GOLDONI L’oste Mirandolina è una bella ragazza, e per la sua bellezza il conte di Alba Fiorita e il marchese di Forlimpopoli se ne innamorano. I due nobili le fanno ricchi doni, cercando di ingraziarsela e di sposarla, ma l’astuta Mirandolina accetta solo il denaro ed i gioielli, senza però dare loro la sua mano. Un terzo uomo arriva sulla scena: il Cavaliere di Ripafratta estremamente misogino, che pensa che la donna porti solo guai all’uomo. Mirandolina, che non ha mai visto un uomo così,lo prende come una sfida per se stessa e fa di tutto per innamorarlo. Ella riesce nel suo scopo e per vendetta lo porta ad ammettere in pubblico di essersi innamorato di una donna. Alla fine la bella Mirandolina si accorge di amare Fabrizio, il suo cameriere, e abbandona la sua arte di “innamorare gli uomini” per rimanere fedele solamente a lui.

 

 

 

 

 

 

PIRANDELLO Un nobile del primo ‘900 prende parte ad una cavalcata in costume nella quale impersona l’imperatore Enrico IV di Franconia; alla messa in scena, prendono parte anche Matilde Spina, donna della quale è innamorato, ed il suo rivale in amore Belcredi. Quest’ultimo disarciona Enrico IV, il quale nella caduta batte la testa e si convince di essere realmente il personaggio storico che stava impersonando. La follia dell’uomoviene assecondata dai servitori che il nipote Di Nolli mette al suo servizio per alleviare le sue sofferenze; dopo 12 anni Enrico guarisce e comprende che Belcredi lo ha fatto cadere intenzionalmente per rubargli l’amore di Matilde. Decide così di fingersi ancora pazzo, di immedesimarsi nella sua maschera per non voler vedere la realtà dolorosa. Dopo 20 anni dalla caduta, Matilde, Belcredi, la figli di Matilda, Di Nolli e uno psichiatra vanno a trovare Enrico IV. Lo psichiatra è molto interessato al caso della pazzia di Enrico IV, che continua, a loro insaputa, la sua finzione, e dice che per farlo guarire si potrebbe provare a ricostruire la stessa scena di 20 anni prima e ripetere la caduta da cavallo. La scena viene così allestita, ma al posto di Matilde recita la figlia. Enrico IV si ritrova così di fronte la ragazza, che è esattamente uguale alla madre Matilde da giovane, la donna che Enrico aveva amato e che ama ancora. Ha così uno slancio che lo porta ad abbracciare la ragazza, ma Belcredi, il suo rivale, non vuole che la ragazza venga abbracciata e si oppone. Enrico IV sguaina così la spada e uccide Belcredi. Per sfuggire definitivamente alla realtà (e alle conseguenze del suo gesto), decide di fingersi pazzo per sempre.

 

 

 

PIRANDELLO La scena si apre con un palcoscenico apparentemente in corso di allestimento per consentire le prove del secondo atto di un’opera teatrale di Luigi Pirandello (Il giuoco delle parti). Mentre gli attori ed i membri della compagnia si organizzano per la realizzazione della prova, l’usciere del teatro annuncia al capocomico l’arrivo di sei personaggi, i quali lo seguiranno con aria smarrita e perplessa, guardandosi intorno. Il direttore-capocomico, inizialmente indispettito dall’interruzione delle prove, si lascia convincere dai personaggi i quali intendono raccontare il loro dramma, pensato dall’autore che li creò, ma mai vissuto fino in fondo. Preso dalla vicenda, il capocomico si decide a rappresentare il dramma dei personaggi sulla scena, utilizzando gli attori della compagnia con risultati poco convincenti. Saranno poi gli stessi personaggi a rappresentare, di persona, il loro dramma. In realtà la loro vicenda è in relazione con quella di un settimo personaggio, che si materializzerà a sua volta più avanti. Lo svolgimento dell’intera vicenda si evince soprattutto grazie alle battute del Padre e della Figliastra. Il Padre, uomo distinto sulla cinquantina, racconta di essersi ritrovato ad abbandonare la Moglie ed un Figlio, per il bene di lei e per consentirle di crearsi una nuova vita con un altro uomo, il segretario che viveva in casa loro. Ciò nonostante, il Padre non perde mai di vista il nuovo nucleo familiare che crescerà con la nascita di altri tre figli: la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. L’equilibrio della nuova famiglia crolla con la morte del segretario. La Madre e la Figliastra si trovano quindi a lavorare presso un atelier gestito da Madama Pace la quale, insoddisfatta del lavoro della Madre, punta gli occhi sulla Figliastra e, approfittando della sua bellezza e della sua giovane età, le propone di intrattenersi con degli uomini se non vuole che la Madre rimanga senza lavoro a crescer sola quattro figli. La ragazza accetta, ma il destino vuole che un giorno ella si ritrovi di fronte, in veste di cliente, proprio il padre. Madama Pace, che di fatto è il settimo personaggio, non è in scena fin dall’inizio; evocata più volte, farà la sua apparizione quando ricreano la scena del retrobottega dell’atelier. Ella entra dall’uscio in fondo ma fa solo pochi passi verso il centro del palcoscenico. Si tratta di una donna grassa ed appare, con capelli di lana color carota adornati da una rosa fiammante. Veste un abito di seta rossa ed ha un ventaglio di piume in una mano, mentre nell’altra tiene una sigaretta accesa. Gli attori della compagnia, spaventati dalla presenza improvvisa della megera, fuggiranno dal palcoscenico, lasciando in scena la stessa e la figliastra. Inizia in tal modo la scena in cui, con una ridicola parlata mezzo italiana e mezzo spagnola, la madama annuncia alla Figliastra l’arrivo di un cliente (il Padre). Il capocomico, convinto dell’effetto della scena, la fa subito provare agli attori ma, a causa dell’eccessiva artificiosità della rappresentazione, la Figliastra scoppia in fragorose risate, convincendo il capocomico a permettere che i personaggi stessi rappresentino se stessi sulla scena, perché gli attori non sono in grado di vivere appieno le emozioni provate dai personaggi veri. La rappresentazione continua fino all’arrivo della Madre in scena la quale cerca di separare il Padre e la Figliastra per impedire che il dramma si consumi; Madama Pace se ne va. La rappresentazione si interrompe bruscamente con l’abbassamento improvviso del sipario, provocato per sbaglio dal macchinista. La rappresentazione riprende ed è ambientata, stavolta, in un giardino dove la Madre scopre la Bambina affogata nella vasca e, presa da orrore, scorge dietro un albero la figura del Giovinetto che, con occhi da pazzo e una rivoltella nascosta nella tasca, ha assistito alla scena. All’improvviso parte un colpo di rivoltella, seguito dal grido di disperazione della Madre. Allo sconcerto degli attori, che non sanno se il ragazzo sia morto o no, il Padre grida la verità di quegli avvenimenti.

