Napoleone Bonaparte è stato un politico e generale francese, fondatore del Primo Impero francese e protagonista della prima fase della storia contemporanea europea detta età napoleonica. 

Nato in Corsica da una famiglia della piccola nobiltà italiana, studiò in Francia dove divenne ufficiale d’artiglieria e quindi generale durante la rivoluzione francese. Famoso grazie alle vittorie ottenute nel corso della prima campagna d’Italia, dopo il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799) assunse il potere in Francia: fu Primo Console dal novembre di quell’anno al 18 maggio 1804, e Imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone I  dal 2 dicembre 1804 al 14 aprile 1814 e nuovamente dal 20 marzo al 22 giugno 1815. Fu anche presidente della Repubblica Italiana dal 1802 al 1805, re d’Italia dal 1805 al 1814, mediatore della Confederazione svizzera dal 1803 al 1813 e protettore della Confederazione del Reno dal 1806 al 1813. 

Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio, in Corsica, poco più di un anno dopo la stipula del trattato di Versailles del 1768, con il quale la Repubblica di Genova lasciava mano libera alla Francia nell’isola, che fu così invasa dalle armate di Luigi XV e annessa al patrimonio personale del re. La famiglia Bonaparte apparteneva alla piccola borghesia e aveva lontane origini nobili genovesi.

Il padre di Napoleone, Carlo Maria Buonaparte (Napoleone cambiò il cognome in “Bonaparte” dopo la morte del padre, pochi giorni prima di sposare Giuseppina e partire per la campagna d’Italia, per renderlo più adatto alla lingua francese), avvocato, laureatosi all’Università di Pisa, aveva effettuato ricerche araldiche per ottenere presso i lontani parenti di San Miniato una patente di nobiltà che gli conferisse prestigio in Patria e gli permettesse di meglio provvedere all’istruzione dei figli. In realtà già nel suo atto di battesimo, redatto ad Ajaccio in lingua italiana, viene attestata la nobiltà della famiglia e si riporta il cognome Bonaparte, prova che esso non era definitivamente fissato nella forma Buonaparte, mentre nei successivi atti, in italiano, relativi a Paola e a Luigi Napoleone il cognome, ancora nella forma Bonaparte, è preceduto dalla particella “de”. Carlo Maria Bonaparte morì prematuramente a causa di un tumore dello stomaco, il 24 febbraio 1785, a Montpellier.

La madre era Maria Letizia Ramolino, discendente da nobili toscani e lombardi; al momento del matrimonio, il 2 giugno 1764, aveva 14 anni, mentre il marito ne aveva 18. La coppia ebbe 13 figli, di cui solo otto sopravvissero: oltre Napoleone anche i fratelli Giuseppe, Luciano, Luigi e Girolamo; le sorelle Elisa, Paolina e Carolina. Lo stesso Napoleone disdegnò in più occasioni tali ascendenze illustri affermando che voleva essere fondatore e non discendente di tale nobiltà.

I due genitori combatterono nella guerra fra i corsi e i francesi e Maria combatté anche quando era incinta di Napoleone, suo secondo figlio. Il 15 agosto 1769 durante la festa dell’Assunzione si recò alla cattedrale di Ajaccio. Al suo ritorno a casa, intorno a mezzogiorno si accasciò dando alla luce Napoleone. Venne battezzato un anno ed undici mesi dopo, il 21 luglio 1771.

A cinque anni venne iscritto in un asilo d’infanzia in Francia, dove studiò con l’abate Recco[15] per quattro anni, nei quali ricevette educazione anche dallo zio, l’arcidiacono Luciano.

Fu grazie al titolo nobiliare ottenuto in Toscana che il padre Carlo poté iscriversi al Libro della nobiltà di Corsica, istituito dai francesi per consolidare la conquista dell’isola e, solo grazie a tale iscrizione, all’età di nove anni, il giovane Napoleone fu ammesso il 23 aprile 1779, sempre per iniziativa del padre, alla Scuola reale di Brienne-le-Château, nel nord della Francia, dove rimase fino al 17 ottobre 1784 (alcuni storici, erroneamente, ritengono fino al 30 ottobre dello stesso anno). Per migliorare il suo francese e prepararsi alla scuola, prima frequentò per quattro mesi il collegio di Autun, i suoi studi furono finanziati grazie a una borsa di studio di duemila franchi.

