche parole, sembrava proprio ubriaco. Interrogato sul perché del suo strano comportamento, venne fuori con una notizia sorprendente: aveva trovato delle viti! Vedendo che gli altri dubitavano del suo racconto, si infuriò: dopotutto era nato in una regione del Sud, dove crescevano viti e uva. Di conseguenza, Leif diede a quella terra il nome di “Vinland”, terra del vino.»

I viaggi dei Vichinghi intorno al 1000 d.C. La carta mostra come, a differenza di Colombo, essi abbiano scoperto il Nuovo Mondo viaggiando a tappe successive, da un’isola all’altra. (da “Il primo Americano”)

Questa spiegazione generò molti dubbi e discussioni tra gli studiosi, ai quali sembrava piuttosto improbabile che la vite selvatica potesse crescere così a Nord. Rimase quindi acceso per molti anni il dibattito riguardo alla localizzazione di Vinland e le ipotesi avanzate furono le più disparate: Massachusetts, Virginia e persino la Florida.

Fu Helge Ingstad, un appassionato esploratore norvegese determinato a fare chiarezza sulla vicenda, a tramutare le saghe leggendarie in realtà storica grazie alle sue ricerche. Dopo alcuni studi effettuati in Groenlandia, rifletté sull’etimologia di “Vinland”: significava davvero “terra del vino”?

Come è naturale pensare, analizzando il racconto del mito riscontrò diverse imprecisioni, in particolare nella storia di Tyrkir: il vino di cui si parla sarebbe potuto essere ricavato da delle bacche reperibili lungo le coste dell’America Settentrionale (“squashberry”) oppure dal ribes, in svedese chiamato “Vinbär”. Osservò inoltre che il termine “Vin” sin da tempi antichi indicava una terra ricca e feconda, “terra dei pascoli e dei prati”.  A dimostrazione di ciò in Norvegia e in Danimarca, molte località fertili presentano nel loro nome il prefisso “Vin”, senza alcun riferimento al vino. La differenza tra le due accezioni del termine potrebbe risiedere nella quantità della lettera i (lunga o breve).

L’anse aux Meadows, ricostruzione delle originali case vichinghe

Viaggiò a lungo con la moglie archeologa Anna Stine e la figlia Benedicte in cerca della terra che potesse corrispondere alle descrizioni pervenute, oltrepassò Capo Cod, Boston, il Maine e la Nuova Scozia finché finalmente giunse a Terranova. Qui, nel 1961, presso la parte settentrionale dell’isola, in un villaggio di pescatori chiamato “L’Anse aux Meadows”, il cui nome mezzo francese e mezzo inglese significa letteralmente “La baia presso i prati”, Ingstad riportò alla luce le fondamenta di otto case, oltre che una fucina e una carbonaia. La fortuna degli scavi eseguiti, sette in totale dal ’61 al ’68, non consiste nella quantità dei reperti, che di fatto non furono molti, quanto nelle preziose informazioni da essi ricavate.

Venne trovato: del ferro lavorato ottenuto con una tecnica sconosciuta sia agli Indiani che agli Eschimesi, ma assai familiare agli Scandinavi; del rame in una lega ignota agli indios (che erano solo in grado di martellarlo); infine, nell’ultima spedizione, l’oggetto più importante che portò grande gioia agli scavatori increduli: un piccolo fusaiolo di steatite, del tipo tradizionalmente noto in Groenlandia e in Norvegia!

Le diverse datazioni con il radiocarbonio suggeriscono tutte pressoché lo stesso periodo: circa l’anno Mille. Possiamo dunque dire con certezza che L’Anse aux Meadows fu un insediamento vichingo e non è difficile pensare che si tratti proprio di Vinland, dove Leif Erikson approdò. Taluni infatti ritengono che la cosiddetta “casa lunga” che conteneva diversi vani e aveva dimensioni piuttosto grandi (20mx16m) fosse appartenuta a lui stesso. Da questo insediamento gli uomini di Leif partivano per cacciare e pescare, per poi ritrovarsi alla sera attorno al focolare, dove si raccontavano le gesta compiute, che con il tempo, passate di bocca in bocca,  sarebbero diventate le Saghe che ancora ricordiamo e di cui ora ci stiamo occupando.

Infine Leif, tornato in Groenlandia per morire in patria, lasciò la casa ai parenti e un giorno l’abitazione andò a fuoco. Se fosse già stata abbandonata o se la causa furono gli indigeni, purtroppo non ci è dato saperlo.

