La Rivoluzione asturiana, promossa ed organizzata dall’U.H.P. (Uníos Hermanos Proletarios), ovvero l’alleanza delle forze socialiste delle Asturie (compresi gli anarchici della CNT), va inquadrata nell’ambito delle insurrezioni anarchiche della CNT del 1932, del gennaio e dicembre 1933, e nella cosiddetta rivoluzione spagnola del 1934, che furono tutte preludio della rivoluzione del 1936. I rivoltosi delle Asturie, alla cui testa si posero i minatori, volevano l’abolizione del sistema repubblicano, imposto con la costituzione del 1931, e la sua sostituzione con un sistema socialista.

Fu un fatto molto importante nella storia del marxismo e dell’anarchismo spagnolo, visto che portò alla nascita dell’effimera Repubblica Socialista Asturiana (518 ottobre 1934) e fu il preludio alla rivoluzione spagnola del 1936.

La campagna elettorale dell’autunno del 1933 in Spagna era stata particolarmente accesa, specie in alcune regioni, come nelle Asturie, che avevano conosciuto a partire dagli anni venti una forte sindacalizzazione della forza lavoro, costituita in gran parte da minatori.

 

La Revolución de Asturias fue una insurrección obrera ocurrida en Asturias en el mes de octubre de 1934 que formaba parte de la huelga general revolucionaria y el movimiento armado organizado por los socialistasen toda España conocido con el nombre de Revolución de Octubre de 1934 y que sólo arraigó en Asturias, debido fundamentalmente a que allí la anarquista CNT sí que se integró en la Alianza Obrera propuesta por los socialistas de la UGT y el PSOE, a diferencia de lo sucedido en el resto de España. De ahí que la forma de organización social y política de la Comuna Asturiana —nombre con el que también se conoce a la Revolución de Asturias, por sus similitudes con la Comuna de París de 1871—​ fuera la instauración de un régimen socialista3​ en las localidades donde predominaban los socialistas (o los comunistas), como Mieres, donde se proclamó la República Socialista, o como Sama de Langreo; o comunista libertario donde predominaran los anarcosindicalistas de la CNT, como en Gijón y sobre todo en La Felguera.

Fue duramente reprimida por el gobierno radicalcedista de Alejandro Lerroux, contra el que se había lanzado la insurrección por haber dado entrada en el gobierno a tres ministros del partido no republicano CEDA, recurriendo, por decisión del general Franco que dirigió las operaciones militares desde Madrid, a las tropas coloniales marroquíes —los regulares del Ejército de África— y a la Legión procedentes del Marruecos español.5​ A pesar de ser derrotada, la Revolución de Asturias se convirtió en casi un mito para la izquierda obrera española y europea, a la altura de la Comuna de París o el Sóviet de Petrogrado de 1917,6​ ya que fue la «última revolución social, bien que fracasada, del occidente europeoLa Revolución de Asturias fue una insurrección obrera ocurrida en Asturias en el mes de octubre de 1934 que formaba parte de la huelga general revolucionaria y el movimiento armado organizado por los socialistasen toda España conocido con el nombre de Revolución de Octubre de 1934 y que sólo arraigó en Asturias,1​ debido fundamentalmente a que allí la anarquista CNT sí que se integró en la Alianza Obrera propuesta por los socialistas de la UGT y el PSOE, a diferencia de lo sucedido en el resto de España. De ahí que la forma de organización social y política de la Comuna Asturiana —nombre con el que también se conoce a la Revolución de Asturias, por sus similitudes con la Comuna de París de 1871—2​ fuera la instauración de un régimen socialista3​ en las localidades donde predominaban los socialistas (o los comunistas), como Mieres, donde se proclamó la RepúblicaSocialista, o como Sama de Langreo; o comunista libertario donde predominaran los anarcosindicalistas de la CNT, como en Gijón y sobre todo en La Felguera.


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STORIA DELLA SPAGNA

http://www.homolaicus.com/storia/spagna/index.htm


L’esperienza del governo di Fronte Popolare in Spagna ha rappresentato una svolta importante nella storia del movimento comunista. Era stata preparata dal VII congresso dell’Internazionale comunista che si tenne a Mosca nell’estate del 1935 e fu accolta con entusiasmo da chi credeva che rappresentasse la conclusione della fase settaria (il cosiddetto “Terzo periodo”) che aveva facilitato l’ascesa di Hitler col rifiuto del “Fronte Unico Proletario” e con la teoria del “socialfascismo” che considerava i socialisti come pericolo principale. In realtà il Fronte Popolare non era una riscoperta del Fronte Unico Proletario teorizzato nei primi congressi dell’Internazionale comunista da Lenin e Trotskij, ma era qualcosa di diametralmente diverso: un’alleanza con forze borghesi, inevitabilmente subordinate ai loro interessi. In quegli anni in Francia e in diversi altri paesi anche extraeuropei si realizzarono o si progettarono governi analoghi, che però persero in breve tempo il consenso di settori importanti della loro base sociale, delusi dal non mantenimento delle promesse elettorali. Tuttavia nessun serio bilancio delle ragioni di quelle sconfitte fu tentata, e soprattutto la Spagna del Fronte Popolare fu trasformata in mito eroico sottratto a ogni riflessione critica.

