Ritratto di Cartesio, Frans Hals, 1649

Correva l’anno 1649 quando il filosofo francese René Descartes accettò di recarsi a Stoccolma presso la corte di Svezia come precettore della regina Cristina: ella infatti era molto interessata alle sue teorie filosofiche che desiderava approfondire attraverso lezioni private. Il rigido inverno svedese e gli orari a cui la regina costrinse il filosofo ad impartire le lezioni (per di più in una stanza non necessariamente riscaldata) minarono la salute di Cartesio, tanto che l’11 febbraio 1650, dopo una settimana di malattia, morì a causa di una polmonite. Fu sepolto in un piccolo cimitero cattolico a nord di Stoccolma.

Quanto sopra descritto è la versione ufficiale dei fatti riportata in una lettera dell’ambasciatore francese Pierre Chanut datata 19 febbraio 1650 e inviata alla principessa Elisabetta di Boemia, tramite la quale veniva informata con grande commozione della scomparsa del filosofo.

Solo verso la fine degli anni ’90 del Novecento uno storico tedesco si accorse che i conti non tornavano e che molto probabilmente c’era qualcosa di oscuro riguardante la morte di Cartesio: era infatti  l’anno 1996 quando Eike Pies pubblicò Il delitto di Cartesio. Documenti, indizi, prove, nel quale per la prima volta avanzò l’ipotesi clamorosa che il filosofo francese non fosse morto di polmonite, ma che in realtà fosse stato avvelenato con l’arsenico da un monaco agostiniano che viveva nella corte di Stoccolma. Chi era dunque il presunto assassino? Il suo nome era François Viogué, cappellano dell’ambasciata francese a Stoccolma inviato da Papa Innocenzo X come “missionario del nord” con il compito di convertire la protestante regina di Svezia al Cattolicesimo. Pies arrivò a questa conclusione solo dopo aver rinvenuto negli archivi dell’università di Leida una lettera del medico di corte Johann Van Wullen, in cui descriveva dettagliatamente i sintomi della malattia manifestata da Cartesio. Con grande stupore lo storico scoprì che nello scritto si parlava di emorragia allo stomaco, di vomito nero e di tracce ematiche nelle urine: insomma, niente di inerente con una normale polmonite. Inoltre lo scritto terminava con un misterioso post-scriptum, nel quale il medico raccomandava il destinatario di non far pervenire la missiva nelle mani di sconosciuti. 

La teoria di Eike Pies fu accolta con scetticismo da molti storici che credono alla versione di Adrien Baillet, autore della biografia su Cartesio nel 1691 (Vie de Descartes), secondo cui la vera e unica causa della sua morte fu appunto la malattia.

Solo dopo poco più di un decennio, più precisamente nel 2009, la questione sulla morte di Cartesio fu riaperta da Theodor Ebert, studioso dell’università di Erlangen. In quell’anno il ricercatore pubblicò La misteriosa morte di René Descartes, nel quale espose la stessa teoria di Pies, sostenendo che però lo storico commise un grave errore: si era infatti soffermato sulla lettera di Van Wullen, ignorando completamente altri documenti riguardanti la morte del filosofo. Lo studioso tedesco effettuò un’accurata ricerca negli archivi di Stoccolma e Parigi e ritrovò un nuovo rapporto del medico di corte, nel quale all’ottavo giorno di malattia riferiva di «perdurante singhiozzo, espettorazione di colore nero, respirazione irregolare», tutti sintomi riconducibili ad un avvelenamento da arsenico. Inoltre Cartesio, conoscente della medicina del tempo, aveva più volte richiesto vino mescolato a tabacco che all’epoca era utilizzato come potente emetico: la conclusione di Ebert è che probabilmente il filosofo sospettava di essere stato avvelenato e che cercasse dunque di liberarsi da qualche sostanza tossica. Secondo la ricostruzione dello studioso, l’arsenico fu somministrato a Cartesio dal monaco François Viogué per mezzo di un’ostia consegnata durante l’Eucaristia poiché i sintomi si manifestarono poco dopo la Messa.

Ma quale fu il movente? Theodor Ebert suppone che François Viogué vide in Cartesio un ostacolo alla probabile conversione della regina Cristina: riteneva infatti che le teorie del filosofo fossero incompatibili con il dogma cattolico della transustanziazione (ovvero nell’effettiva presenza del corpo e del sangue di Cristo durante l’Eucaristia). Ebert però reputa improbabile che l’azione del monaco agostiniano fosse parte di un complotto più articolato.

Cranio di Cartesio custodito al Musée de l’Homme

La teoria dell’assassinio di Cartesio non è mai stata accolta come veritiera dal mondo accademico in quanto ritenuta infondata: infatti i documenti di Van Wullen, rinvenuti dai due studiosi, non sono mai stati analizzati dal punto di vista medico. L’unico elemento che potrebbe provare la fondatezza della teoria dell’avvelenamento che causò il decesso del filosofo é la ricerca di tracce di arsenico nel suo cranio. Il problema è che diversi si vantano di possederlo; se ne contano almeno cinque: uno a Stoccolma, uno a Parigi e altri tre custoditi in collezioni private. Il teschio che ha più probabilità di essere appartenuto a Cartesio sembrerebbe essere quello parigino, custodito nel Musée de l’Homme.

 

Le vicende di Cartesio come molte altre nella storia rimarranno avvolte nel mistero e susciteranno ancora per molto tempo la curiosità dei ricercatori.


ARTICOLO DI LORENZO PANIZZA DELLACLASSE IV B DEL LICEO CLASSICO