La psicomotricità è una disciplina che riguarda l’ambito socio-educativo e che viene svolta in contesti scolastici  o in strutture che hanno come obiettivo il potenziamento dello sviluppo del  bambino. E’  un approccio globale che promuove il benessere dell’infanzia  sostenendo il processo evolutivo del bambino in una dimensione  di gioco, azione ed interazione questo per  favorire uno  sviluppo armonico e completo, valorizzando l’integrazione delle diverse funzioni: motoria, emotiva, intellettiva e sociale .

Ernest Duprè

La psicomotricità è il rapporto che si crea tra l’apparato neurologico e quello locomotore, l’uno ha bisogno dell’altro per attivare un movimento interno o esterno al corpo.
Un importante contributo in materia è giunto dal francese Ernest Duprè , è stato uno psichiatra e psicologo francese. Fu professore di psichiatria presso la facoltà di medicina a Parigi. È ricordato per la sua accurata descrizione del termine di isteria e perché coniò la locuzione pseudologia fantastica. Egli si soffermò sullo stretto rapporto che esiste tra le anomalie neurologiche e quelle psicologiche e su quanto la motricità e lo psichismo siano due aspetti indivisibili. Egli infatti, afferma che:

“Certi disturbi mentali e disturbi motori corrispondenti sono fra loro in un rapporto così stretto e presentano tali somiglianze da
costituire delle vere coppie psicomotorie”.

Spesso si pensa che la sfera mentale e quella motoria siano due mondi completamente separati, che viaggiano su due orbite diverse, in verità questo concetto non è corretto. Da questa citazione si deduce che lo sviluppo delle funzioni motorie, del movimento, dell’azione e lo sviluppo delle funzioni psichiche, in realtà, sono una faccia della stessa medaglia. La mente e il corpo si trovano sullo stesso piano. Il corpo agisce traducendo un’idea in un gesto, o un sentimento in un atteggiamento; le azioni e gli atteggiamenti possono far nascere sensazioni, sentimenti ed idee. Un soggetto in uno stato ansioso cammina, si agita, è irrequieto, e così facendo traduce il suo stato mentale in un’azione corporea. Al contrario, uno stato di benessere fisico rende più fluidi i movimenti e più lucida la nostra mente, rendendoci più operativi anche intellettualmente. L’uomo non è una mente che ha un corpo, ma l’uomo è corpo e mente. Per arrivare a questo concetto è necessario giungere al ‘900.
Il superamento della dicotomia cartesiana ha aperto la strada verso lo studio della dimensione corporea, dimensione che ha spaziato dalla medicina alla filosofia, dalla psicologia alla pedagogia, fino ad arrivare alla biologia, offrendo a ciascuna scienza la possibilità, non di sottolineare l’importanza del corpo rispetto alla mente, ma di conciliare due aspetti che si manifestano in sincrono nella globalità del soggetto. Si conferisce, insomma, una nuova dignità al corpo che in passato gli era stata negata. Questo vuol dire che aspetto corporeo e mentale non sono solo complementari tra di loro, ma interdipendenti e indissociabili. L’approccio psicomotorio rinforza i processi di individuazione, di socializzazione  e creatività ed aiuta il bambino ad esprimere la propria emotività individuando nel corpo e nel movimento uno strumento di mediazione con ciò che lo circonda. In questo modo vengono attivate le risorse  attraverso esperienze emotive e relazionali positive . L’attività motoria diventa quindi educazione e scoperta delle proprie potenzialità. Lo sviluppo della psicomotricità infatti si sviluppa con l’ educazione fin dai primi anni di vita. L’educazione psicomotoria ha inoltre una funzione preventiva nei confronti dell’insorgere o del consolidarsi di difficoltà comunicative e relazionali.
Fin dalla nascita il neonato entra in relazione con gli altri, prima di tutti con la madre, attraverso i primi riflessi arcaici (suzione, pianto, respirazione, chiusura delle palpebre), movimenti primitivi che a partire dal primo anno di vita diventano sempre più finalizzati. Per questo motivo deve esserci un clima di educazione giusta, il bambino deve poter essere in grado di sperimentare e di toccare con mano il mondo che lo circonda. Il campo di esperienza della motricità contribuisce alla crescita e alla maturazione complessiva del bambino, promuovendo la conoscenza del corpo inteso come una delle espressioni della personalità e come condizione funzionale, relazionale, cognitiva, comunicativa e pratica. Essa contribuisce ad aiutare il fanciullo a identificarsi in modo più sicuro e libero con se stesso, aiutandolo a raggiungere più rapidamente la propria autonomia. Per questo occorre che egli senta il corpo, ne prenda coscienza e lo riconosca nel meccanismo delle relazioni con l’ambiente. L’educazione motoria, soprattutto nell’infanzia, aiuta a coordinare meglio movimenti e atti autorizzando, così, l’avviamento alla lettura, alla scrittura, all’ordine, alla ricerca, alla conquista delle ragioni che presiedono ogni forma di divenire, e di essere, della realtà. L’educazione psicomotoria è mirata ad attivare, arricchire, ampliare tutto ciò, allo stesso modo in cui nelle discipline educative si fa esercizio. Tuttavia, non si tratta semplicemente di attivare un’educazione: coltivando il repertorio psicomotorio si modifica e migliora , da parte del bambino, tutte le altre modalità, non solo di relazione ma anche, più in generale, di acquisizione di nozioni ed esperienze, di esplorazione del mondo e di sé. 