Precedentemente c’erano state altre gravi sconfitte del movimento comunista (tra cui, gravissima e dimenticata, l’alleanza in Cina con il Kuo Mintang nel 1926-1927, che si chiuse con un tragico bilancio di centinaia di migliaia di vittime), ma erano o apparivano conseguenza di scelte sbagliate dell’Internazionale comunista, non di un deliberato intento di soffocare una rivoluzione. La vittoria di Hitler (vedi La crisi del ’29 e l’ascesa del fascismo) era la logica conseguenza di una serie di gravissimi errori, ma l’aver subordinato la dinamica della rivoluzione spagnola a una politica di collaborazione di classe non tanto con “l’ombra della borghesia” spagnola (la parte principale stava con Franco) quanto con l’imperialismo francese e britannico, era invece una scelta deliberata e non casuale, che non a caso servirà da modello al termine della Seconda Guerra Mondiale in tutti i paesi in cui si presentava una dinamica rivoluzionaria non controllabile dalla burocrazia staliniana.

Alla Spagna tra rivoluzione e guerra civile ho dedicato diversi articoli e una lunga introduzione a una raccolta di scritti di Andreu Nin da cui ho tratto il testo che segue, abbastanza sintetico ma che affronta i nodi principali. Mi scuso con chi lo avesse letto a suo tempo, ma penso che possa essere utile oggi soprattutto a quegli studenti che mi hanno recentemente domandato se è “possibile una concretizzazione dell’idea marxista che non sfoci nello stalinismo”. La Spagna è uno dei più chiari esempi di come in certi momenti una società si trovi a un bivio, e la scelta di una strada o dell’altra non è predeterminata fatalmente, ma risulta dalle decisioni prese dalle diverse forze in campo, che condizionano lo scontro tra loro. Dopo una sconfitta, sarebbe indispensabile cercare di capirne le ragioni, risalendo all’indietro e confrontando le opzioni che si erano presentate inizialmente, senza affrettarsi a concludere che chi non era stato ascoltato ed era rimasto in minoranza aveva torto. Tanto più se, come Andreu Nin, era stato prima aggredito con calunnie mostruose, poi assassinato.

Dopo un lungo declino la Spagna, che aveva perso nel corso delle guerre napoleoniche e nel decennio successivo le principali colonie americane, nel 1898 viene sconfitta dalla rivoluzione cubana e dal successivo intervento degli Stati Uniti, che si impossessano di Portorico, delle Filippine e Guam e stabiliscono un protettorato su Cuba attraverso l’emendamento Platt. La frustrazione spinge a intensificare gli sforzi per ottenere una “compensazione africana”, in particolare nel Marocco, una parte del quale viene assegnato alla Spagna nel 1906. Gli sforzi per occuparlo avranno gravi ripercussioni interne, e in particolare la “settimana tragica” di Barcellona (1909) soffocata nel sangue e coronata dalla vendetta contro Francisco Ferrer, condannato a morte come “ispiratore ideologico” della protesta contro la partenza delle truppe.

La monarchia è sempre più impopolare: è stata screditata nel corso di tutto il secolo precedente dalla mediocrità e dalla debolezza dei sovrani, a partire da Fernando VII (1814-1833). Una forte instabilità ha fatto definire il periodo successivo (1833-1875) “l’era dei pronunciamenti”. Si succedono vari reggenti, una regina, Isabella II, figlia di Fernando (1843-1868), che è passata alla storia soprattutto per una scandalosa vita privata, un fragilissimo re importato dall’Italia, Amedeo di Savoia, una breve repubblica.

La restaurazione della monarchia inizia con una dittatura che ripesca un figlio dell’odiata Isabella, Alfonso XII (1875-1885). Alla sua morte prematura, si susseguono nuove reggenze che prepararono l’ascesa al trono del figlio postumo Alfonso XIII, nato nel 1886 e che ha regnato tra il 1902 e il 1931.

La Spagna è rimasta fuori dalla prima guerra mondiale, ma conosce a partire dal 1917 una forte crisi sociale e politica influenzata dalla rivoluzione russa e dalle ripercussioni di pesanti sconfitte subite dall’esercito nel Marocco. Il movimento operaio, prevalentemente anarcosindacalista, ottiene alcuni successi, ma si scontra con una pesante repressione e frequenti assassinii di Stato, spesso camuffati con la Leydefugas, che permette di uccidere un arrestato di cui si dice che ha tentato di fuggire.