Napoleone inizialmente non si considerava francese e si sentiva a disagio in un ambiente dove i suoi compagni di corso erano in massima parte provenienti dalle file dell’alta aristocrazia transalpina e lo prendevano crudelmente in giro motteggiando il suo nome come “la paille au nez = la paglia per il naso” (l’accusa di essere straniero l’avrebbe perseguitato per tutta la vita). Qui strinse amicizia con Louis-Antoine Fauvelet de Bourrienne, suo futuro biografo, e nel frattempo il giovane Napoleone si dedicò con costanza agli studi, riuscendo particolarmente bene in matematica. Seguì le idee ateiste del collegio e lui stesso narrò che a 11 anni la sua fede vacillò.

Grazie alla sua nascita in contesto italiano/toscano-corso, mantenne comunque un legame forte con la lingua e la cultura toscana/italiana, come dimostra il fatto che tra i suoi libri più cari, che portava sempre con sé, c’era la versione cesarottiana dei Canti di Ossian, saga poetica del guerriero celtico Ossian.

Dopo il giudizio positivo del cavaliere di Kéralio, il 22 settembre 1784 il suo successore, l’ispettore militare Reynaud des Monts, gli concesse l’ammissione alla Regia Scuola Militare di Parigi, fondata da Luigi XV su consiglio di Madame de Pompadour, dove giunse nella sera del successivo 21 ottobre, partito giorni prima il 17. Nel 1785 tentò di passare in Marina, ma in seguito all’annullamento degli esami d’ammissione di quell’anno, passò in artiglieria, desideroso di abbandonare gli studi al più presto e dedicarsi alla carriera militare. Alloggiava in una mansarda. Fra i suoi insegnanti figurava Gaspard Monge, creatore della geometria descrittiva.

Ottenne quindi la nomina a sottotenente a soli 16 anni e fu distaccato, il 1º settembre 1785, presso un reggimento d’artiglieria di stanza a La Fère, come sottoluogotenente, sotto gli ordini del barone du Teil, per assumere la luogotenenza, pochi mesi dopo, presso un reggimento di stanza a Valence, nel sud-est della Francia. Nel 1787 tornò a Parigi, poi viaggiò in Corsica e infine raggiunse il reggimento ad Auxonne. 

Allo scoppio della rivoluzione nel 1789, Napoleone, ventenne e ormai ufficiale del re Luigi XVI, riuscì a ottenere una lunga licenza grazie alla quale poté ritornare al sicuro in Corsica. Una volta stabilitosi qui si unì al movimento rivoluzionario dell’isola assumendo il grado di tenente colonnello della Guardia Nazionale.Dopo essere stato per alcuni mesi a Auxonne il 1º giugno venne inviato nel 4º reggimento d’artiglieria a Valence con il grado di primo luogotenente. Nel gennaio del 1792 si candidò come tenente colonnello e venne eletto, con alcuni dubbi, il 28 marzo, in seguito verrà momentaneamente retrocesso al rango di capitano. Per i suoi continui viaggi in Corsica, superando il tempo concessogli per la licenza militare, rischiò di essere considerato disertore, preoccupato ritornò a Parigi nello stesso anno.

Nel frattempo in Corsica infuriava la guerra civile scoppiata appunto nel 1793. Già dal 1792 gli eccessi rivoluzionari di settembre, che anticiparono l’instaurazione del “Terrore” dell’estate successiva, avevano spinto l’eroe nazionale dell’indipendenza corsa, Pasquale Paoli (che era rientrato trionfalmente nel suo Paese nel 1790, dopo il lungo esilio impostogli dai Re di Francia), a prendere le distanze da Parigi e a riprendere la lotta per l’indipendenza della Corsica. Accusato di tradimento e inseguito da un mandato di arresto emesso dalla Convenzione nazionale il 2 aprile 1793, Paoli ruppe gli indugi il 17 aprile, appellandosi direttamente a tutta la popolazione còrsa affinché difendesse la propria patria e i propri diritti. La famiglia Buonaparte, che pure aveva sostenuto Paoli al tempo della rivolta contro Genova e poi contro le Armate di Luigi XV (il padre Carlo e forse anche la madre parteciparono accanto a Paoli alla battaglia di Ponte Nuovo contro i francesi), scelse però la causa francese.
Nel febbraio 1793 Napoleone comandò i 350 uomini dell’11º battaglione verso l’isola della Maddalena in Sardegna. Il 22 febbraio sbarcò a Santo Stefano; l’attacco però non riuscì, in quanto mancò l’appoggio previsto della corvetta Fauvette.