Helge Ingstad

Anna Stine Ingstad

TESTIMONIANZA SCRITTA E REPERTI DUBBI

L’esistenza di Vinland è attestata nell’ultimo libro delle “Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum”  (Gesta dei vescovi e della Chiesa di Amburgo), opera in quattro volumi scritta da Adamo da Brema intorno al 1070 e dedicata alla descrizione della geografia, delle genti e dei costumi dei popoli scandinavi, si narra che Sved Estridsen, re di Danimarca, gli avesse parlato di Vinland, una terra ad ovest oltre il grande mare e chiamata così poiché le sue genti riferivano che fosse caratterizzata dalla presenza di numerosi viti e grandi quantità di grano selvatico.

Parlando invece di reperti, è altresì necessario citare due possibili testimonianze delle avventure vichinghe in America: la pietra di Kensington e la mappa di Vinland, entrambe molto discusse a causa della loro autenticità dubbia.

Pietra Runica di Kensington

La prima fu rinvenuta nel novembre del 1898 nelle vicinanze di Kensington, Minnesota, da un agricoltore svedese immigrato Olaf Ohman, che mentre disboscava una collinetta vicino a casa insieme al figlioletto, trovò una pietra avvolta tra le radici di un albero. Il ragazzino notò che su di essa vi erano delle incisioni, portata dunque all’attenzione degli abitanti del posto capirono che si trattava di rune nordiche. Tradotta da un docente di lingue scandinave dell’università del Minnesota, la pietra diceva:

“Otto svedesi e ventidue norvegesi in viaggio di esplorazione da Vinland verso occidente. Eravamo approdati in due basse isole rocciose, due giornate di viaggio a nord di questa pietra. Uscimmo al largo e pescammo per una giornata intera. Ritornati a terra, trovammo dieci dei nostri coperti di sangue, morti. AVM (Ave, Virgo Maria) liberaci dal male. Abbiamo dieci uomini a mare, per sorvegliare i nostri battelli, a quattordici giorni di viaggio da questa isola. Anno 1392”

Il professore che la tradusse per primo la reputò un falso e con lui concordarono diversi altri studiosi, ma alcuni anni dopo coloro che sostenevano la veridicità del reperto replicarono con argomentazioni valide quanto le altre. Così la polemica proseguì senza trovare una definitiva risposta.

La mappa di Vinland

La mappa di Vinland non ha una storia più semplice. Fu rinvenuta per caso nel 1957, rilegata insieme alle pagine di un manoscritto medievale chiamato Relazione Tartara. Passati tra le mani di diversi mercanti antiquari, manoscritto e mappa furono infine acquistati da un benefattore e donati all’università statunitense di Yale, che dopo un periodo di studio ed esami la pubblicò nel 1965. Nella mappa, che è tra le carte più misteriose della storia, oltre al Vecchio mondo sono rappresentate Islanda, Groenlandia e più ad ovest, una terra denominata Vinilanda Insula (“isola di Vinland”), con un’iscrizione che parla della sua scoperta da parte dei Vichinghi nell’XI secolo. Se fosse autentica, potrebbe essere una copia del XV secolo di un’originale mappa del XIII, dunque un importante documento per la cartografia nordica e un’ulteriore prova delle esplorazioni vichinghe.

Sebbene questi reperti rimangano ancora oggi avvolti nel mistero, ormai abbiamo la certezza dell’esistenza di insediamenti vichinghi in Nord America.

I SUCCESSORI DI LEIF E GLI SKRAELING

Tornando ai racconti delle saghe, vi sono ancora alcuni eventi da considerare: gli esploratori che vennero dopo Leif e il loro rapporto con gli indigeni.

Rappresentazione di un combattimento tra Screlingi e Vichinghi

Una nuova spedizione fu guidata da Thorvald, fratello di Leif, dal quale ricevette la nave e presso la cui casa a Vinland si stabilì. Lui e i suoi uomini trascorsero lì l’inverno per poi esplorare i dintorni in primavera. Un giorno, sulla spiaggia, trovarono tre imbarcazioni di pelle (ossia canoe) rovesciate, sotto le quali si nascondevano nove uomini. I Vichinghi, come loro solito, li assalirono e li uccisero tutti, tranne uno che riuscì a scappare. Poco dopo furono circondati da «una flotta di numerosissimi battelli di pelle» e una pioggia di frecce gli fu scagliata contro, una di queste colpì al petto Thorvald che, dopo aver tenuto un breve discorso esortando i compagni a fare ritorno, morì. Ciò accadde intorno al 1007 ed è tutto quello che sappiamo riguardo al primo incontro dei Normanni con gli indigeni, da loro denominati Skraeling (Screlingi).