Nel 1923 inizia la dittatura del generale Miguel Primo de Rivera. Poco prima aveva annunciato la volontà di ritirarsi dal Marocco dopo una sanguinosa battaglia in cui nel 1921 era perito il generale Silvestre con tutto lo Stato Maggiore e che si era conclusa con un bilancio di 14.000 tra morti e prigionieri. In realtà, in alleanza con la Francia, l’insurrezione del Rif viene soffocata nel 1925, e l’esercito coloniale, integrato da mercenari locali, diventa un docile strumento nelle mani dei suoi generali.

In economia una serie di ambiziosi progetti idrogeologici vengono portati a termine ma con costi enormi. Il “nazionalismo economico” e “l’economia diretta” (con esplicita ammirazione per il modello fascista italiano) non impediscono la penetrazione di capitali americani, soprattutto nel settore telefonico, e una gestione scandalosa delle risorse pubbliche, che genera ulteriore malcontento nelle regioni (o meglio nazioni) più sviluppate industrialmente, i paesi baschi e la Catalogna.

Alcune misure sociali concertate con i dirigenti riformisti (come la regolamentazione del lavoro notturno) vengono presentate come la “soppressione della lotta di classe”. Gli scioperi sono comunque vietati, e i salari rimangono molto indietro rispetto alla curva ascendente dei profitti assicurati dal boom dell’economia mondiale. Anche la riforma agraria esaltata dal regime si è limitata a collocare 4.000 coloni su 20.000 ettari. Le tensioni sociali sono occultate ma non eliminate.

La stessa imitazione del fascismo rimane esteriore, senza creare un movimento di massa a sostegno del regime. Al tempo stesso gli uomini d’affari diffidavano della dittatura, che assicurava buoni affari ma era dispendiosa per l’enorme corruzione riaffiorante. La base sociale di Primo de Rivera era fragile, e si sgretolerà sotto i colpi della crisi economica mondiale. Nell’ultimo periodo si infittiscono misure repressive come l’esilio di Miguel de Unamuno, o la reclusione a Cuenca dei dirigenti studenteschi, mentre si hanno alcuni pronunciamenti militari di segno democratico e repubblicano.

La peseta calava sensibilmente, ed era sempre più evidente il discredito del governo, in cui non avevano fiducia né le masse popolari, né i circoli finanziari, né le potenze straniere. Il 30 gennaio 1930 Primo de Rivera si ritira. Morirà poco dopo a Parigi.

Nel corso del 1930 la crisi economica e sociale si aggrava. Si ricostituiscono i vecchi partiti e la maggior parte di essi si pronunciano per la repubblica. Nel dicembre 1930 una ingenua sollevazione militare e civile a Jaca proclama la repubblica e marcia su Huesca. Viene sconfitta, e due giovani capitani, Firmín Galán Rodríguez e Angel García Hernández, vengono fucilati, mentre i principali esponenti repubblicani vengono arrestati, ma si difendono accusando il re di aver violato la costituzione permettendo la dittatura di Primo de Rivera.

Il re è costretto a indire le elezioni municipali per il 12 aprile 1931. La vittoria repubblicana nelle città è così netta (anche se nelle campagne i “cacicchi” avevano assicurato con la violenza e i brogli una schiacciante maggioranza monarchica) che Alfonso XIII abbandona la Spagna. I risultati complessivi non furono neppure conteggiati.

Il 29 giugno vengono eletti i deputati alle Cortes costituenti. Il primo presidente del consiglio è don Niceto Alcalá Zamora, già ministro del re prima della dittatura, e che diventerà poi presidente della repubblica. Miguel Maura è ministro degli Interni: entrambi moderati e cattolici, dovrebbero tranquillizzare la Chiesa, che è invece ostile anche per la presenza di altri ministri fortemente anticlericali come Alejandro Lerroux, ministro degli Esteri. E’ anch’egli ormai un moderato, ma la Chiesa non dimentica il suo appello ai “giovani barbari di oggi” con cui nel 1905 aveva incitato i sottoproletari dei bassifondi di Barcellona a distruggere i templi e sollevare il velo alle novizie “innalzandole al rango di madri per virilizzare la specie”. D’altra parte di appelli di questo genere non ce n’era bisogno, perché in Spagna ogni rivolta popolare aveva incendiato chiese e conventi, simbolo dell’oscurantismo e detentori di gran parte delle terre spagnole.

Tra i ministri spiccavano Manuel Azaña, leader del partito repubblicano e brillante oratore (alla Guerra, poi da ottobre presidente del consiglio), e i socialisti Francisco Largo Caballero (al Lavoro) e Indalecio Prieto (alle Finanze).