Napoleone fuggì rapidamente ad Ajaccio e di lì riparò con l’intera famiglia, accusata di tradimento, a Tolone. Il 12 settembre 1793 giunse al quartier generale di Cartaux. In sei settimane riorganizzò le forze per l’assedio alla città, preparò 100 pezzi di grosso calibro e raccolse vari ufficiali competenti. Con l’appoggio di Gasparin, uno dei tre commissari a Tolone, riuscì ad avere il controllo dell’artiglieria d’assedio; intanto il 19 ottobre era divenuto capo di battaglione. A Cartaux successero Doppet e poi il capace generale Jacques François Dugommier. Napoleone conobbe Andoche Junot, che sarebbe stato in seguito governatore di Parigi. Il 1º dicembre viene nominato dal generale Dugommier aiutante generale. Riuscì a conquistare il forte dell’Eguillette, chiamato la piccola Gibilterra, e dopo gli altri forti nel dicembre 1793, liberò il porto di Tolone dai monarchici e dalle truppe inglesi che li appoggiavano. Secondo Chateaubriand, in questa occasione il giovane Napoleone si macchiò di massacri spietati contro la popolazione.

Tolone fu il suo primo clamoroso e avventuroso successo militare, che gli valse la nomina a generale di brigata il 22 dicembre e l’attenzione del futuro membro del Direttorio Paul Barras, che lo aiuterà poi nella successiva scalata al potere. La sua amicizia con Augustin de Robespierre, fratello di Maximilien, prima lo liberò dagli arresti in casa cui era stato costretto nel 1794 poi lo fece cadere in disgrazia all’indomani del 9 termidoro e della conseguente fine del Terrore. Venne arrestato con l’accusa di spionaggio e poi liberato. Tuttavia la fortuna gli arrise quando il 13 vendemmiaio (5 ottobre 1795) Barras lo nominò, all’improvviso, comandante della piazza di Parigi, con l’incarico di salvare la Convenzione nazionale dalla minaccia dei monarchici (realisti). Con l’aiuto di Gioacchino Murat al comando della cavalleria, Napoleone colpì spietatamente i rivoltosi scongiurando un nuovo colpo di Stato. In seguito al brillante successo, Barras lo nominò generale del Corpo d’armata dell’Interno.

Il 12 aprile 1796 cominciava la prima campagna d’Italia che avrebbe portato alla luce il genio militare e politico del generale Bonaparte il quale, nonostante l’inferiorità numerica e logistica, riuscì a sconfiggere ripetutamente le forze austriache, piemontesi e venete. Questi successi affascinarono anche il grande compositore Ludwig van Beethoven, che inizialmente dedicò al giovane generale repubblicano la sinfonia n. 3, “l’Eroica”, ma successivamente stracciò la dedica, indignato dal fatto che Napoleone si fosse proclamato imperatore. Dopo essere riuscito a sollevare il morale e lo spirito combattivo delle sue truppe, Napoleone manovrò con rapidità per disgregare e sconfiggere separatamente i due eserciti avversari; il giovane generale impiegò per la prima volta la cosiddetta “strategia della posizione centrale” e la campagna di Montenotte fu caratterizzata dalle continue vittorie dell’Armata d’Italia. Le forze austriache e piemontesi vennero battute successivamente a Cairo Montenotte, Dego, Millesimo, Cosseria; il 19 aprile 1796 sconfisse i piemontesi nella Battaglia di Mondovì, chiamata anche “Battaglia della Bicocca di San Giacomo” o “Presa di San Michele”. Con l’armistizio di Cherasco, Napoleone costrinse Vittorio Amedeo III di Savoia a pesanti concessioni, ratificate con la Pace di Parigi (15 maggio), che assegnava alla Francia sia la Savoia sia la contea di Nizza. Il 10 maggio 1796 sbaragliò l’ultima difesa austriaca nella battaglia di Lodi e il 14 maggio dello stesso anno entrò a Milano. Costretto il Piemonte all’armistizio e occupata Milano, Napoleone ricevette dal Direttorio i pieni poteri sull’Armata d’Italia e si preparò a sconfiggere l’esercito austriaco. Mentre le truppe francesi assediavano la fortezza di Mantova, gli austriaci sferrarono una controffensiva che inizialmente mise in difficoltà il generale. Dopo una serie di scontri parziali, gli eserciti francese e austriaco si fronteggiarono, il 5 agosto, nella Battaglia di Castiglione. Fu, quella di Castiglione delle Stiviere, la prima grande battaglia campale diretta da Napoleone, il quale dimostrò il suo genio tattico ribaltando a proprio favore una situazione che pareva compromessa e conquistando una delle più importanti vittorie della sua carriera militare. Sebbene non definitiva, la sconfitta fu pesante per l’esercito austriaco che, riorganizzato e rinforzato da nuovi reparti, venne in seguito battuto a Bassano, Arcole e, infine, a Rivoli, prima battaglia d’annientamento della carriera di Napoleone.