Successivamente Thorstein Eriksson, altro fratello di Leif, tentò di veleggiare verso il Nord America, ma la spedizione fallì. Verso il 1020 venne dunque Thorfinn Karlsefni, un valoroso uomo di origine norvegese che da tempo viveva in Groenlandia. Egli sposò Gudrid, vedova di Thorstein, e partì alla volta di Vinland con un seguito di sessanta uomini, cinque donne e parecchio bestiame, indubbiamente con l’ambiziosa intenzione di ampliare la colonizzazione. Durante l’estate si imbatterono negli Screlingi, i quali usciti dal bosco in prossimità dell’insediamento vichingo furono terrorizzati dai muggiti del bestiame, e per questo cercarono riparo nelle case dei norreni. L’incontro fu pacifico e amichevole e seguì uno scambio di oggetti. Gli indigeni erano interessati alle loro armi ben costruite, ma Karlsefni non acconsentì, così si accontentarono del latte, che li rese comunque entusiasti, e in cambio offrirono perlopiù pellicce.

Tuttavia Thorfinn, diffidente, fece costruire una palizzata attorno alla sua casa, a quel tempo infatti, era nato suo figlio: Snorri, il primo americano bianco.

In seguito gli Skraeling tornarono più numerosi e più determinati, tant’è che uno di loro cercò di rubare un’arma e un guerriero normanno lo uccise all’istante. I Vichinghi si prepararono dunque alla battaglia, come racconta la saga:

“Gli Screlingi giunsero al luogo che egli [Karlsefni] aveva scelto come terreno per la lotta. La battaglia si accese e un gran numero di Screlingi fu trucidato. Tra le loro schiere vi era un uomo alto e di bell’aspetto, e Karlsefni ritenne che fosse il loro capo. Uno degli Screlingi aveva sollevato un’ascia e la esaminò per un pezzo. Infine la sollevò contro uno dei suoi compagni e gliela scagliò addosso. Quegli cadde subito morto. Allora l’uomo alto afferrò l’ascia, l’osservò anch’egli per un poco e quindi la scagliò più lontano che poté, in mare. Subito dopo tutti gli Screlingi fuggirono nel bosco, correndo più veloci che potevano. E così ebbe termine la battaglia.”

La permanenza di Karlsefni nel Nord America durò due anni, secondo la Saga di Groenlandia, o forse tre, come riporta la Saga di Erik il Rosso. È importante ricordare che le informazioni tra le diverse versioni delle leggende sono spesso discordanti e i fatti non sono mai perfettamente uguali.

Infatti, citando ora il racconto dell’ultimo viaggio a Vinland, conosceremo un personaggio piuttosto controverso: Freydis Eirikdottir, figlia di Erik il Rosso, sorella o sorellastra dei suddetti esploratori. Nella saga che porta il nome del padre si racconta di una sua impresa eroica: la donna si era unita alla spedizione di Thorfinn e un giorno, quando vennero attaccati dai nativi, i Vichinghi nel caos si diedero alla fuga, ma lei, che era incinta, raccolse la spada di un compagno morto e combattendo valorosamente scacciò gli Screlingi.

Nella Saga di Groenlandia, invece, si narra di un episodio atroce messo in atto dalla malvagia Freydis. Questa, dopo il ritorno di Karlsefni, voleva andare in cerca di prestigio e ricchezza, avventurandosi in Terranova. Si accordò dunque con due fratelli islandesi, Helgi e Finnbogi, per organizzare il viaggio, ma giunti a destinazione, Freydis scatenò una contesa con essi. Costei infatti voleva impadronirsi della loro nave più grande, così una notte fece loro visita appositamente mezza svestita e discusse amichevolmente riguardo ai battelli. Fece poi ritorno a casa, entrando nel letto bagnata e con i piedi freddi, svegliando il marito. Gli disse che i fratelli l’avevano battuta e oltraggiata a causa della contesa per le navi e che se non fosse stato un codardo avrebbe vendicato l’offesa subita, altrimenti si sarebbero separati. L’uomo stanco dei rimproveri della moglie, ordinò ai suoi uomini di armarsi contro gli islandesi e di ucciderli tutti, tranne le loro cinque donne. Ma ciò non era abbastanza per Freydis, che prese un’ascia e uccise pure loro.

Dunque, minacciò i suoi che se avessero rivelato l’accaduto a qualcuno in patria avrebbero fatto la stessa fine. Nonostante ciò, tornati in Groenlandia, Leif, insospettito da alcune voci, torturò degli uomini di Freydis e scoprì la verità. Secondo alcune versioni venne decapitata, secondo altre Leif decise di perdonare la sorella.

Con questa storia sanguinaria si concludono i racconti di Vinland, sebbene degli Skraelings non ci sia stato detto molto. Dopo tutto chi erano questi Screlingi?

Nelle saghe è presente una loro descrizione: “Erano dei piccoli ometti. Avevano un’espressione maligna e sul capo una chioma setolosa. I loro occhi erano grandi e le guance larghe.”

