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I CULTI DIONISIACI

ENTUSIASMO, MUSICA E DANZA

L’UOMO E’ TRAGEDIA ♦ Il termine “tragedia” significa letteralmente “canto del capro”; pare che la sua origine sia rintracciabile nelle sacre rappresentazioni che venivano allestite in onore del dio Dioniso, in cui comparivano dei personaggi travestiti da capri. Sicuramente, l’elemento più interessante è proprio la connessione con Dioniso, perché essa ha portato alla scoperta di aspetti importanti, e per lungo tempo trascurati, della cultura greca. L’immagine corrente dall’Umanesimo al Neoclassicismo, e ancora vigente in epoca romantica, esaltava nel “genio ellenico” valori come la compostezza, l’armonia, la proporzione, la razionalità; tutti valori collegati in qualche modo al dio Apollo e alle nove Muse che il mito vedeva in stretto rapporto con lui. Ma nel 1870, con la pubblicazione dell’opera “La nascita della tragedia”, da parte del filologo e filosofo Friedrich Nietzsche, questa prospettiva cambiò radicalmente. Nel suo lavoro, subito fortemente osteggiato dai classicisti del tempo, Nietzsche mostrava che nello spirito greco l’elemento apollineo è controbilanciato in modo altrettanto forte dall’elemento dionisiaco e che la tragedia nasceva proprio dall’unione di questi due principi. Pertanto così come nell’animo umano l’elemento apollineo rappresenta la razionalità, l’elemento dionisiaco rappresenta l’universo degli impulsi ed egli istinti irrazionali. Secondo Nietzsche, insomma, la vita stessa, come principio che anima i viventi, è istintività, sensualità, caos e irrazionalità. Oggi gli storici si sono persuasi che l’irrazionale non era affatto estraneo alla mentalità dei Greci e forse il genere in cui meglio si manifesta la sua presenza è proprio la tragedia.

DIONISO ♦ Corrispettivo greco del romano Bacco, il dio sarebbe, secondo alcuni, figlio di Zeus e Demetra, ma molto più seguito è il mito che lo vede figlio di Zeus e Semele. Era generalmente rappresentato nudo e come una figura dall’aspetto femmineo. I tratti di Dioniso incarnano lo spirito di tutto ciò che vuole vivere: egli era in origine il dio della vegetazione e della fertilità; più avanti divenne anche il dio della vite e dei vino, protettore dell’ebrezza e della perdita della ragione. Nietzsche non poté che vedere in lui la perfetta metafora dell’esistenza: ciò che rende vivo i viventi è infatti un qualcosa di misterioso, qualcosa che sembra riguardare da vicino quell’energia priva di qualsiasi prevedibilità che è la fonte prima a cui attinge ogni cosa animata, ovvero l’energia delle passioni, che fluttuano caotiche nel corpo e nello spirito degli uomini. Dioniso toglieva le inibizioni faceva ballare, gridare, agitare, cadere nell’esaltazione; ciò spesso portava all’orgia e alla violenza, la quale era però privata del suo significato negativo, in quanto nulla si riteneva giusto o ingiusto in regime di delirio.

I RITUALI TRADIZIONALI ♦ Si riteneva che il culto di Dioniso provenisse dalla Tracia, regione a nord-est della Grecia, dove era venerato col nome di “Sabazio”. Una delle ipotesi più accreditate vuole che il suo culto, attraverso la Macedonia, sia passato in Beozia, a Tebe, considerata città a lui sacra per eccellenza. Altre regioni in cui il culto dionisiaco si radicò furono la Lidia e la Frigia, nell’Asia Minore. Forse proprio da qui i coloni greci della Ionia lo introdussero nell’Ellade. L’unica  sede fissa di cui poté godere il dionisismo fu Delfi, dove Apollo divideva il tempio con Dioniso, cedendolo durante i mesi invernali.