Il partito comunista era non solo assente dal governo, ma dal paese, perché ridotto ai minimi termini dall’adesione incondizionata a ogni svolta dell’URSS. Il suo rifiuto della repubblica in nome di inesistenti soviet lo portò a raccogliere solo 100 voti a Barcellona e 200 a Madrid nelle elezioni municipali. Nel quadro del “terzo periodo” dell’IC non mancò di etichettare come “socialfascisti” e “anarcofascisti” tutti i concorrenti a sinistra.

La repubblica d’altra parte si dota di una bella costituzione (ricalcata su quella di Weimar, come sarà quella italiana del 1948) e si proclama “repubblica dei lavoratori”, ma si guarda bene dall’affrontare radicalmente la riforma agraria (quella votata dalle Cortes fu definita “un’aspirina per curare un’appendicite”), mentre a livello operaio si limita a sancire un aumento salariale già conquistato di fatto.

L’esercito non venne epurato, ma si concesse stipendio intero agli ufficiali che, non volendo giurare fedeltà alla repubblica, intendevano ritirarsi (poterono dedicarsi così a tempo e stipendio pieno a complottare contro di essa). Alcuni dei più intelligenti ufficiali reazionari rimasero in servizio, e quando uno di essi, Manuel Goded, mise agli arresti il colonnello Julio Mangada che aveva risposto inneggiando alla repubblica a un “viva España” del suo superiore, Azaña avallò la misura “contro l’insubordinazione”. Anche la GuardiaCivil, l’odiato corpo di polizia incaricato della repressione nelle campagne, non fu toccata, ma le si affiancò un nuovo corpo. le GuardiasdeAsalto, di ispirazione repubblicana, ma che presto gareggerà con la GuardiaCivil nella repressione dei moti contadini.

L’anticlericalismo forniva un surrogato radicale alla sinistra, e si manifesterà già il ai primi di maggio quando, dopo una modesta provocazione monarchica e un discorso reazionario del cardinal Segura, vennero bruciate chiese e conventi in tutto il paese.

L’autonomia concessa ai paesi baschi e alla Catalogna suscitava d’altra parte reazioni furibonde nei conservatori. Di essi si fece interprete il generale Sanjurjo, che era stato uno degli “eroi” della guerra del Marocco e capo della GuardiaCivil al momento della proclamazione della repubblica, ed era poi stato nominato alla testa dei carabineros. Sanjurjo era stato scosso dall’episodio di Castilblanco, dove la GuardiaCivilaveva tentato di impedire un comizio della CNT ed era stata sopraffatta dalla popolazione, che aveva letteralmente fatto a pezzi diverse guardie (di episodi così ce n’erano ogni giorno, con esiti vari). Il pronunciamiento,con molte complicità interne e internazionali,trionfò a Siviglia ma fu sconfitto grazie alla delazione di una prostituta a Madrid e gran parte dei congiurati furono arrestati. Era l’agosto 1932.

Nel gennaio 1933 una sommossa anarchica a Casa Viejas viene repressa con bombardamenti e fucilazioni indiscriminate (applicando la vecchia Leydefugas) dagli Asaltos. La ferocia della repressione disorientò molti repubblicani, e fu strumentalizzata dalle destre. Nell’aprile dello stesso anno le elezioni comunali suppletive vedono un grave arretramento del governo, e nell’estate Azaña deve dimettersi. In ottobre Alcalá Zamora scioglie le Cortes, che vengono rielette il 19 novembre: successo delle destre. Il mese successivo il governo viene formato da Lerroux, che era passato da tempo all’opposizione. Inizia il “biennio nero”. Nell’ottobre 1934 lo stesso Lerroux formerà un nuovo governo con la partecipazione della destra clericofascista.

Nel corso dello stesso 1934 la delusione per l’inconsistenza dei socialisti che hanno sostenuto i primi governi repubblicani aumenta e porta a una forte radicalizzazione che si manifesta anche sotto forma di astensionismo. Nascono intanto le Alianzasobreras, che sono al tempo stesso un organo di fronte unico e in certi casi un embrione di soviet (ma i comunisti inizialmente non partecipano e continuano a parlare di potere ai soviet che non ci sono…). Il 5 ottobre (un giorno dopo la formazione del governo delle destre) un movimento insurrezionale che avrebbe dovuto interessare tutto il paese esplode nelle Asturie, dove viene represso nel sangue dalla legione straniera e dai mercenari marocchini in meno di due settimane. Lo sciopero generale riesce bene a Barcellona, meno in altre zone, e viene stroncato dall’esercito. Ci sono migliaia di arresti in tutto il paese, mentre una parte degli esponenti della sinistra si rifugia in Francia.   Intanto il contesto internazionale si fa sempre più oscuro, perché la nomina di Hitler come cancelliere nel gennaio 1933 è stata seguita da un moltiplicarsi di successi delle destre estreme, con la messa fuori legge del potente partito socialista austriaco, e i movimenti eversivi delle destre estreme in Francia. La spinta verso il fronte unico per fronteggiare il pericolo fascista si rafforza in tutta l’Europa, e si intreccia con il tardivo ripensamento di Stalin, che comincia a capire la dinamica della Germania nazista, e punta a un intesa con Francia e Inghilterra, a cui può venire finalizzata la riscoperta dell’antifascismo.