Nell’ottobre del 1796, si costituì la Legione Lombarda, prima forza armata composta da italiani ad adottare quale bandiera di guerra il Tricolore (verde, bianco e rosso). Contemporaneamente le ex-legazioni pontificie si costituirono in Repubblica Cispadana e adottarono (7 gennaio 1797) il tricolore quale bandiera nazionale. Col trattato di Tolentino, Papa Pio VI, fu costretto a riconoscere la cessione delle Legazioni di Forlì, Ravenna, Bologna e Ferrara. Per gestire questi territori, venne creata l’Amministrazione Centrale d’Emilia, la cui sede venne fissata da Napoleone stesso in Forlì a partire dal 18 aprile 1797. Sconfitti gli austriaci Napoleone invece di ritirarsi dai territori della Repubblica di Venezia (teatro di guerra tra le truppe francesi e austriache) decise di attaccare Venezia; la notte del 15 maggio 1797 le truppe francesi entrarono a Venezia e deposero il Doge Ludovico Manin, primo esercito straniero ad entrare in città dopo 1.100 anni, proclamando la Caduta della Repubblica di Venezia. Il successivo 29 giugno venne proclamata la Repubblica Cisalpina con capitale Milano; la stessa il 9 luglio incorporò la Repubblica Transpadana. Con il diretto intento di danneggiare il pontefice fu proclamata il 19 novembre 1797 la Repubblica Anconitana con capitale Ancona che fu poi unita alla Repubblica Romana: il tutto ebbe però breve durata, poiché nel 1800 lo Stato Pontificio fu ripristinato.

Le forze austriache, comandate dall’arciduca Carlo d’Austria, intimorite dalla rapida marcia di Napoleone verso Vienna, dovettero accettare una tregua, a Leoben che si concretizzò nel trattato di Campoformio, il 17 ottobre 1797. Oltre all’indipendenza delle nuove repubbliche formatesi, la Francia acquisiva i Paesi Bassi e la riva sinistra del Reno, gli austriaci inglobavano i territori della Repubblica di Venezia. Terminava così, con una secca sconfitta dell’Austria, la campagna d’Italia.

Nel corso della campagna d’Italia, Napoleone manifestò la sua brillante capacità strategica, in grado di assimilare le nuove teorie innovative dei pensatori militari francesi e applicarle magistralmente sul campo. Ufficiale di artiglieria per formazione, utilizzò i mezzi d’artiglieria in modo innovativo come supporto mobile agli attacchi della fanteria.