 

 

PIRANDELLO Don Lolò Zirafa, il protagonista della vicenda, è un proprietario terriero ricco e taccagno, che ovunque vede nemici che vogliono depredarlo della sua roba e che, essendo di carattere piuttosto litigioso, non perde occasione di citare in giudizio i suoi presunti avversari, spendendo una fortuna in liti e facendo spesso perdere la pazienza al suo avvocato che non vede l’ora di toglierselo di torno. Dopo l’acquisto di una enorme giara per conservare l’olio della nuova raccolta, accade un fatto strano: per ragioni misteriose il grosso recipiente viene ritrovato, da nuovo di zecca, perfettamente spaccato in due, fatto questo che fa montare Zirafa su tutte le furie. La giara potrà essere riparata solo da Zi’ Dima Licasi, un artigiano del posto specializzato nella riparazione di recipienti, che si vanta di avere inventato un suo segreto mastice miracoloso, che appena ha fatto presa nulla riesce a staccare. Ma Don Lolò non si fida ed insiste affinché il conciabrocche renda più sicura la saldatura rafforzandola con dei punti di filo di ferro. Ciò colpisce profondamente l’artigiano nel suo orgoglio: convinto che i suoi meriti siano sottovalutati, egli è infatti sicuro che il suo prodigioso mastice sia più che sufficiente a fare un buon lavoro. Comunque, costretto ad obbedire al padrone ed in preda all’ira, Zi’ Dima si mette all’interno della giara per eseguire più comodamente il suo intervento. Si dimentica però che la giara è molto panciuta ma ha un collo molto stretto. Così, terminata la riparazione, resterà bloccato all’interno. Ne nasce subito una lite: Zi’ Dima vuole in ogni caso essere pagato per la perfetta riparazione, e lo Zirafa si dichiara disposto a pagarlo ma vuole essere risarcito per il fatto che per liberarlo bisognerà rompere completamente la giara. Don Lolò infatti decide di pagare il conciabrocche per il suo lavoro, non per senso di giustizia, ma per non essere in torto di fronte alla legge. Zi’ Dima non cede e, ricevuto il suo compenso, rifiuta di pagare qualsiasi risarcimento. Non sapendo come risolvere la situazione, don Lolò si rivolge per l’ennesima volta al suo avvocato che gli consiglia di liberare Zi’ Dima, altrimenti correrà il rischio di essere accusato di sequestro di personaIl parere non riceve affatto l’approvazione dello Zirafa, che ritiene Zi’ Dima responsabile di essersi balordamente imprigionato da solo nella giara, che, una volta rotta per liberarlo, non potrà più essere riparata. Il cocciuto conciabrocche, a sua volta, si rifiuta di risarcirlo affermando di essere entrato nella giara proprio per mettere i punti che don Lolò aveva tanto preteso: se si fosse fidato esclusivamente del suo mastice miracoloso, ora avrebbe la sua giara come nuova. Piuttosto che pagare, preferisce restare dentro la giara, dove dice di trovarsi benissimo; e lì infatti passerà tranquillamente e allegramente la notte, fra canti e balli dei contadini ai quali, servendosi proprio del denaro ricevuto da Don Lolò, ha offerto vino e cibarie. In preda alla rabbia, per il danno e la beffa, Don Lolò Zirafa finisce per tirare un poderoso calcio alla giara, che rotolerà andando a rompersi definitivamente contro un albero e Zi’ Dima, così involontariamente liberato, avrà partita vinta.