Nel maggio 1935 entra al governo come ministro della guerra il leader della destra reazionaria Gil Robles, e subito dopo Francisco Franco è nominato Capo di Stato Maggiore. In dicembre tuttavia Lerroux e altri ministri sono travolti da uno scandalo finanziario (tangenti sull’autorizzazione di un nuovo gioco d’azzardo, lo straperlo) e sono costretti a dimettersi. Si forma un governo centrista presieduto da Chapaprieta, dopo la ventiseiesima crisi governativa della repubblica. Alcalá Zamora dopo vari tentativi falliti scioglie le Cortes il 4 gennaio 1936. Le elezioni sono fissate per il 16 febbraio.

Questa volta le sinistre, tutte, compreso il PCE (che dal 1932 ha come segretario José Diaz e che dopo molte oscillazioni settarie ha seguito la svolta dell’IC diventando “più repubblicano di Azaña), formano una coalizione di Fronte Popolare allargata al POUM da un lato, e ai partiti della sinistra borghese che hanno governato nel primo biennio repubblicano dall’altra. Gli stessi anarchici pur non entrando nel Fronte rinunciano al tradizionale astensionismo, poiché il programma della coalizione, estremamente moderato sul terreno sociale, prevede l’amnistia per i tanti detenuti politici in carcere dall’ottobre 1934. Sarà il segreto del trionfo elettorale.

L’entrata del POUM in un blocco interclassista determina la rottura definitiva tra Trotskij e Nin, già avviata al momento della fusione dell’Opposizione di sinistra spagnola di Nin col Blocco operaio e contadino del buchariniano Maurín nel settembre 1935. Ma il POUM, nonostante tutto, sarà dapprima bollato e poi perseguitato come trotskista dagli stalinisti.

Il FP ottiene una forte maggioranza sia come voti, sia come eletti (278 deputati contro 134 delle destre e 55 dei centristi di Lerroux – che aveva perso però perfino il suo seggio – e Alcalá Zamora). Il presidente della repubblica è costretto a dare l’incarico ad Azaña, che formò un governo composto esclusivamente da esponenti del suo partito, dell’Unione repubblicana di Martínez Barrio e di alcuni partiti autonomisti catalani e galiziani, escludendo la sinistra operaia dei cui voti aveva peraltro bisogno (i socialisti avevano 99 deputati e i comunisti 17, mentre la sinistra repubblicana di Azaña ne aveva 87 e Martínez Barrio solo 39).

Fin dal primo scrutinio il generale Francisco Franco aveva chiesto al primo ministro uscente Portela Valladares (il cui partito aveva avuto solo 16 deputati) di proclamare lo stato d’assedio per impedire al FP di insediarsi al potere. Pressioni in tal senso venivano anche dalla Falange di José Antonio Primo de Rivera, il figlio del dittatore degli anni Venti, che non era riuscito ad essere eletto e moltiplicava aggressioni e provocazioni (ad esempio incendi di chiese che attribuiva poi agli anarchici).

Si infittiscono gli incontri tra esponenti politici di destra e i generali Franco, Goded, Fanjul, Varela, Mola, che decidono tuttavia di prendere tempo.D’altra parte un capitano coinvolto nella cospirazione che tenta un’azione prematura ad Alicante viene ucciso dai suoi subalterni. Franco viene mandato a comandare la guarnigione delle Canarie e Goded nelle Baleari, ma sarà Mola, in collegamento con Sanjurjo, che si reca a Berlino per ottenere aiuti, a tessere le fila del complotto.

La folla assalta intanto le carceri liberando i detenuti prima di qualsiasi decisione governativa, e la riforma agraria, che era stata bloccata da un decreto del marzo 1935 che imponeva la restituzione dei pochi latifondi espropriati, riparte dal basso con un’ondata di occupazioni di terre. Il governo esita, e a Yeste, vicino ad Albacete, un intervento della GuardiaCivil provoca 18 morti tra i braccianti. Tutti sono scontenti, i proprietari terrieri e i capitalisti che vedono in Azaña il “Kerenski spagnolo che aprirà le porte al comunismo”, ma anche i contadini e gli operai che vorrebbero vedere qualche risultato della vittoria.