 

La motricità

 

La motricità è una delle caratteristiche dell’essere umano, che è poi una delle forme del linguaggio non verbale, silenzioso nel bambino, più complesso nell’adulto. Gli antropologi che hanno studiato diverse modalità comunicative hanno notato come in alcune tribù africane, esista un elaborato sistema di linguaggio “tamburellato”, che non dipende dagli organi vocali, ma dai movimenti delle mani che percuotono la membrana del tamburo attraverso cadenze motorie che sono state apprese a partire dall’infanzia. I movimenti non sono un puro meccanismo o un mezzo per ottenere qualcosa, ma le azioni motorie esercitano un ruolo importante nella formazione della mente, condizionano l’apprendimento e sono alla base del linguaggio. In genere, quando pensiamo alla mente ci soffermiamo sulle percezioni e le “idee”, non sul movimento: eppure le azioni motorie hanno un ruolo basilare nei processi di rappresentazione mentale a partire dalle fasi embrionali, ovvero quando l’embrione comincia a compiere una serie di movimenti che costituiscono i mattoni dei futuri comportamenti motori. Questo modo di guardare alla realtà mentale può apparire insolito o paradossale, solitamente le funzioni motorie vengono considerate subordinate a tutte quelle strutture
che sono alla base delle più elevate attività cognitive e della razionalità. In realtà il pensiero cosciente è strettamente correlato con l’attività delle aree della corteccia, responsabili di movimenti reali o immaginati. In altre parole, la stessa area del cervello entra in funzione quando immaginiamo un movimento e quando questo viene pianificato. Esiste, insomma, uno stretto intreccio tra motricità e pensiero, sia dal punto di vista del modo con cui la nostra mente funziona. Ad esempio, concentrarsi su un problema, vale a dire pensare, implica un aumento della tensione muscolare del collo come d’altronde rilassare i muscoli facciali o atteggiare il volto a un sorriso può modificare le nostre sensazioni ed emozioni. Il nostro cervello è un enorme archivio di reperti motori, complessi schemi definiti:  “melodie cinetiche”, per indicarne la complessa fluidità che ognuno di noi mette all’opera nei diversi atti della vita quotidiana. Le tecniche di visualizzazione cerebrale hanno contribuito alla conoscenza degli schemi motori: se chiediamo a una persona di pensare di muovere una mano, la sua corteccia premotoria, situata anteriormente a quella motoria, si attiva. infatti vi sono aree del cervello che predispongono il movimento e aree che lo realizzano. La corteccia premotoria ha  il compito di preparare all’azione, anche se la decisione di compiere il movimento dipende dalle aree anteriori della corteccia frontale. La decisione di un movimento comporta quindi, una serie di eventi a cascata che partono dall’area prefrontale per poi passare a quella premotoria, fino ad arrivare a quella motoria vera e propria. L’autonomia dell’Io, però, non è totale, nel senso che la motricità occupa un posto talmente rilevante nella nostra mente e nelle strategie cognitive, che il nostro cervello reagisce in modo inconscio ai movimenti compiuti dagli atri. Vale a dire che la nostra corteccia premotoria si attiva anche quando osserviamo altre persone compiere un movimento, anche se non c’ alcuna intenzionalità alla base di muoverci, ma sono gli altri a farlo. Anche se non ce ne rendiamo conto, la corteccia cerebrale “fotocopia” i movimenti che vediamo effettuare intorno a noi, attraverso l’azione dei  neuroni specchio. Questi sono localizzati nella corteccia premotoria dei primati e si attivano quando un animale osserva un altro animale compiere un movimento. I neuroni specchio stabiliscono quindi, una sorta di relazione tra l’osservatore e l’attore e sono al centro dei comportamenti imitativi e sono importantissimi nella fase infantile. Nessuna parola riuscirebbe a trasmettere al bambino l’informazione necessaria per descrivergli come compiere un particolare gesto motorio come potrebbe essere la capovolta. Il meccanismo dei neuroni a specchio è talmente potente, che tali cellule neuronali non si attivano solo quando osserviamo il movimento eseguito, ma è stato dimostrato che i neuroni specchio si attivano anche quando vediamo sullo schermo di un computer un braccio virtuale che compie lo stesso movimento o l’immagine schematizzata di un uomo che corre o cammina. In tutti questi casi i segnali visivi vengono inviati alla corteccia premotoria che attiva gruppi di neuroni che anticipano un’azione che non necessariamente si verificherà.

 


Jeans- Jacques Rousseau

Jean-Jacques Rousseau fu un filosofo francese, importante esponente dell’Illuminismo, in quanto nelle sue opere è possibile riscontrare chiaramente una forte critica alla realtà contemporanea dal punto di vista giuridico, governativo, sociale, morale, economico. Guardava al passato, per ritrovare in condizioni precedenti alle attuali gli ideali e i valori da perseguire. Egli è alla ricerca di una nuova antropologia nella quale sia possibile riscoprire una legittimazione della vita associata. Ritiene che il più grande bene dell’uomo non sia la ragione, ma che gli esseri umani si distinguono principalmente sulla base dei loro bisogni e delle loro passioni. Il grande difetto riscontrato da Rousseau nella società, ma anche nella visione comune della cultura, è che esse tendono a moltiplicare i bisogni e a corrompere le passioni, portando l’uomo lontano dalla sua natura originaria. Il processo porta a un passaggio da uno stato originario di uguaglianza a uno artificiale, nato con lo sviluppo dell’uomo, di ineguaglianza. L’autore non propone un ritorno alle origini, invita invece alla ricerca di forme legislative e educative capaci di ristabilire una forma di uguaglianza tra uomini, o, meglio, tra uomini in quanto cittadini. Rousseau tende alla formazione di un cittadino capace di realizzare assieme agli altri i cambiamenti necessari a creare una società fondata sull’uguaglianza e sulla giustizia.

