Dante Alighieri, nato a Firenze nel 1265 e morto a Ravenna nel 1321, è uno dei  più celebri poeti italiani e con le sue opere ha influito in modo notevole sulla formazione della lingua italiana. Fra i suoi numerosi componimenti è di maggior rilievo la Commedia, un poema in lingua volgare fiorentina ritenuto uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale. Le è stato in seguito attribuito l’aggettivo  Divina da Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante. Per la grandezza di questa sua opera Dante è considerato il padre della lingua italiana. Proprio nella Commedia possiamo trovare numerosi neologismi e modi di dire creati dal poeta. Il linguaggio comune è pieno di modi di dire e frasi fatte che sono in realtà citazioni rubate alla Divina Commedia.

Ecco alcune delle espressioni e dei neologismi che ancora oggi utilizziamo nella nostra lingua senza, molto spesso, nemmeno avere consapevolezza di stare citando il grande poeta.

  • La parola “fertile” deriva dal verbo latino ferre (produrre) ed è stata usata per la prima volta da Dante nel canto XI del Paradiso al verso quarantacinque per descrivere la terra di origine di San Francesco. L’aggettivo viene usato solo qui e non compare in nessun altro autore precedente.

 

  • Dante ha coniato anche il termine “mesto” che deriva dal latino mestus, che significava essere triste. Dante lo utilizza per descrivere la misera condizione dei dannati nell’ Inferno (Inferno, c. I, v. 135)

 

  • Un’altra parola che è stata utilizzata da Dante per la prima volta per indicare l’entrare in città è “inurbarsi” (Purgatorio XXVI, v.69).

    Dante e il suo poema, Domenico di Michelino, Santa Maria del Fiore, Firenze

    Il Verbo si trova all’interno di una similitudine che paragona la schiera dei lussuriosi a un montanaro rozzo e selvatico. Infatti come le anime si stupiscono alla vista del corpo vivo di Dante, così il montanaro è stupito nel momento in cui si inurba, ovvero entra nelle mura della grande città. “Inurbarsi” dunque significa “entrare, mettere piede in città”, o addirittura, “entrare per la prima volta in città”. Nell’urbe, la città, si configura la metropoli del tempo, Firenze, che Dante aveva visto accrescersi e stravolgersi nel suo assetto sociale per l’afflusso di masse di contadini. Il verbo è invece diventato comune col significato di “trasferirsi dalla campagna alla città”.

 

 

  • Anche il termine “trasumanare”(Paradiso I, v.70) è un neologismo creato da Dante per spiegare l’esperienza metafisica che ha provato entrando nel regno dei Cieli. Il poeta aveva bisogno di una parola che potesse spiegare le sue sensazioni e emozioni provate nell’entrare nel Paradiso, sede dei beati e di Dio. Nella Commedia questo termine si presenta una sola volta e attorno a questo si snoda tutto il primo canto del Paradiso. Il poeta fiorentino  ha voluto rendere l’idea del passaggio ad una realtà superiore, oltre i limiti della natura umana, e trasmettere l’estasi che ha provato stando a contatto con Dio.

 

  • L’espressione comunissima “Stai fresco” indica qualcosa che andrà a finire male e si deve alla struttura stessa dell’Inferno. Infatti nel nono cerchio si trovano i traditori macchiati del peccato più grave e a seconda della gravità della loro colpa sono più o meno immersi nel Cocito, un enorme lago ghiacciato. Nel XXXII canto dell’Inferno con l’espressione “la dove i peccatori stanno freschi” (v.117) Dante si riferisce proprio a questa zona dove i dannati vengono colpiti da raffiche gelide di vento prodotte dalle ali di Lucifero.

 

  • La voragine infernale, Sandro Botticelli

    Altro famoso termine usato da Dante è “bolgia” usato per indicare ciascuna delle dieci fosse in cui si divide l’ottavo cerchio dell’Inferno. Essa risale al vocabolo di origine gallica “bulgia”, sacco, otre, da cui deriva l’antico francese “buge”, valigia, borsa, sacca, che pasa in Italia nelle forme “bulza”, “bulgia”.Oltre a diffondersi col significato relativo alla struttura dell’Inferno, viene usata estensivamente per indicare un luogo di peccato, di sofferenza e assume anche il significato odierno di luogo pieno di gente, confusione, disordine, ma anche affollamento, calca.

 

 

  • Ancora oggi ricorriamo all’espressione “Far tremare le vene e i polsi” per riferirci a qualcosa che ci spaventa profondamente. Il poeta la utilizza nell’Inferno (Inferno I, v. 90) quando chiede a Virgilio di salvarlo dalla Lupa, una delle tre fiere della selva oscura.

 

  • Nel canto II dell’Inferno Beatrice pronuncia l’espressione “Non mi tange” (v.93), a indicare qualcosa che non interessa, che non ti sfiora neppure. La donna dice queste parole quando spiega a Virgilio di non temere affatto il regno di Lucifero. Infatti lei è una creatura divina e quindi imperturbabile di fronte alla malvagità del diavolo.

 

  • Anche l’espressione “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” è opera di Dante. Il poeta con queste parole nel canto XXVI dell’Inferno, al verso centodiciannove, scrive quella che è l’incitazione di Ulisse verso i suoi compagni a seguirlo nella folle impresa di attraversare le colonne d’Ercole, un tempo ritenute i confini del mondo. Così  vuole far capire che l’importanza della conoscenza non ha né età né limiti e infatti il desiderio di conoscenza è riuscito a vincere gli affetti più grandi nell’animo di Ulisse. Oggi è un’espressione proverbiale usata per esortare a vivere come uomini e non come bestie seguendo gli ideali della virtù e della scienza.

 

  • L’espressione “Il gran rifiuto” che si trova nella frase “Colui che fece per viltade il gran rifiuto” al verso sessanta del canto III dell’Inferno si riferisce a Celestino V, il quale, eletto papa nel 1294, rinunciò al pontificato, in favore di una vita eremitica. Dante dovette essere molto

    Illustrazione degli ignavi, Priamo della Quercia (XV secolo)

    deluso dal comportamento di Celestino V perché in questo papa aveva riposto le sue speranze per il rinnovamento spirituale e morale della Chiesa e del mondo a lui contemporaneo. Gli successe Bonifacio VIII, sostenitore dell’esilio di Dante, e per questo posto da lui nell’Inferno. Celestino V si trova fra coloro che vissero “sanza ‘famia e sanza lodo” (Inferno III, v. 36), ovvero gli ignavi. Questi ultimi sono persone che in vita non hanno avuto il coraggio di prendere una posizione tra bene e male, evitando di assumersi le proprie responsabilità.

 

Oltre a questi ci sono molte altre espressioni e modi di dire che sono passati dai versi della Commedia al linguaggio comune italiano, spesso perdendo il significato originale per assumerne uno nuovo. 


Sitografia:

https://www.lanazione.it/firenze/curiosit%C3%A0/dante-parole-proverbiali-1.1552760

https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/glossario/i-modi-di-dire-di-dante-che-usiamo-ancora-

http://www.vocabolariodantesco.it/pubblicazioni/2016-Da_D_A_NOI.pdf

Espressioni inventate da Dante che usi senza saperlo


ARTICOLO REDATTO DA SOFIA MAGGIA DELLA CLASSE III A DEL LICEO CLASSICO