In maggio intanto il Fronte Popolare vince anche in Francia. Ad esso partecipano le principali forze borghesi, che sono state costrette ad allearsi con le sinistre per il loro indebolimento dovuto a una serie di gravi scandali, ma la base popolare che ha assicurato il successo della coalizione scavalca i dirigenti con un’ondata di occupazioni di fabbriche che sarà difficile far rientrare (una serie di concessioni successive vengono respinte dagli operai, fino a quando non otterranno ben più di quanto chiedevano a loro nome i dirigenti sindacali: le 40 ore settimanali, le ferie pagate, forti aumenti salariali, la riassunzione dei licenziati). Il PCF appoggia lo sciopero generale spontaneo per poterlo chiudere, ma dovrà fare i conti con una forte contestazione dal basso.

Anche se i dirigenti socialisti e comunisti si prodigano per fermare le lotte, come Léon Blum rivendicherà apertamente davanti a un tribunale di Vichy, la destra spagnola vede solo il pericolo di una rivoluzione socialista in Francia e in Spagna, e si decide a usare la violenza finché è in tempo. Le pur modeste concessioni di Azaña, che sanciscono quanto già si sta mettendo in pratica dal basso sul terreno della riforma agraria, dell’amnistia e delle riassunzioni dei licenziati per rappresaglia, appaiono la realizzazione di una dittatura proletaria in Spagna.

La composizione esclusivamente borghese del governo non tranquillizzava d’altra parte la destra anche perché sull’onda dello spostamento a sinistra (e per la necessità di avere l’appoggio parlamentare degli autonomisti per controbilanciare le sinistre) Azaña aveva riconosciuto le Autonomie catalana e basca.

In questa situazione incerta e pericolosa si delinea inoltre una netta radicalizzazione di una parte del partito socialista, e soprattutto di Largo Caballero, che i comunisti corteggiano definendolo il “Lenin spagnolo”. In parte è frutto di alcune letture marxiste fatte in carcere durante il “biennio nero”, in parte di una sensibilità allo stato d’animo delle masse e in particolare dei giovani che entrano in gran numero nel più forte partito della sinistra. La mancata fusione tra il partito socialista e i militanti più maturi e formati provenienti dall’Opposizione di Sinistra internazionale come Andreu Nin faciliterà una deriva massimalista ed estremista parolaia della corrente di Largo Caballero, che preannuncerà ad ogni comizio la dittatura del proletariato, pur continuando a impelagarsi in uno sterile gioco interno al Fronte popolare.

Il 10 maggio intanto Azaña lascia a Casares Quiroga la carica di primo ministro (con una formazione quasi identica) e viene eletto presidente della repubblica con 238 voti contro 5 (le destre non presentano candidati e si astengono).

Ai primi di giugno il generale Mola prende le decisioni definitive per il golpe. Il comandante dei carabineros Queipo de Llano avrebbe diretto le operazioni a Siviglia, Saliquet a Valladolid, Mola a Burgos e Pamplona (dove era stato nominato da Azaña), Villegas a Madrid, Carrasco a Barcellona. Franco e Goded sarebbero tornati in aereo per assumere il comando rispettivamente dell’armata d’Africa e della guarnigione di Valenza. Gli ufficiali più giovani sarebbero stati ricompensati con immediate promozioni o con cariche civili con stipendio equivalente.

Il 12 luglio un tenente degli asaltos, José Castillo, viene assassinato presumibilmente da falangisti. Per reazione altri ufficiali dello stesso corpo decidono di colpire il presunto ispiratore, il deputato della destra monarchica Calvo Sotelo, che viene prelevato nella sua abitazione e ucciso con due colpi alla nuca. Il governo reagisce ordinando l’arresto degli ufficiali coinvolti nella vendetta, ma ormai è stato fornito il pretesto per la sollevazione già preparata. È d’altra parte più facile l’accordo con i carlisti, che avevano esitato inizialmente a unirsi al complotto perché volevano assicurazioni maggiori sulla caratterizzazione monarchica del pronunciamiento. Il 17 luglio la rivolta viene anticipata di qualche ora a Melilla, nel Marocco, perché un’indiscrezione ha innescato una perquisizione da parte del generale lealista Romerales, che rimane però isolato e viene subito ucciso con gli altri ufficiali repubblicani. Subito dopo in tutto il Marocco la sollevazione divampa, mentre un aereo britannico noleggiato dai monarchici va a prelevare Franco nelle Canarie. Le notizie fanno scendere in piazza dovunque i lavoratori che chiedono armi, che vengono negate. Casares Quiroga annunzia anzi che qualsiasi consegna di armi senza suo ordine sarebbe stata punita con la fucilazione. Mentre il governo scopre per telefono l’ampiezza della congiura (in ogni comando rispondono con insulti e grida di ArribaEspaña!), Radio Madrid annunzia che “nessuno sul territorio metropolitano spagnolo ha preso parte a questo assurdo complotto”. Invece quasi tutta l’Andalusia è caduta nelle mani di Queipo de Llano nel corso del giorno 18 (ma la radio continua a mentire tranquillizzando i militanti che reclamano armi).