 

 L’educazione “naturale

Alla base della concezione pedagogica di Rousseau si ritrova la forte opposizione tra natura e cultura: allo stato di natura l’uomo vive in una condizione di uguaglianza e libertà assoluta, nella società e con la cultura si trova costretto tra imposizioni e disuguaglianza. Sulla base di queste premesse l’autore postula che l’educazione debba necessariamente essere naturale.  La natura per Rousseau consiste nell’insieme delle facoltà umane e intellettive proprie dello stato originario dell’uomo, facoltà, che  vengono sistematicamente corrotte nella società contemporanea da civiltà e cultura. Analizzò il concetto di natura, più precisamente lo stato di natura, definendolo un modello per la formazione dell’ individuo. Egli si integra con l’idea dell’ esistenza della corruzione tra gli uomini, nella società, che rovina irreversibilmente lo stato di natura nel quale nasciamo e successivamente veniamo corrotti dallo stato artificioso della vita in società.  Perciò per rifondare la società  bisogna estirpare la corruzione al principio, rifondando l’individuo. Così da creare una nuova società educata a non fare il male. Per rifondare l’ individuo è necessaria l’ educazione esatta. Il carattere naturale dell’educazione implica dunque che essa non può derivare dai dettami della società, ma deve necessariamente fondarsi nell’uomo visto come essere autonomo. Anche il metodo utilizzato dagli insegnanti dovrà essere coerente con l’evoluzione naturale del soggetto, senza forzarla in alcun modo, e dovrà quindi essere strutturato sulla base dell’evoluzione psicologica degli individui.

 

La prima e la seconda infanzia

Questo primo periodo formativo del bambino, in cui la ragione ancora non è pienamente sviluppata e non può quindi essere pienamente utilizzata, deve essere caratterizzata per Rousseau da un’educazione negativa. Questo termine  è utilizzato da Rousseau  come definizione di un metodo pedagogico che sia volto più che a progettare interventi formativi specifici e rispettare lo sviluppo del bambino evitando interventi contrari a esso. Si faccia attenzione a non concludere dunque che il formatore in questi primi anni debba limitarsi a non far nulla e a lasciare che il bambino completi da sé la propria educazione. Al contrario egli dovrà impegnarsi molto per impedire che sia influenzato negativamente e per predisporre  occasioni fatte apposta per far fare esperienze al bambino che possano sfociare in un sorta di apprendimento “passivo” per arrivare ad uno sviluppo armonico. Egli insiste molto sull’importanza nel percorso educativo dei bambini delle sensazioni provate dalla manipolazione degli oggetti e dal movimento. Ritiene invece che si debba escludere in questa fase ogni forma di educazione morale, in quanto senza il supporto della ragione il bambino non potrebbe capire ciò che sta dietro a divieti e imposizioni e li considererebbe solo come imposizioni senza capirne il perché, allontanandosi così dallo stato naturale di libertà. La seconda fase dell’educazione del bambino, che per Rousseau va dai 3 ai 12 anni circa, resta sempre caratterizzato dall’impiego di una pedagogia negativa, ma si introduce il concetto della libertà anche come conquista. Il bambino comincerà e rendersi conto dello squilibrio che esiste tra i suoi bisogni e le capacità che gli sono date di soddisfarli. Su questo ci si potrà introdurre una prima educazione morale che non conterrà obblighi o doveri ma partirà appunto dall’osservazione e dal confronto con la necessità delle cose, metodologia che dovrebbe portare allo sviluppo dell’uomo sulla base dell’autonomia e dell’autenticità. Il precettore dovrà essere vigile così da evitare di anticipare in alcun modo lo sviluppo dei bambini che gli sono affidati, e basando sempre i suoi insegnamenti sui bisogni e sugli interessi dei suoi piccoli allievi. Egli, ricorda Rousseau, dovrà fare buon uso del suo pensiero critico, in modo che i bambini avvertano di essere loro a comandare, mentre il vero controllo resta però nelle mani degli insegnanti che guidano e controllano quindi la crescita educativa degli alunni anche se nel rispetto del loro percorso naturale di crescita. Questa impostazione porta ,inevitabilmente, alla messa da parte della didattica tradizionale, i cui programmi sono troppo rigidi e lontani dalle esperienze concrete degli alunni, che quindi non ne trarranno mai un autentico beneficio.