I riti si aprivano con un corteo, composto dalle Menadi, donne incoronate d’alloro che rappresentavano le Ninfe, e da uomini camuffati da Satiri. Dioniso era l’unico dio che concedeva agli schiavi e alle donne e di partecipare ai suoi riti: quest’ultime erano ammesse perché impersonavano l’irrazionalità che il mondo greco contrapponeva alla ragione, dote considerata tipicamente maschile. Ebbro di vino, il corteo si abbandonava alla suggestionale musica del “ditirambo”, una danza ritmica ossessiva scandita da tamburi e timpani. All’interno di questa struttura organizzativa bisogna comprendere, nelle sue varie funzioni, il rituale orgiastico vero e proprio. Lo scopo era quello di raggiungere quello speciale stato di possessione che gli antichi chiamavano “entusiasmo”, cioè “essere pieno del dio”. L’estasi veniva suscitata con mezzi atti ad eccitare, come la musica concitata, la danza sfrenata, l’uso del vino o di droghe. Per ciò che concerne la musica, i Greci attribuivano quel potere evocatorio ai flauti frigi: suonati nel modo tradizionale, emettevano suoni acuti sulla base di ritmi frenetici. L’eccitazione poteva essere indotta o acuita dal vino, sacro a Dioniso, dalla birra d’orzo oppure dall’inalazione del fumo di particolari semi, come descritto da alcune fonti. E’ però necessario, ora come per i greci dell’epoca, distinguere nettamente la mania sacra da quella profana. Questo stato alterato di coscienza aveva un senso religioso solo se si sapeva come utilizzarlo in modo anagogico, cioè per volgere le proprie energie “verso l’Alto”, dedicandole alla divinità. “Profanamente”, invece, il vino, la danza, la musica e la droga conducevano a condizioni psichiche negative ed al degrado esistenziale. Secondo la tradizione, il rito si chiudeva con la caccia a mani nude di un animale selvatico, che veniva poi sbranato e ingoiato a brandelli, ancora caldo e sanguinante: il calore del corpo e il sangue grondante, infatti, erano cagione di vita da ingollare a piene fauci.

GLI OGGETTI SACRI ♦ Il culto di Dioniso era, innanzitutto, un culto misterico, cioè prevedeva un rito d’iniziazione e prometteva ai fedeli di mostrar loro verità sempre più elevate. L’oggetto sacro che meglio rappresenta il concetto del mistero accessibile solo agli iniziati e che ricorre spesso nell’iconografia dionisiaca è la cosiddetta “cista mystica”, una cesta chiusa da un coperchio. Un altro oggetto usato nella celebrazione dei misteri dionisiaci era il “phallos”, che alludeva alla componente sessuale come atto generativo, legata anche ai riti di fertilità della terra. Infine, vi era il setaccio, simbolo di purificazione, poiché usato per separare la farina dalla crusca.

LE MENADI ♦ Conosciute a Roma con il nome di Baccanti o Baccaridi, le Menadi, termine greco che significa “le deliranti”, erano sacerdotesse seguaci di Dioniso. Oggetto del desiderio dei Satiri, vengono talvolta raffigurate tra le loro braccia, ma più spesso nel delirio dell’ebbrezza: gli occhi stravolti, la voce rauca e minacciosa, i capelli sciolti e sparsi sulle spalle. Solitamente vestite con pelli animali, portavano in testa  una corona di edera, quercia o abete. Celebravano il dio cantando, danzando e vagando come animali per monti e foreste. Per permettere loro di ballare il più caoticamente possibile, esse reggevano il “tirso”, una verga circondata di edera e appesantita a una estremità da alcune pigne, il cui solo scopo era quello di rendere più instabile il corpo della danzatrice. Stando ad alcuni mitografi, erano capaci di tenere in mano dei serpenti e brandivano pugnali sacrificali. Dal termine “tiaso”, utilizzato per definire alternativamente il corteo dionisiaco, deriverebbe un altro nome con cui le Menadi erano note, cioè “Tiadi”.