Nella flotta intanto i subalterni disarmano e destituiscono gli ufficiali che propongono di unirsi alla rivolta. La GuardiaCivil(tranne che a Barcellona e in poche altre località) passa con il grosso dell’esercito contro la repubblica. Ma i pochi ufficiali fedeli al governo disubbidiscono agli ordini di Casares Quiroga e distribuiscono armi al popolo. A Madrid e Barcellona gli insorti vengono battuti, spesso perché anarchici e socialisti suppliscono alla carenza di armi e di munizioni con la forza di convinzione, facendo appello ai subalterni trascinati nella sollevazione, e dividendo così le forze fasciste. Va notato che lo stesso presidente della Generalitat catalana, Companys, aveva rifiutato di distribuire armi ai lavoratori. Ma quando gli anarchici vinsero, li ricevette solennemente riconoscendo i loro meriti sempre misconosciuti, con un abile discorso in cui offriva loro il potere, ma in termini tali che essi rifiutarono, lasciandolo alla testa della Catalogna.

 

L’ingenuità dei capi anarcosindacalisti e socialisti si manifestò in molti altri casi, tra cui quello tragico di Oviedo, dove il colonnello Aranda giurò fedeltà alla repubblica e convinse i capi socialisti a spostare 4.000 minatori verso Madrid, per poi aderire alla sollevazione (ma il giorno dopo era nuovamente assediato da minatori e contadini di altre località delle Asturie). Nel corso della poderosa risposta popolare alla rivolta, nelle grandi città e ancor più nei piccoli centri, le notizie delle atrocità dei nazionalisti e della complicità della Chiesa (che avallava le fucilazioni a patto che si offrisse alle vittime la possibilità di confessarsi…) provocò un’ondata di incendi e saccheggi di chiese e conventi. Nulla di paragonabile alla sistematica distruzione della sinistra e allo sterminio degli stessi intellettuali indipendenti (emblematico il caso di Federico García Lorca) effettuato nei primi giorni del sollevamento dall’esercito e dai falangisti, e le cui vittime furono diverse centinaia di migliaia.

Tuttavia molti dei capi della rivolta, tra cui Goded a Barcellona, finirono nella mani della controinsurrezione popolare, mentre Sanjurjo morì il 20 luglio in un incidente aereo provocato dalla sua vanità (aveva caricato sul piccolo aereo valigie troppo pesanti con tutte le alte uniformi che avrebbe indossato come capo della nuova Spagna). Così del quadrumvirato che avrebbe dovuto reggere il nuovo regime rimasero solo Franco e Mola, quest’ultimo però bloccato in una difficile posizione nel nord della Spagna. Queipo de Llano resterà confinato in un ruolo marginale e propagandistico a Siviglia.

La debolezza del governo costringe Azaña a sostituire Casares Quiroga con Giral, che forma tuttavia un governo quasi identico al precedente che non corrisponde minimamente al clima della Spagna repubblicana. Si forma così un vero e proprio dualismo di potere, con Comitati rivoluzionari e Comuni che assumono di fatto la direzione di ogni centro, mentre gli operai occupano le fabbriche e i contadini le terre abbandonate dai proprietari fuggiti all’estero o rifugiatisi presso Franco.

Il 4 agosto una dichiarazione anglo-francese proclama il non intervento, a cui aderiscono poi ipocritamente Germania e Italia, che hanno rifornito fin dall’inizio i ribelli, e che stanno inviando aerei e truppe, e il 23 agosto anche l’Unione Sovietica. Questa si deciderà poi alla fine di ottobre a inviare armi, in quantità sufficiente per resistere ma non per vincere, dopo essersi fatta consegnare la quasi totalità delle ingenti risorse auree della Spagna (oltre 510 tonnellate di oro), che tratterrà a fine guerra, e che avevano un valore di gran lunga superiore agli aiuti presentati come “gratuiti”. Il segreto sulla consegna dell’oro verrà mantenuto gelosamente per tutta la guerra, smentendo ogni voce in proposito. Il decreto per “mettere in salvo l’oro” era stato fatto il 13 settembre, quando Madrid non era in pericolo, e fu messo in atto dal socialista di destra Negrín, che sarà su tutti i piani un prezioso complice dell’URSS (avallando perfino la versione dell’evasione di Nin). Mantenendo il segreto si consentì all’URSS di avere il monopolio delle forniture (mentre i diplomatici in Messico avevano fatto contratti per acquistare aerei statunitensi, per cui mancò il denaro), e ai comunisti di presentare come “aiuto disinteressato” quello che era un ottimo affare economico oltre che una corda al collo del governo repubblicano.