La preadolescenza e l’adolescenza

Con l’avvicinarsi del bambino all’adolescenza scompare la distinzione forte che aveva caratterizzato l’infanzia tra i bisogni e il potere di soddisfarli. Ora la ragione e le forze dell’ alunno si sviluppano velocemente, e di conseguenza anche l’impostazione della pedagogia deve cambiare diventando da negativa a positiva. Il motore che porta alla crescita in questa età  è la curiosità su cui deve poggiarsi la linea pedagogica positiva del bravo insegnante. Infatti, occorre ora introdurre le linee guida di un sapere formale, ma non trasmettendo al giovane una serie di idee preordinate, quanto piuttosto portandolo alla scoperta delle idee attraverso un percorso che muova la curiosità e faccia continuo riferimento all’utilità di quanto emerge dalla ricerca. Dal punto di vista dello sviluppo intellettivo il bambino sta ora passando dalle sensazioni dell’infanzia al mondo delle idee dell’adolescenza. Questo comporta  un passaggio educativo da una condotta regolata sulla necessità a una condotta orientata all’utilità. Per Rousseau il passaggio da ciò che è veramente utile a ciò che è buono sarà poi breve e facile. Dal punto di vista sociale è importante che il giovane sia ancora tenuto lontano dai complicati concetti di relazioni sociali, che ancora rischierebbero di confonderlo. La sua socializzazione dovrà prendere dunque l’avvio dalla conoscenza e dalla pratica di mestieri che risultino di pubblica utilità, e di cui egli sia portato a comprendere le ragioni di utilità sociale. Con l’adolescenza inizia la vera e propria educazione , che non è più guidata dalle sensazioni o dalla curiosità, ma dalle passioni, che introducono il giovane all’interno della società. Altri aspetti caratterizzanti di questa fase, tutti conseguenti però al subentrare delle passioni, sono lo sviluppo dell’ immaginazione, il confronto con le problematiche morali, la comparsa delle idee astratte fino a giungere alla conquista razionale dell‘idea di Dio. Le passioni  sorgono naturalmente nell’animo dei giovani, ma in questo caso Rousseau mette in guardia i formatori dal pericolo di contaminazione a cui esse sono costantemente soggette. Consiglia pertanto di non offrire ai giovani occasioni che portino all’eccitazione delle passioni, quanto di mirare piuttosto a contenerle, in modo che sia più facile per il giovane rispettare e seguire l’evoluzione naturale del suo sentire. Questa evoluzione naturale ha origine dal sentimento di amore, che inizialmente si pone come amore di sé stesso , che deve essere guidato perché non diventi vanità e di troppo orgoglio, alla base della nostra stessa sopravvivenza e motore della curiosità dei giovani. Da questa prima essenziale forma di amore dei fanciulli ne deriva poi un secondo, più evoluto, che si esplica nell’amore per chi gli sta vicino. Al sentimento di amore è vicino il sentimento della pietà, per sviluppare il quale  Rousseau raccomanda di porre l’adolescente a confronto con situazioni di sofferenza e dolore. Queste esperienze lo porteranno ad amare maggiormente chi gli sta vicino, e quindi a rispettare i suoi simili. Questo è il percorso morale che si avvia con l’ingresso del giovane nell’adolescenza e che lo porterà ad apprendere gradatamente i valori, il concetto di giustizia, di pace, di Dio. Anche in questa fase l’educazione formale non scompare, ma ancora una volta non è affidata a verbalizzazioni astratte quanto all’esperienza diretta del giovane che, spinto dalla curiosità, sarà guidato a confrontarsi direttamente con le nuove conoscenze. Per rifondare l’ individuo è necessaria l’ educazione adatta. Per questo Rousseau scrisse numerosi discorsi e trattati che portano esempi concreti alle sue supposizioni, uno tra questi è:  il contratto sociale; testo fondamentale della filosofia politica di Rousseau e poi: l’ Emilio; capolavoro pedagogico, si integra con l’idea che per rifondare la società bisogna rifondare l’individuo. Emilio è il protagonista immaginario del pensiero educativo di Rousseau, che dovrà impegnarsi per migliorare la società in modo da rendervi possibile una vita in condizione di uguaglianza e libertà, simili a quelle dello stato di natura.

L’ Emilio 

 

L’Emilio tratta dell’arte di formare uomini. Rousseau, anticipando lo studio della psicologia dell’età evolutiva, divide lo sviluppo umano in fasi in cui descrive le modalità caratteristiche nella dimensione cognitiva e in quella affettiva.  Non bisogna accelerare lo sviluppo: l’educazione infatti deve essere centrata sulle caratteristiche e modalità dell’età dell’ individuo; il maestro deve condividere il mondo dell’alunno, si deve adeguare ed adattare alla sua velocità di apprendimento, alle sue logiche e ai suoi linguaggi. La natura e le caratteristiche dell’allievo vanno poste al centro delle scelte educative.
Nel Libro I dell’Emilio Rousseau enuncia il “grande principio” secondo cui l’uomo è originariamente buono, ma attraverso i rapporti sociali va incontro ad un deterioramento. Ciò avviene a causa della complessità di quanto agisce sulla formulazione dell’individuo. Tutto ciò che impariamo ci viene fornito da tre maestri:

-la natura, la quale provvede allo sviluppo interno delle nostre facoltà e dei nostri organi;

-gli uomini, i quali provvedono all’uso che facciamo della natura;

-le cose, che provvedono all’acquisizione dell’esperienza e degli oggetti.

L’educazione dell’uomo deve confrontarsi con l’ordine sociale, pertanto è necessario scegliere se educare secondo i principi della natura formando così un uomo o secondo i principi della società, formando un cittadino, in quanto è impossibile perseguire entrambi nello stesso individuo. Rousseau rifiuta l’educazione domestica o privata, accetta come unica educazione efficace quella naturale, che forma semplicemente l’uomo alla condizione umana autentica. L’educazione naturale dura 25 anni e comincia dalla nascita, in quanto già le prime sensazioni affettive, come il dolore e il piacere, generano la manifestazione di abitudine e di un certo spazio di comfort zone per il bambino. Il primo allevamento e nutrimento del bambino sono responsabilità della madre, la quale porta armonia domestica e felicità allo sviluppo del neonato. Il bambino  verrà poi sottratto alla madre per essere affidato a un precettore. Tuttavia è difficile trovare un buon precettore, ben preparato e disponibile a dedicare tutta la vita al suo alunno. In questo caso la nutrice sarà la madre e l’unico vero precettore sarà il padre. Rousseau delinea nel Libro I il ritratto dell’allievo ideale, Emilio, il quale è ricco e nobile, europeo e preferibilmente francese, perché risulta così dotato di maggiori capacità di adattamento. È di indole normale e di intelligenza media, sano e robusto. La campagna è il luogo ideale per l’apprendimento, in quanto rinvigorisce e rinfresca 