Nel 1798 il Direttorio, preoccupato per l’eccessiva popolarità e per il notevole prestigio di Bonaparte, gli affidò l’incarico di occupare l’Egitto per contrastare l’accesso inglese all’India e quindi per danneggiarla economicamente. Un indizio della devozione di Napoleone ai principi dell’Illuminismo fu la sua decisione di affiancare gli studiosi alla sua spedizione: la spedizione d’Egitto ebbe il merito di far riscoprire, dopo centinaia di anni, la grandezza di quella terra, e fu proprio l’opera di Napoleone a far nascere la moderna egittologia, soprattutto grazie alla scoperta della Stele di Rosetta da parte dei soldati al seguito della spedizione. Napoleone aveva da anni accarezzato l’idea di una campagna in oriente, sognando di seguire le orme di Alessandro Magno ed essendo dell’idea che «L’Europa è una tana di talpe. Tutte le grandi personalità vengono dall’Oriente». La spedizione cominciò il 19 maggio, quando Napoleone salpò da Tolone a capo dell’Armata d’Oriente, composta da oltre 60 navi da guerra, 280 navi da trasporto, 16.000 marinai e 38.000 soldati. Presa Malta, dove i Cavalieri Ospitalieri capitolarono senza combattere, Napoleone arrivò in Egitto. Dopo un’importante vittoria nella battaglia delle piramidi, Napoleone schiacciò i mamelucchi di Murad Bey ed entrando a Il Cairo divenne padrone dell’Egitto. Pochi giorni dopo, il 1º agosto 1798, la flotta di Napoleone in Egitto fu completamente distrutta dall’ammiraglio Horatio Nelson, nella baia di Abukir, cosicché Napoleone rimase bloccato a terra. Dopo una ricognizione sul mar Rosso, decise di recarsi in Siria, col pretesto di inseguire il governatore di Acri Aḥmad al-Jazzār Pascià che aveva tentato di attaccarlo. Giunto però il 19 marzo 1799 dinanzi a San Giovanni d’Acri, l’antica fortezza dei crociati in Terra Santa, Napoleone perse più di due mesi in un inutile assedio e la campagna di Siria si concluse con un fallimento per mano del colonnello Antoine de Phélippeaux, che era stato suo compagno e acerrimo rivale alla scuola militare reale di Parigi. Ritornato a Il Cairo, Napoleone sconfisse il 25 luglio 1799 un esercito di oltre diecimila ottomani guidati da Mustafa Pascià ad Aboukir, proprio dove l’anno prima era stato privato di tutta la sua flotta. Preoccupato tuttavia delle terribili notizie che giungevano dalla Francia (l’esercito in ripiegamento su tutti i fronti, il Direttorio ormai privo di potere) e consapevole che la campagna d’Egitto non aveva conseguito i fini sperati, Napoleone, lasciato il comando al generale Kléber, s’imbarcò in gran segreto il 22 agosto sulla fregata Muiron (preda bellica ex veneziana) alla volta della Francia.

Durante l’assenza di Napoleone impegnato in Egitto, i francesi erano stati ripetutamente battuti in Italia e in Germania dagli austriaci e dai russi a Cassano d’Adda, a Novi e sul Reno. La Seconda coalizione antifrancese aveva rovesciato la Repubblica Napoletana del 1799, fondata dai francesi, quella Romana e la Repubblica Cisalpina. Il 6 maggio 1800, sei mesi dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, Napoleone assunse il comando della cosiddetta Armata di riserva, destinata a essere trasferita in Italia per rovesciare le sorti della guerra. Il Primo console guidò con grande abilità strategica la marcia del suo esercito; valicò le Alpi al passo del Gran San Bernardo e colse di sorpresa gli austriaci impegnati nell’assedio di Genova. Il nemico venne rapidamente battuto nella battaglia di Montebello, mentre Napoleone rientrò a Milano. Il 14 giugno 1800 si combatté la decisiva battaglia di Marengo. Fu la più famosa delle battaglie napoleoniche in Italia, aspramente combattuta e dalle conseguenze decisive. Napoleone venne inizialmente messo in difficoltà dall’attacco austriaco e rischiò la sconfitta, ma alle otto della sera la battaglia si concluse con la completa vittoria del Primo console. A rovesciare le sorti della battaglia fu l’arrivo nel primo pomeriggio delle truppe di rinforzo del generale Louis Desaix che permise a Napoleone di contrattaccare con successo l’esercito austriaco del generale Michael von Melas, già certo della vittoria. Il generale Desaix morì durante le fasi finali della battaglia. A Milano venne provvisoriamente ricostituita la Repubblica Cisalpina che verrà sostituita dopo i Comizi di Lione dalla Repubblica Italiana (1802-1805). La pace in Italia venne sancita con il trattato di Lunéville, che in pratica riconfermava il precedente trattato di Campoformio violato dagli austriaci. Nel 1802 Napoleone venne proclamato Presidente della Repubblica Italiana, titolo che conserverà sino al 17 marzo 1805 quando assumerà quello di Re d’Italia, mentre il patrizio milanese Francesco Melzi d’Eril ne fu nominato vice Presidente.