Karlsefni, durante una spedizione a nord, aveva trovato cinque screlingi addormentati e, dopo averli uccisi, notò accanto a loro una mistura di sangue e midollo in dei recipienti di legno. Si tratta di una tipica bevanda eschimese, ma Ingstad riferì dell’esistenza di una cosa simile tra gli indios nordamericani. Inoltre, le frecce usate contro i norreni fanno pensare agli Indiani.

Skræling è l’unica parola sopravvissuta del norreno groenlandese, l’antico dialetto norreno parlato dai vichinghi groenlandesi del medioevo. Nell’islandese moderno, skrælingi significa «barbaro», mentre in danese con skrælling si indica una «persona gracile». L’etimologia della parola non è certa. William Thalbitzer ipotizza che skræling possa essere derivato dal verbo norreno antico skrækja, che significa «gridare», «urlare» o «strillare». Michael Fortescue e altri hanno proposto che la parola islandese skrælingi («selvaggio») possa essere correlata alla parola skrá, che vuol dire «pelle essiccata», in riferimento alle pelli animali indossate dagli inuit.

Oggi gli archeologi e gli storici ritengono che il termine indicasse i membri di una o più culture di cacciatori-raccoglitori adattatesi a vivere tra i ghiacchi di Canada, Groenlandia, Labrador e Terranova, ossia Dorset e Thule (progenitori degli inuit) e Innu e Beothuk, popolazioni aborigene del Nord America.

Queste culture hanno sicuramente avuto molto più successo dei norvegesi nella maggior parte del Nord America.

PERCHÉ NON SI FERMARONO?

Giunti a questo punto, dopo aver analizzato tutto ciò che sappiamo dei Vichinghi in Nord America, non ci resta che chiederci: perché non sono rimasti?

Le motivazioni sono diverse: anzitutto i norreni in quel tempo stavano colonizzando la Groenlandia, una terra scoperta da poco con molte zone libere in cui stabilirsi e soprattutto più vicina agli altri centri abitati dunque più connessa con il mondo dell’epoca. I Vichinghi della Groenlandia erano stati i principali viaggiatori ed esploratori di Vinland, ma anch’essi, dopo le avventure di cui abbiamo parlato, non avevano motivo di restare in America, una terra sconosciuta con popolazioni ostili, e se anche avessero voluto non erano abbastanza numerosi per stabilirsi lì.

Sebbene le colonie non divennero mai permanenti, essi continuarono a recarvisi per raccogliere legname, foraggio e commerciare con i nativi per i successivi 400 anni, come testimonia il  Maine penny, una moneta norvegese risalente al regno di re Olaf Kyrre (1067–1093) rinvenuta nel 1957 in un sito archeologico di nativi americani nel Maine. Un’altra testimonianza è  una citazione degli Annali d’Islanda del 1347 che fa riferimento ad un piccolo vascello groenlandese con una ciurma di 18 uomini che giunse in Islanda tentando di tornare in Groenlandia da Markland con un carico di legna.

Un altro aspetto da considerare è il cambiamento del clima, come abbiamo detto inizialmente, è possibile che durante il medioevo ci sia stato un periodo di temperature mediamente più alte che avrebbero favorito la navigazione e l’espansione dei Vichinghi, allo stesso modo, in seguito, un presunto abbassamento delle temperature, la cosiddetta Piccola era glaciale, avrebbe messo fine alle ambizioni dei Normanni nel Nuovo Continente e forse li avrebbe anche costretti a lasciare la Groenlandia.

LA FESTA DI LEIF

Fatto sta che nonostante le avventure e le scoperte dei Vichinghi siano indubbiamente interessanti, esse non cambiarono il mondo come fece invece Cristoforo Colombo che provocò la più grande rivoluzione economica e geopolitica della storia.

Al giorno d’oggi in America vengono celebrati entrambi: il 12 ottobre è il Colombus Day, molto caro agli italo-americani e famoso nel mondo, mentre il 9 ottobre, giorno del 1825 in cui la nave Restauration proveniente da Stavanger, in Norvegia, arrivò nel porto di New York, all’inizio della prima immigrazione organizzata dalla Norvegia agli Stati Uniti, si celebra il Leif Erikson Day.

I presidenti hanno utilizzato la proclamazione della festa per riconoscere i contributi degli americani di discendenza nordica in generale e lo spirito di scoperta. In alcuni stati, come l’Alto Midwest, dove la popolazione è in gran parte di origine nordica, la comunità con bandiere e costumi si riunisce ancora per festeggiare e ricordare il loro eroe, il grande esploratore Vichingo che giunse in America: Leif Erikson.

BIBLIOGRAFIA 

  • Il primo americano, C. W. Ceram

SITOGRAFIA


ARTICOLO DI LEONARDO DE MARCO DELLA CLASSE III B DEL LICEO CLASSICO