l’animo e il corpo, e lì la società non può esercitare il suo effetto corruttore. L’esperienza è la matrice e la prima condizione dello sviluppo infantile, infatti il bambino prima di saper parlare, e prima ancora di capire, si istruisce già. Il fanciullo non deve contrarre abitudini che lo rendono schiavo e le deviano dai suoi naturali bisogni. La curiosità va favorita e alimentata. Bisogna abituare il bambino a camminare e a muoversi da un luogo all’altro, affinché acquisisca il senso dello spazio della distanza. Deve essere inoltre abituato a non imporre nulla, né agli uomini né alle cose. Quando si vuole concedergli un oggetto bisogna portare lui verso l’oggetto e non viceversa, affinché si renda conto che l’oggetto non intende la sua volontà. Rousseau dà molto spazio nell’Emilio al tema dell’apprendimento del linguaggio. Egli afferma che i bambini attraverso i loro vocalizzi infantili, ai gesti, alle mimiche facciali e all’uso espressivo del volto, “parlano prima di saper parlare”. Successivamente i fanciulli impareranno ad usare le parole seguendo le proprie regole dello sviluppo. Man mano che si evolverà, il linguaggio non servirà solo a comunicare, ma sarà fonte di nuove idee; attraverso esso Emilio si abituerà a leggere la propria esperienza emozionale e potrà rendere anche gli altri partecipi dei suoi pensieri, delle sue idee e delle sue intenzioni. Nella seconda età evolutiva, trattata nel Libro II, Emilio imparerà a muoversi e a parlare e a conquistare coscienza di sé, imparerà a ricordare ed a essere felice. Emilio verrà lasciato libero di muoversi e di agire, al fine di non limitare la sua felicità presente in nome di quella futura. Le cadute che farà lo aiuteranno a conoscere e dominare il dolore, la vita e il gioco all’aria aperta lo renderanno più sano e vigoroso. Per favorire la felicità l’unico modo consiste nell’educare l’individuo a commisurare i suoi desideri alle sue possibilità. Il precettore dovrà fare in modo che Emilio percepisca i propri limiti in modo naturale: egli otterrà quello che vorrà solo se ne ha realmente bisogno. L’educazione operata dal precettore è di tipo negativo, consiste cioè nell’eliminare gli impedimenti al naturale sviluppo del suo allievo: toglierà dunque, le cattive influenze, e non fornirà precetti. Il fanciullo apprenderà dalle esperienze, ma le sue esperienze non saranno accidentali. Il maestro infatti “farà tutto senza far niente”, dando l’impressione ad Emilio che le sue esperienze siano casuali, ma in realtà sono situazioni accuratamente predisposte dal maestro. Questo perché per trasmettere valori morali bisogna adoperare il buon esempio ma soprattutto l’ esperienza diretta del bambino. 

 

Il linguaggio corporeo

La comunicazione non verbale, anche definita linguaggio del corpo, è il processo di scambio di informazioni e messaggi che va oltre il semplice linguaggio semantico parlato o scritto. E’ rivolto ai gesti, mimiche, atteggiamenti, parole, suoni e silenzi dei soggetti che praticano le attività. Solo una minima parte delle informazioni che riceviamo dagli altri dipende dalla comunicazione verbale, eppure l’interesse a valorizzare il linguaggio corporeo è ancora scarso.

“ Il linguaggio del corpo sta alla persona come la lingua ad una cultura; così come in quella lingua sono stratificate le esperienze culturali, biologiche, sociali di quel popolo, per l’individuo il suo corpo contiene tutta la storia personale, cioè le sue esperienze soggettive e di relazione e i relativi significati. La sua soggettività è incarnata nel corpo anche se in modo a lui sconosciuto.”

Normalmente agiamo senza la consapevolezza del nostro corpo, dei suoi messaggi e di ciò che ci inviano gli altri. Il corpo manda sempre segnali, messaggi e avvisi, troppo spesso però ignorati. Quello corporeo è un linguaggio definito analogico, attraverso il quale gli individui comunicano ed esprimono a pieno la propria dimensione psicofisica; è importante avere una conoscenza profonda di come e perché il soggetto si esprime con il corpo, che si manifesta rappresentando situazioni emozionali e reazioni ambientali che sono prodotte dal sistema neurologico.
Partendo dal fatto che l’uomo per sua natura non può non comunicare, va specificato che tra le persone si utilizzano vari tipi di comunicazione:

– Messaggi verbali: ciò che si dice.
– Messaggi paraverbali: intonazione e modulazione della voce (volume, timbro), pause, ritmi e silenzi.
– Messaggi non verbali: postura, contatti corporei, movimenti ed espressioni del volto, sguardi, abbigliamento e trucco.
Esistono due canali nella comunicazione, il canale A che corrisponde a quello dei segni che danno al messaggio un aspetto contenutistico, razionale, cosciente e voluto e il canale B, quello dei simboli collegati con l’emotività, l’affettività e l’inconscio. Il canale B è molto più veloce di quello A e se il contenuto non è in accordo con l’emotività espressa si crea una contraddizione nella comunicazione, che il ricevente percepisce subito. La comunicazione non verbale ha un impatto consistente nell’elaborazione del messaggio che il soggetto crea e invia all’altro interlocutore, svolgendo una funzione relazionale che permette: la gestione delle situazioni sociali, la comunicazione della presentazione del sé, la comunicazione delle emozioni, influisce sui processi di persuasione.

Il linguaggio del corpo include diverse tipologie di comunicazione non verbale:

Le espressioni facciali, il volto umano è estremamente espressivo e riesce ad esprimere un’ampia varietà di emozioni universali per confermare o contraddire ciò che affermiamo. Sebbene possano essere modulate, le espressioni facciali sovente si manifestano ad insaputa della persona stessa che le esprime. Esse rivelano la verità di ciò che l’interlocutore prova, a prescindere da ciò che vorrebbe manifestare.

I movimenti e la postura, il modo in cui le persone siedono, camminano o tengono la testa influenza in maniera decisiva la  percezione su ciò che  sta comunicando. Ad esempio se qualcuno mentre  parla continua a tenere la testa bassa e non guarda il destinatario dei sui discorsi, quest’ ultimo di certo non si fiderà, o comunque avrà dei sospetti.