Divenuto console a vita, Napoleone era in pratica sovrano assoluto della Francia. Il 18 maggio 1804 il Senato lo proclamò Imperatore dei francesi. Il 2 dicembre del 1804, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu celebrata la cerimonia di incoronazione. Napoleone si auto-incoronò imperatore dei francesi e quindi incoronò imperatrice sua moglie Giuseppina di Beauharnais. Al contrario di come si sostiene solitamente, Napoleone non prese la corona dalle mani del Papa che pure presenziò senza partecipare direttamente alla cerimonia, su volontà dell’imperatore stesso. Successivamente, il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, Napoleone fu incoronato Re d’Italia. L’incoronazione a Milano fu fastosa, e accompagnata dai suoi più fedeli collaboratori in Italia, come il cardinale Bellisoni, il Fenaroli, il Baciocchi, il Melzi e l’Aldini. Rinasceva in Francia la monarchia, ma non era la stessa monarchia rovesciata nel 1792, privata dei poteri già nel 1789. Napoleone non era «re di Francia e di Navarra per grazia di Dio», come citavano le formule dell’Ancien Régime, ma «Imperatore dei francesi per volontà del popolo», anche se i documenti ufficiali mantenevano una formula di compromesso («Napoleone, per la grazia di Dio e le costituzioni della Repubblica, Imperatore dei Francesi»). Fu in sostanza un nuovo re dei francesi, tanto che da lui hanno origine molte delle attuali monarchie moderne europee; e fu in effetti una monarchia, poiché Napoleone era padrone assoluto, anche se una monarchia che però non si rifaceva alla nobiltà feudale dell’Ancien Régime, ma nella quale si attuavano alcuni princìpi illuministici della borghesia.

Per mettere in ginocchio l’Inghilterra, unica potenza ancora in armi contro la Francia, Napoleone avviò un embargo. Tuttavia questo embargo, chiamato Blocco Continentale (poiché, nelle intenzioni del Bonaparte, tutta l’Europa continentale avrebbe dovuto aderire all’embargo contro le isole britanniche) non diede i risultati sperati. Il fallimento del blocco fu dovuto al fatto che molti paesi europei, per motivi di convenienza economica, non vi aderirono completamente, continuando a mantenere scambi commerciali con l’Inghilterra. Napoleone inoltre, per colpire il Portogallo che manteneva aperti i suoi porti alla flotta inglese, invase la Spagna e il Portogallo stesso, mentre successivamente la scelta della Russia di uscire dal blocco, costringerà Napoleone ad affrontare una campagna all’est che per lui sarà catastrofica. Nonostante gli accordi stabiliti a Tilsit, lo zar Alessandro I di Russia temeva l’egemonia napoleonica e rifiutò di collaborare con lui riguardo al Blocco Continentale, per non danneggiare l’economia russa e perché segretamente sperava di formare una nuova coalizione antifrancese. Napoleone decise di cominciare una campagna decisiva contro la Russia per sottomettere lo zar al suo sistema di potere in Europa, costringerlo ad aderire al Blocco, privarlo della sua influenza in Polonia, Balcani, Finlandia, Persia. L’imperatore disponeva di circa 700.000 uomini, di cui circa 300.000 francesi e il resto contingenti stranieri provenienti da tutti gli stati vassalli e alleati del Grande Impero. I russi, comandati prima dal generale Michael Barclay de Tolly e poi dal generale Mikhail Kutuzov, timorosi di affrontare il preponderante esercito nemico e intimiditi dalla reputazione militare di Napoleone, decisero inizialmente di ritirarsi nel cuore della Russia. Una serie di vaste manovre strategiche, ideate da Napoleone per sconfiggere l’esercito nemico e concludere rapidamente la guerra, fallirono a causa di errori dei suoi luogotenenti, delle difficoltà del terreno e delle tattiche prudenti dei suoi avversari; a Vilna, a Vitebsk e soprattutto nella battaglia di Smolensk e nella battaglia di Valutino i russi, battuti ma non distrutti, riuscirono a evitare uno scontro decisivo e a ripiegare verso est. Finalmente il 7 settembre, dopo la decisione del generale Kutuzov di combattere per difendere Mosca, ebbe luogo la grande battaglia di Borodino, a ovest della città: dopo una battaglia cruenta e molto combattuta, i russi, sconfitti, ripiegarono e Napoleone entrò a Mosca una settimana dopo, nel pomeriggio del 14 settembre, dopo aver posto il suo quartier generale sulla collina Poklonnaja, convinto che Alessandro avrebbe negoziato la pace. Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non poteva immaginare che la città completamente vuota nascondesse in realtà un’insidia: nella notte Mosca cominciò a bruciare, essendo state appiccate le fiamme da alcuni russi nascosti nelle case. Napoleone, che aveva tentato a più riprese di venire a un accordo con Alessandro I senza riuscire neanche a far ricevere i propri messi, si rese conto della necessità di ritirarsi visto l’approssimarsi dell’inverno. Diede perciò ordine di cominciare la ritirata: era rimasto a Mosca non più di trentacinque giorni. La Grande Armata francese soffrì gravi perdite nel corso della rovinosa ritirata; la spedizione era cominciata con circa 700.000 uomini (di cui poco meno della metà erano francesi) e 200.000 cavalli, alla fine della campagna poco più di 18.000 uomini raggiunsero Vilna rimanendo nei ranghi; a questi si aggiunsero poi quarantamila isolati nei giorni successivi. In totale più di 400.000 furono i morti e 100.000 i prigionieri. Sopravvissero inoltre solo 10.000 cavalli. Tra il 25 e il 29 novembre, infatti, i resti dell’armata, distrutta prima dal caldo e poi dal freddo (il cosiddetto “generale Inverno”)vennero in gran parte annientati dai russi durante il passaggio della Beresina.Intanto, Napoleone era stato raggiunto dalla notizia che a Parigi il generale Malet aveva diffuso la notizia della morte dell’imperatore e tentato un colpo di Stato. Angosciato delle notizie di tradimento (Talleyrand e Fouché stavano ormai tramando col nemico), Napoleone abbandonò precipitosamente la Russia lasciando il comando a Gioacchino Murat e a Eugenio di Beauharnais e tornando nella capitale, dove cominciava a ricostruire un nuovo esercito di 400.000 uomini, in realtà giovanissimi e male addestrati. Le potenze europee, conscie dell’atroce disfatta di Russia, sollevarono la testa e formarono una nuova coalizione. 

