Gli alpini skiatori 

Neve, neve, valanghe. La prosa tacitiana di Cadorna ci ha rievocato dinanzi, nelle brevi righe degli ultimi bollettini, ciò che è il teatro della nostra guerra, durante queste ultime settimane in cui l’inverno, quasi pentito della relativa mitezza mostrata finora, si inasprisce d’improvviso e morde. Neve, neve, valanghe; un’enorme muraglia di bianchezze gelate che si leva fra gli eserciti combattenti, che si arrovescia a volte su loro, morbida e micidiale, che arresta implacabilmente con la sua impassibile gigantesca resistenza ogni impeto e ogni slancio di volontà umane

Non si arrendono perciò i nostri alpini, e continuano, qua e là, la guerriglia della montagna, a gruppi, a pattuglie, compiendo di tanto in tanto meraviglie di eroismo episodico. Se il maltempo e il gelo paralizzano le operazioni guerresche in grande stile, le avanzate in ampie linee, restano sempre, anzi debbono intensificarsi, tra l’infuriare delle intemperie, le operazioni di rifornimento e di soccorso. Dove poi gli alpini si trovano costretti all’immobilità, essi, per reagire contro la tristezza dei lunghi riposi in mezzo agli immensi campi agghiacciati, fra luci e paesaggi spettrali, ricorrono allo sport, alle esercitazioni instancabili che vivificano e mantengono le energie, che frustano ed eccitano il sangue giovanile; allo sport contro il quale Rudyard Kipling non leverebbe ora più la caustica ironia dei suoi versi, poiché è esso che ha permesso a quelli che il poeta chiamava sdegnosamente «gli imbecilli vestiti di flanella bianca» di trasformarsi così rapidamente nei magnifici soldati inglesi che destano ora l’ammirazione del mondo per la resistenza fisica e il calmo coraggio incrollabile.


Così, e per continuare la loro audace opera di guerra, in mezzo all’ostilità degli elementi, e per combattere contro la noia e il freddo delle alte cime, si diffonde sempre più fra i nostri alpini, quello che, in tempo di pace, era fra noi lo sport meno largamente usitato: lo sky. Le bellissime fotografie inviateci dal tenente B…, un giovane che nel mostrarsi artista non fa che chasser de race, ci rappresentano appunto, in vari gruppi, le maschie esercitazioni dei nostri alpini, nelle ridotte d’alta montagna.

 


Quando alcuni anni fa i primi skiatori lombardi si arrischiavano a prendere i loro primi slanci sul Pian di Bobbio; quando nelle ultramoderne season invernali svizzere, attraverso agli alti terrapieni dei grandi alberghi di Saint-Moritz, coperti e livellati dalla neve, i turisti eleganti si facevano ammirare dalle belle americanine, scagliandosi con rapidità fantastica su e giù per i pendii, in faccia ai grandi picchi adamantini che la villetta di Segantini contempla, pensosa; quando, or sono soltanto tre anni, sui declivii di Ponte di Legno, ai piedi dell’Adamello gigante, una lieta gara di gioventù italiana si disputava il primato nella difficile arte del pattino-slitta, chi ci avrebbe detto che dello sky, questo stivale dalle sette leghe nordico, diventato un divertimento di ricchi cosmopoliti, si sarebbero serviti i nostri modesti e mirabili soldatini, intenti alla difesa e alla conquista delle Alpi, finalmente ben vietate?
Oh, sono de’bei campi per gli skiatori che la natura ha preparato lassù! Altro che le graziose spianatelle ben tese dei villaggi svizzeri! Qui, in mezzo all’anfiteatro titanico formato dalle cime accavallatisi in giro, come l’estrema onda congelata d’un oceano mostruoso, vasti campi precipitano a valle, sotto il denso tappeto della neve alta due metri; e su quelli i soldati s’avviano, coi piedi ben saldati negli enormi pattini di legno arcuato.
La neve è liscia, lucente, uguale; ma in essa ben presto i pattini-slitta che hanno il profilo curvo e sporgente dell’aratro, han segnato rapidamente solchi incrociantisi d’ogni lato, sommovendola, sollevandola, tracciando sull’argenteo azzurrino della neve il mobile intreccio delle loro lunghe sottili ombre violacee. Guardate gli skiatori profilarsi, in una minuta teoria di figure nere, a sommo del declivio; guardateli scendere, tenendosi stretti in catena, giù pel fianco del monte che cade con una pendenza ripidissima; si slanciano, si attirano l’un l’altro, si sostengono, in pose oblique che sembrano delle sfide alla statica; vanno come il vento, si scaraventano come freccie, roteano come meteore, fuggono come saette. Poi la catena si spezza. Ecco gli skiatori spargersi a gruppi fra le pieghe del gran tappeto nevoso, nelle conche incavate, a piedi della negra parete di macigno che strapiomba, a perpendicolo; eccone due che si slanciano, soli, come se galleggiassero su un gigantesco fiume di latte. Fanno dello sport, quei due, o recano, quasi a volo, per valli e monti, attraverso cento pericoli, un ordine, un cenno urgente, che gioverà alla nostra guerra, che troncherà una speranza del nemico?

Chi lo sa! Forse quei due complicano l’esercizio dello sky con quello della caccia; forse è uno di loro quel cacciatore che, solidamente piantato sui lunghi pattini, col fucile sulla spalla, regge orgogliosamente due povere lepri bianche, stanate chi sa come. Ma forse anche – ohimè! – forse è uno di quei due arditi skiatori il bravo soldato che noi vediamo steso per sempre su una barella, a piedi d’un muricciolo. Colpito dalla valanga forse a mezzo d’una missione difficile, l’hanno adagiato là; i suoi compagni, commossi, presentano le armi all’intrepido skiatore che non skierà mai più; ma sul suo capo, nel vento aspro dell’alpe, fluttua il tricolore.

Visione nobile e triste; altrettanto nobile e cara, ma più lieta, è la visione che ci si presenta in un altro grazioso quadretto. Dai campi sconfinati e deserti ecco gli alpini son scesi a un villaggio, incappucciato e sepolto sotto la neve; e, con la cordialità che è propria al nostro esercito, ecco un vigoroso soldato togliere dalle braccia della nonna un bimbo di quattro o cinque anni. Non ha paura, il bel montanaretto, sodo e colorito come una mela; ride, si appoggia lietamente all’alpino; e vi è come un simbolo confortante nella fiducia serena con cui il piccolo italiano di domani sorride a quella forza amica e buona.