I gesti ,uno dei principali metodi di comunicazione principalmente riconosciuto è quello dei gesti. Si gesticola  per avvalorare ciò che diciamo, per sintetizzare i concetti ma anche per mostrare il disappunto. Tuttavia, i gesti che si fanno, non hanno lo stesso significato in tutte culture.

Il contatto, visivo il modo in cui si guardano gli interlocutori può comunicare diverse sensazioni tra cui interesse, affetto, ostilità, attrazione, perciò può mantenere più o meno attiva la conversazione ma anche accrescere la curiosità e la partecipazione.

Il tatto, il modo in cui si stringono le mani, gli oggetti o si toccano gli elementi dello spazio intorno a noi, comunica tutta una serie di informazioni non facilmente controllabili.

Lo spazio, tutti hanno quello che viene definito “uno spazio vitale”, un’area entro cui non si vuole che entrino altre persone.  Ogni persona identifica il suo “spazio vitale” con una distanza diversa; gli elementi che differenziano questo fattore sono le situazioni e la cultura. Dello spazio, inoltre, comunicano anche gli oggetti, i colori, le disposizioni dell’arredamento. Modificare lo spazio equivale spesso a modificare la sequenza comunicativa

La voce ,ciò che comunica la nostra voce andando oltre le semplici parole. Ci si riferisce ad elementi come il tono di voce, le pause, le esitazioni e l’attitudine generale tenuta durante un discorso. Tutti questi elementi possono veicolare sarcasmo, rabbia, timore o sicurezza.

 

 

La postura corporea dalla nascita

La postura corporea è una particolare posizione del corpo o una parte di esso che viene assunta per ottimizzare la relazione della persona nella vita . È determinata dalla somma di movimenti, aggiustamenti tonici, più o meno intenzionali che servono ad orientare il corpo verso l’esterno o verso se stessi per favorire l’espressione  del messaggio o bisogno.  La postura corporea ha un alto valore comunicativo, è una specie  di linguaggio più evoluto. Le posture  si sviluppano parallelamente allo sviluppo psicomotorio, sollecitando una motricità sempre più precisa che diviene mezzo per esprimere bisogni fisiologici e psicologici, contribuendo alla formazione del processo maturativo nel suo insieme. Infatti, le posture corporee che il bambino acquisisce nel tempo, testimoniano la maturazione del processo di separazione-individuazione , supportandolo nella costruzione identitaria, cioè dell’ individuo stesso. Attraverso un’ iniziale sensazione indifferenziata del proprio corpo il bambino arriva a percepire una dimensione unitaria di sé, come un insieme funzionale di diverse parti in contatto tra loro. L’assunzione di precise posture indica la capacità del piccolo di sapersi orientare correttamente nello spazio e nel tempo e tramite la coordinazione dei movimenti, crea un linguaggio con cui esprimere velocemente i  bisogni e la loro soddisfazione. Le posture possiedono un alto valore emotivo, esse sottolineano le difficoltà che accompagnano il bambino nel momento della separazione dalla figura materna alla  individuazione di se stesso. Il processo di separazione-individuazione elaborato da M. Mahler, inizia dagli otto-dieci mesi e prosegue fino ai due anni e mezzo tre. Il feto e successivamente il bambino durante i primi mesi dopo la nascita, è immerso in una condizione esistenziale che prende il nome di: condizione fantasma. In questa fase il piccolo si identifica con particolari sensazioni corporee come la fusione e la diffusione formulando la prima percezione di sé. Il mondo gli si presenta come disordinato e confuso, contraddistinto dalla presenza e assenza di immagini, suoni, oggetti, in cui il corpo è percepito come parte di questo insieme. Nei primi momenti di vita il bambino si percepisce come corpo parziale, cioè si percepisce come tante parti singole scollegate tra loro. Anche la realtà è vissuta secondo tali caratteristiche, ad esempio la madre non è sentita come un individuo unico ma come seno che nutre, viso che sorride, mano che accarezza, cuore che batte, ogni parte è percepita come fenomeno disgiunto dagli altri. La costruzione del individuo unitario avviene gradualmente in relazione al soddisfacimento dei bisogni fisiologici e psicologici, i quali possiedono un’alta valenza emozionale. Attraverso l’aggregazione delle diverse parti, il fantasma diviene sempre più definito e dall’insorgere di un bisogno si crea una tensione emotiva che produce a sua volta un aumento del tono muscolare, tradotto in movimento delle diverse parti del corpo. Il soddisfacimento del bisogno riporta a un equilibrio interno ed esterno del corpo. Il susseguirsi di tali sequenze si basa su una variabile fondamentale: quella temporale. Occorre, infatti un tempo adeguato tra l’insorgere del bisogno e la sua soddisfazione. Un tempo troppo lungo potrebbe aumentare la tensione interna e quella del tono muscolare e rendere inefficace la strategia comunicativa del lattante, poiché meno funzionale allo scopo; mentre un tempo ridotto di esposizione alla tensione, come nel caso di una madre troppo ansiosa che provvede immediatamente a soddisfare il bisogno del figlio, non permette all’organismo di attivarsi in tutte le sue sequenze motorie, riportando in maniera immediata il corpo in uno stato di calma . Tutto questo si ripercuote sulle posture corporee che prive di motivazione impoveriscono il loro bagaglio espressivo-comunicativo.