La prima a unirsi alla vittoriosa Russia fu la Prussia che, abbandonando l’alleanza con Napoleone, si schierò a fianco dello zar e della Gran Bretagna. Era la sesta coalizione. Napoleone, dopo essere rientrato a Parigi, organizzò in fretta, con l’afflusso di giovani reclute, un nuovo esercito e sconfisse i prussiani prima a Lützen e poi a Bautzen nel maggio 1813. Ma l’insidia più grande era l’Austria, la quale – non rispettosa dei patti – era pronta a scavalcare anche un matrimonio di stato come quello di Napoleone con Maria Luisa pur di sconfiggere l’odiato nemico. Nel corso di un memorabile e burrascoso incontro bilaterale a Dresda, Napoleone e Metternich non riuscirono a giungere a un accordo e il 12 agosto l’Austria si unì alla coalizione antifrancese. Dopo un’ultima importante vittoria francese nella battaglia di Dresda, le forze napoleoniche furono costrette lentamente a ripiegare sotto la pressione congiunta degli eserciti di Austria, Russia, Prussia e Svezia; l’esercito svedese era comandato dall’ex maresciallo francese Jean-Baptiste Jules Bernadotte. Nella decisiva battaglia di Lipsia, detta Battaglia delle Nazioni perché vi parteciparono eserciti di tutta Europa, l’inesperienza dell’esercito francese, la defezione dei contingenti tedeschi e la superiorità numerica delle forze nemiche furono i fattori che determinarono la sconfitta di Napoleone. L’esercito francese fu costretto a ritirarsi attraverso la Germania in piena insurrezione contro l’occupazione napoleonica, mentre anche i Paesi Bassi si rivoltavano e la Spagna era ormai persa.Rientrato precipitosamente a Parigi, Napoleone dovette subire l’insubordinazione di tutti i corpi politici: le Camere denunciarono solo ora la sua tirannia, la nuova nobiltà da lui creata gli girò le spalle, il popolo, ormai stanco della guerra, rimase freddo, i marescialli dell’Impero cominciarono a defezionare: tra i principali, Gioacchino Murat che passò al nemico per conservare il regno di Napoli.