LA DANZA NEL MONDO GRECO ♦ Nelle gestualità delle Menadi era presente una componente rituale canonizzata, ad esempio nel camminare su una gamba sola, saltando e slanciando in avanti il piede: tali gesti erano parte integrante dell’estasi dionisiaca, quando il desiderio del movimento e del salto invadeva il corpo della fedele e la rendeva estranea a se stessa, trascinandola irresistibilmente alla danza. Questa azione selvaggia divenne poi forma artistica, trasformandosi nel “cordace”, la danza del dramma, caratterizzata da movimenti grossolani e grotteschi, talvolta scurrili. Il culto di Dioniso si conformò alle feste della vendemmia e ammise la partecipazione degli uomini, tramutandosi così in spettacolo e abbandonando la sua forma di circolo. Per i Greci, infatti, la danza divenne presto una delle attività più importanti per l’armonioso sviluppo dell’individuo e arrivò a comprendere molti aspetti della vita pubblica: l’addestramento militare, la lotta e la ginnastica, soprattutto a Sparta, le processioni e la recitazione teatrale. La forma più importante risulta comunque essere la danza corale, comunitaria, praticata in cerchio con femmine e maschi separati, come prevedeva la divisione tribale. In circolo si svolgeva anche l'”Emmeleia”, usata per l’adorazione divina, le cerimonie nunziali e le lamentazioni funebri, ma, in questo caso, riservata alle donne. Risulta purtroppo impossibile ricostruire con precisione i movimenti dell’antica danza greca. In generale, sappiamo che, oltre al distacco tra i danzatori, che agiscono separatamente, vi era la tendenza all’“opposizione”, principio per cui ad ogni movimento nella parte superiore del corpo deve corrispondere uno in quella inferiore, per mantenere la stabilità. Inoltre, come nella moderna Danza Accademica, non si poggiava solamente il piede sull’intera pianta, ma si eseguivano anche movimenti con la punta verso il basso, facendo uso della “mezza punta” e forse della “punta” vera e propria. In ogni caso, la danza greca possedeva un registro tecnico meno esatto, con movimenti della parte superiore del corpo spesso guidati da semplici intenti mimici previsti dall’occasione teatrale.

Orfeo ed Euridice

GLI ALTRI CULTI MISTERICI ♦ I culti dionisiaci rientrano tra i celebri culti misterici, in cui gli adepti venivano progressivamente iniziati alla scoperta di verità sempre più elevate. La parola “mistero” allude infatti alla segretezza di queste iniziazioni, di cui nulla doveva trapelare all’esterno. Oltre a quello dedicato a Dioniso, i culti misterici più celebri e più seguiti furono quelli eleusini, dalla città di Eleusi, in cui nacquero, e quelli orfici, da Orfeo, il mitico cantore trace che discese nell’Ade per riportare alla luce la defunta moglie Euridice. I primi venivano celebrati ogni anno nel santuario di Demetra ad Eleusi e rappresentavano il mito del rapimento di Persefone da parte del re degli inferi Ade. Il secondo culto è legato invece a una vicenda di morte e risurrezione, cioè contempla la possibilità che il viaggio nell’Ade sia in qualche modo reversibile. Viene così in luce la differenza più evidente rispetto alla religione olimpica: i culti misterici indicavano all’uomo greco una prospettiva di immortalità, donandogli una speranza che gli dei Olimpici non potevano fornire. Per ottenere questo premio gli iniziati dovevano per lo più sottoporsi a certe pratiche magico-rituali o orgiastiche. In tal modo, le religioni misteriche si avviavano a riempire le lacune della religione olimpica, spiegando il senso della vita e della morte e offrendo all’uomo un ben preciso quadro morale di riferimento.

 


ARTICOLO DI NOEMI BILLIA DELLA CLASSE III A DEL LICEO CLASSICO


 

SITOGRAFIA:

https://www.romanoimpero.com/2010/01/il-culto-di-bacco.html

https://digilander.libero.it/syntmentis/Libri/_Dioniso_riti.htm

http://www.accademiaplatonica.com/i-misteri-dionisiaci/

http://www.antiqvitas.it/approfondimenti/bac.8.rituali.htm

http://mitologiagreca.blogspot.com/2007/07/baccanti.html

http://www.instoria.it/home/menadi_iconografia_fonti_furore_dionisiaco.htm

https://www.romanoimpero.com/2014/02/baccanti-menadi.html

https://lunadinverno.it/cultura_ellenica-dionisismo/

http://www.italiadonna.it/danza/storia-della-danza/cenni-di-storia-della-danza-dai-greci-al-xiii-

https://www.academia.edu/7845350/CANTO_MUSICA_E_DANZA_NEL_TEATRO_ANTICO

https://vitainessere.it/la-danza-nellantica-grecia/


 

BIBLIOGRAFIA: Filosofia, cultura, cittadinanza – a cura di Antonello La Vergata e Franco Trabattoni