Tra i nove e i dodici mesi di età, il corpo dal punto di vista neuromotorio, inizia ad essere vissuto come oggetto totale, il bambino diviene consapevole del suo movimento ed è in grado di ottimizzare le cause-effetto del suo agire. Si tratta di un corpo emozionale generato dall’interiorizzazione di differenti esperienze emotive, sperimentate nel periodo in cui il bambino si percepiva ancora come frazioni scongiunte fino al periodo della separazione-individuazione. L’esperienza emotiva vissuta dal piccolo, a seguito della soddisfazione di un bisogno da parte del corpo oggetto parziale, lo porta a costruire una prima conoscenza di sé. La somma delle diverse esperienze parziali crea un corpo unitario che lega il corpo e la sfera emozionale sviluppando una coscienza di sé, rendendo il bambino autonomo nella risposta ai propri bisogni. La forte valenza emozionale della costruzione dell’oggetto parziale e la sua trasformazione in oggetto totale, influenzano il modo di relazionarsi del bambino con il mondo circostante plasmato a sua volta dalle relazioni primarie con la madre. Egli arriva dunque a costruire un oggetto parziale-totale buono o cattivo basato sulla capacità della madre di rispondere in maniera adeguata alle esigenze del proprio figlio.

La soddisfazione dei bisogni durante il primo anno di vita, è guidata dal principio di piacere, il piccolo si pone al centro del mondo, ha la convinzione che tutto sia prodotto dalla sua volontà. Le ripetute esperienze positive o negative diventano riferimento anche per le future relazioni. Le singole posizioni corporee racchiudono in sé movimenti, modulazioni toniche, con valenza emozionali differenti. Esistono posture comuni in tutti i bambini che si uniscono allo sviluppo filogenetico dell’uomo, geneticamente predisposte e spontaneamente manifeste nei primi anni di vita. Guardando in modo più ravvicinato le posture, si osserva che intorno al terzo mese compare il sorriso sociale, è sufficiente l’avvicinarsi di una persona per attivare nel bambino un sorriso che generalmente è accompagnato anche da gorgheggi. Il sorriso diviene una strategia relazionale che predispone l’inizio della comunicazione.

Esso esprime un’emozione positiva ma nello stesso tempo mette in evidenza come il corpo riesca ad emanare segnali con lo scopo di captare l’attenzione e le cure della persona . Si decodificano in tal modo le posture corporee adottate dall’infante e associate al sorriso: di apertura e di contatto. Quando un bambino si trova di fronte al volto umano prova eccitazione e questo produce un aumento del tono muscolare , il corpo comunica questa emozione distendendo braccia e gambe, in una chiara posizione di apertura verso l’interlocutore.

Con il progredire dell’età la postura si modifica e  il bambino accompagna al sorriso una inclinazione del capo verso destra che indica la propensione all’incontro. La posizione del collo veicola messaggi di socializzazione particolarmente significativi; un capo eretto indica la volontà di affermare la propria supremazia, esprime un atteggiamento aggressivo, un capo piegato con lo sguardo basso è indice di sottomissione ed è privo di ostilità.

L’angoscia dell’ottavo mese è una peculiare espressione emotiva vissuta comunemente da tutti i bambini in presenza di persone estranee. In questa situazione il neonato irrigidisce tutto il corpo, tende le gambe, gesticola con le braccia e scoppia in grida e un pianto difficilmente consolabili. Lo sconosciuto scatena la consapevolezza che la madre può anche non essere costantemente presente e questo attiva un impatto emotivo per richiamare velocemente attenzioni di cura verso di sé, una sorta di istinto di protezione. In questi momenti il bambino assume posture corporee di difesa caratterizzate da erezione del capo verso l’alto, irrigidimento del tono muscolare che investe tutto il corpo. Il bambino inizia a gesticolare ma i movimenti del corpo diminuiscono nella misura in cui il tono aumenta e la tensione si trasforma in pianto e grida; il bambino ricerca un contatto rassicurante e lo esprime con l’abbassamento del capo e chiusura del corpo. Crescendo, il piccolo che si troverà ad affrontare stimoli negativi adotterà altre strategie, seppur continuando a presentare un tono muscolare alto, esso non si irrigidirà completamente permettendo maggiore reattività all’evento. Il bambino che vive a livello emotivo una situazione minacciosa prepara il suo corpo a due azioni: fuga e aggressione.

Quando le posture e i movimenti sono di:

-fuga, indicano che lo stimolo è vissuto come particolarmente forte, in questo caso il movimento consente al soggetto di scaricare la tensione, le braccia si piegano, le mani raggiungono la massima apertura rievocando una sorta di scudo, in segno di protezione, tronco e gambe coordinano un movimento opposto rispetto allo stimolo negativo;
-aggressione, quando il bambino decide di affrontare uno stimolo che lo spaventa,  il tono aumenta, le braccia si allungano in avanti, le mani si chiudono a pugno ,il corpo si prepara all’impatto . Ora il tronco e le gambe coordinano movimenti veloci e mirati che vanno incontro a ciò che è stato percepito come pericolo. Se lo stimolo risulta essere eccessivo il bambino sceglie una terza strategia: individua un oggetto o situazione alternativa sulla quale scaricare la propria tensione. Osservare la presenza di posture di apertura e postura di fuga o di aggressione dettate dalle emozioni, aiuta a individuare lo stadio raggiunto del processo emotivo-maturativo del piccolo.

Poi arriva l’opposizione del diciottesimo mese, periodo in cui emerge la contrarietà alla proposta dell’adulto e la volontà di affermare il proprio Io, le posture adottate sono di offesa o di affermazione.

In questa fase il bambino subisce una regressione nelle capacità di autocontrollo, si sporca maggiormente, è disordinato, e sotto il profilo emotivo manifesta maggior instabilità. Egli attua comportamenti aggressivi e di tipo pulsionale, come graffiare, sputare, tirare i capelli dell’altro, ed è meno propenso alla sopportazione delle frustrazioni. Il bambino matura l‘aggressività vicaria, ovvero indirizza le proprie azioni aggressive su un soggetto più debole. La naturale evoluzione di tali posture sono quelle di affermazione. Il movimento è più globale, il tono si mantiene alto, la testa eretta, braccia, tronco e gambe si muovono in maniera coordinata e assumono una posizione di apertura con le braccia e le mani protese in avanti per dimostrare di essere più forti e più grandi. L’affermazione è dimostrativa, il bambino tenta di differenziarsi dal genitore.