Resosi ormai conto dell’evolversi della sua caduta, con inoltre l’aggravarsi dei cosacchi entrati in Parigi, il 12 aprile, presso il Castello di Fontainebleau, Napoleone tentò il suicidio ingerendo una forte dose di arsenico, conservato in una fialetta che l’imperatore si era procurato dopo la sconfitta in Russia, ma miracolosamente venne soccorso e salvato dai suoi collaboratori, che chiamarono i medici in tempo. Dopo un memorabile addio alla Vecchia Guardia, Napoleone subì il dramma della fuga quando, attraversando la Francia del sud, fu costretto a indossare un’uniforme austriaca per non finire linciato dalla folla. Imbarcatosi precipitosamente a Marsiglia sulla fregata inglese HMS Undaunted comandata da Thomas Ussher, il 4 maggio 1814 sbarcò all’isola d’Elba, dove il nemico aveva deciso di esiliarlo, pur riconoscendogli la sovranità sull’isola con il rango di principe e la conservazione del titolo di imperatore. L’imperatore eluse la sorveglianza della flotta inglese e il 1º marzo 1815 sbarcò in Francia nel golfo di Cannes, a Golfe Juan, vicino ad Antibes: cominciava il periodo che sarà noto come i «Cento giorni». La popolazione lo accolse con un entusiasmo sorprendente e gli eserciti inviatigli contro da Luigi, invece di fermarlo, si unirono a lui. Fu prima la volta del 5° di linea di Grenoble: Napoleone mosse incontro ai soldati dell’esercito borbonico. Successivamente passarono dalla sua parte gli eserciti guidati da Charles de la Bédoyère e dal maresciallo Ney, che in precedenza aveva promesso enfaticamente a Luigi XVIII che avrebbe condotto Napoleone a Parigi «in una gabbia di ferro». Entrambi i generali pagheranno con la fucilazione la defezione dall’incarico ricevuto. Il 20 marzo Napoleone entrò trionfalmente a Parigi, mentre Luigi era fuggito in gran fretta verso Gand su suggerimento di Talleyrand, che al Congresso di Vienna spinse le teste coronate a riprendere la spada contro l’imperatore. Riorganizzato rapidamente l’esercito, Napoleone chiese ai nemici nuovamente coalizzatisi la pace, con la sola condizione di mantenere il trono di Francia: la sua richiesta non venne accettata. Intanto, in campo politico, l’imperatore aveva ben compreso i limiti del suo governo precedente e aveva promulgato una costituzione maggiormente liberale, l’Atto addizionale, che concedeva maggiori poteri alle Camere e la libertà di stampa. Per evitare una nuova invasione del suolo patrio, Napoleone fece la prima mossa, entrando di sorpresa in Belgio, dove erano schierati l’esercito britannico e l’esercito prussiano. Il suo piano prevedeva una manovra su due ali che avrebbero diviso e sconfitto separatamente i prussiani e i britannici prima che, superiori di numero, potessero congiungersi. Così si giunse al 18 giugno 1815, la giornata della battaglia di Waterloo, descritta anche da Victor Hugo. Il piano strategico generale di Napoleone venne vanificato da alcuni errori dei suoi marescialli, principalmente Emmanuel de Grouchy, il quale, inviato a intercettare la colonna prussiana sfuggita a Ligny, in pratica si limitò solo a inseguire la retroguardia delle forze prussiane che si erano intanto riorganizzate e che, grazie alla loro determinazione, riuscirono a ricongiungersi con Wellington proprio nella fase decisiva della battaglia. Le forze britanniche del duca di Wellington e quelle prussiane di Blücher riuscirono a sconfiggere i francesi. 

il 15 luglio 1815 Napoleone si arrese agli inglesi salendo a bordo della nave HMS Bellerophon. Condizione della consegna era la deportazione in Inghilterra o negli Stati Uniti, ove intendeva vivere soggetto al diritto comune e con lo status di privato cittadino; nel caso avesse ottenuto il permesso di soggiornare in America, le sue intenzioni erano quelle di diventare un famoso scienziato e studioso di fenomeni naturali, ma purtroppo le cose per lui andarono in modo totalmente diverso. Il capitano Maitland, in rappresentanza del principe reggente, arrestò Napoleone venendo in parte meno alla parola datagli: con la promessa di poter continuare a vivere in una semplice casetta di campagna in territorio inglese, Napoleone effettivamente venne accontentato ed ottenne un domicilio in territorio britannico; condotto dalla nave da battaglia HMS Northumberland, il 15 ottobre 1815 Napoleone venne sbarcato prigioniero ed esiliato a Sant’Elena, una piccola isola nel mezzo dell’oceano Atlantico, ancora oggi possedimento britannico, così remota e sperduta da rendere impossibile ogni tentativo di fuga. Con un piccolo seguito di fedelissimi, Napoleone fu trasferito nel villaggio interno di Longwood, dove rimase fino al decesso. I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell’isola e con il duro regime impostogli, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821.


ARTICOLO DI CLARA LUNGHI DELLA CLASSE IV I DEL LICEO LINGUISTICO