Esistono poi, posture corporee denominate di fusione e diffusione anch’esse indicatori del processo di maturazione del bambino. Sono quelle posture che esprimono il bisogno regressivo-fusionale del piccolo; a volte le posizioni e le sequenze di movimenti adottati favoriscono il soddisfacimento del bisogno fusionale, altre volte guardano alla realizzazione di un bisogno di natura relazionale. Tra queste si distinguono posture fusionali introverse e posture fusionali estroverse.

Le posture fusionali introverse si possono esternare attraverso movimenti diretti verso spazi più ristretti, come gli angoli di una stanza e dalla ricerca del contatto morbido con l’adulto e gli oggetti, oppure per i più grandi assumendo posizioni più contenute. Sono movimenti circolari. Possono riguardare posture dinamico-statiche, come quella di auto contenimento; stringere a sé il proprio corpo consente al tono di rimane piuttosto alto, mentre aumentando la postura di appoggio con il pavimento si avverte un abbassamento del tono stesso.

Differenti sono le posture fusionali vere e proprie, nelle quali il bambino avverte la necessità di soffermarsi per tempi più lunghi in posizione fusionale regressiva, chiudendo gli occhi, portando il dito alla bocca, assumendo posizioni fetali, dove il respiro è calmo e il battito cardiaco è lento. È una sensazione che pervade l’intero corpo. Sono posture che vengono velocemente sostituite da attività di affermazione contraddistinte da una forte intensità emotiva Le posture fusionali estroverse fanno riferimento alla dinamica interna del bambino che in presenza di un bisogno trova nell’azione un soddisfacimento autonomo, ma necessita nel contempo di poterlo rivivere più intensamente all’interno di una relazione affettiva, per sentire nuovamente quelle condizioni sensoriali che rievocano lo stato prenatale. Anche queste si possono manifestare  in una zona limitata a due, dove il bambino si muove in maniera più lenta in uno spazio ristretto in cui è già presente un’altra persona. In questo caso il bambino sceglie un compagno che esprima un bisogno simile, quindi il tono muscolare si abbassa, l’azione rallenta e si avvia una comunicazione fatta di imitazioni posturali.

Anche la postura da seduto è un importante indicatore dello stato emotivo, avente valenze regressive oppure di diffusione. La posizione delle gambe è quella che più rivela lo stato emotivo del piccolo da seduto, se queste sono appoggiate interamente al suolo o piegate su di un’ampia superficie di contatto, il tronco ricurvo in avanti, il tono muscolare è basso, le braccia e mani appoggiate nello spazio dietro delimitato dalle gambe, il messaggio trasmesso dal bambino è di non essere disponibile alla comunicazione e alla relazione con gli altri. Invece, se il bambino seduto mantiene il busto dritto o leggermente piegato all’indietro, le ginocchia piegate verso l’alto aperte oppure chiuse, il piccolo ricerca un equilibrio statico prima di attuare un’azione di diffusione. Altra postura comune nell’agire ludico del bambino è il gattonare, essa compare intorno ai sei-otto mesi, ed è una posizione intermedia. Se è di tipo diffusionale, la postura corporea presenta un uguale contrazione muscolare in tutte le parti in movimento, testa eretta, braccia tese, crea un’inclinazione dal basso verso l’alto del tronco e permette uno spostamento più veloce. Il bambino in questa situazione imita gli animali forti feroci, comunicando un forte bisogno di affermazione. Nella quadrupedia fusionale il tono muscolare è più basso, braccia e gambe in contatto con il suolo rimangono in tensione, il movimento è lento il capo inclinato verso il basso. Il bambino richiede cure, attenzione. La deambulazione  e la corsa rappresentano le posture più significative rispetto allo stato emotivo del bambino. Le posture del corpo possono essere considerate un dialogo posturale, il messaggio corporeo che cerca di lanciare è unidirezionale fino ai tre anni, poiché egli si percepisce come centro del mondo e ancora soggetto al principio di piacere che richiede il soddisfacimento del bisogno primario. Il dialogo corporeo è condizionato dall’immaturità del bambino, affinché si sviluppi una comunicazione occorre adattare il nostro dialogo posturale con quello del piccolo. La simultaneità dei movimenti e la riproduzione della stessa sequenza motoria diviene una guida per il bambino, la condivisione della postura rafforza il valore emotivo-affettivo e la sua efficacia.

 

 


ARTICOLO DI RE SARA DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO


bibliografia:

Il nuovo pensiero plurale ( dall’ illuminismo all’ idealismo) volume 2B, di Enzo Ruffaldi, casa editrice : Loescher

sitografia:

https://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-08272016-124124/unrestricted/TESI_pdf.pdf

https://saraverdini.it/psicomotricita-funzionale/

https://www.skuola.net/pedagogia/rousseau-pensiero-pedagogico.html

https://www.treccani.it/enciclopedia/psicomotricita_%28Universo-del-Corpo%29/

https://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/psicologia-pedagogia/Pedagogia/La-riflessione-pedagogica-nell-et–moderna/L-educazione-dell-uomo-secondo-natura–Rousseau.html

https://www.neuropsicomotricista.it/argomenti/580-tesi-di-laurea/la-psicomotricita-come-unione/2757-la-psicomotricita-cenni-storici.html

http://tesi.cab.unipd.it/49816/1/Marika_Bergo.pdf

https://blog.advmedialab.com/linguaggio-non-verbale-comunicazione-nascosta