Il comportamento dell’URSS fu così ambiguo sul piano politico, e per la partecipazione di molti consiglieri all’organizzazione degli assassinii di antistalinisti, che la quasi totalità dei sovietici inviati in Spagna furono uccisi al loro ritorno in patria, mentre negli anni Cinquanta gran parte dei militanti comunisti sterminati in Ungheria e in Cecoslovacchia nel quadro e ai margini dei processi Slansky e Rejk avevano fatto parte delle brigate internazionali (fu coinvolto anche, senza conseguenze maggiori dell’allontanamento dal CC anche l’italiano Giuliano Pajetta).

La responsabilità maggiore dell’URSS e dell’internazionale stalinizzata fu in primo luogo proprio la politica di “non intervento”, proposta e attuata zelantemente dal governo di FP francese di cui i comunisti erano parte essenziale. Sotto la guida di Togliatti poi venne impostata la lotta contro i presunti trotskisti del POUM, la divisione del movimento anarchico offrendo posti di governo ai suoi capi inconsistenti e opportunisti e combattendo come complici dei fascisti le tendenze più conseguentemente classiste. In cambio del “prezioso e disinteressato aiuto sovietico” fu imposto il silenzio alle altre componenti del FP sull’operato dell’NKVD e dei suoi complici sul territorio repubblicano.

Il partito comunista assunse in prima persona il compito di liquidare le milizie in nome della disciplina (che stavano dandosi perfino quelle anarchiche e che caratterizzò fin dall’inizio quelle del POUM), ricostruendo un esercito regolare in cui i gradi più alti vennero dati a ufficiali di mestiere che alla fine avrebbero tradito: caso esemplare quello di Casado, che tentò in extremis di accordarsi con Franco. Anche prima della loro dissoluzione alle milizie non arrivarono armi, che venivano invece assegnate dagli uomini di Mosca solo alle unità controllate dal PCE o alle Brigate internazionali.

I ministri comunisti come Uribe all’agricoltura, e i consiglieri sovietici che assistevano Negrín furono i paladini dell’arretramento del FP sul terreno sociale, con una legge di riforma agraria che assegnava un grande peso ai fittavoli borghesi, e con una lotta dura contro le comuni anarchiche di Aragona e Catalogna.

Il colpo di grazia alla rivoluzione lo dà poi il colpo di mano del 3 maggio 1937 a Barcellona, e il processo staliniano tentato contro il POUM. Per farlo i ministri comunisti ispirati da Togliatti mettono in crisi il governo di Largo Caballero (in carica dal settembre 1936 ma che rifiuta di sciogliere il POUM) sostituendolo con il suo ministro delle Finanze Juan Negrín, anticomunista ma per molte ragioni disponibile a una collaborazione con i comunisti, che gli lasciano via libera in politica, e che egli ricambia chiudendo gli occhi sulle loro vendette contro gli oppositori di sinistra. I “tredici punti di Negrín”, assolutamente conservatori, furono scritti d’altra parte con la consulenza diretta di Togliatti.

A partire dalla tragedia catalana (e spagnola) del maggio 1937, una profonda demoralizzazione impedisce ogni attività di guerriglia nelle retrovie del nemico, e spezza l’entusiasmo dello stesso esercito repubblicano, in cui viene reintrodotto il vecchio codice militare reazionario. Eppure appena due mesi prima l’entusiasmo delle Brigate internazionali e il contesto politico diverso avevano permesso di sconfiggere duramente l’esercito italiano a Guadalajara. Da allora i nazionalisti collezioneranno successi nel nord e nella stessa Catalogna. La “normalizzazione” autoritaria culminerà nell’arresto di tutto il gruppo dirigente del POUM il 16 giugno 1937, e segna l’inizio della fine. Le conseguenze si vedranno fino in fondo nel gennaio 1939, quando Barcellona cadrà in mano franchista quasi senza combattere, in un’atmosfera di disperazione e di sfiducia che contrastava nettamente con l’entusiasmo con cui il 19 luglio 1936 aveva piegato le preponderanti forze dei ribelli.

Il comportamento dell’URSS e di chi ne seguiva ciecamente le direttive ha molte spiegazioni. In primo luogo, soprattutto nel corso del primo anno, pesava la necessità di raggiungere un accordo antitedesco con le borghesie di Francia e Gran Bretagna, a cui si garantiva il “senso di responsabilità” dell’URSS e del Comintern, cioè un forte impegno per arginare la dinamica rivoluzionaria in Spagna e in Francia. Al tempo stesso l’uso propagandistico degli aiuti serviva sul piano internazionale ma anche all’interno dell’URSS (dove milioni di lavoratori sottoscrissero per pagare le armi da dare alla repubblica, già strapagate con l’oro della Banca di Spagna) per far dimenticare o giustificare lo sterminio dei dirigenti dell’Ottobre 1917 nel corso dei processi di Mosca. Nell’ultima fase tuttavia la progressiva rarefazione degli aiuti e il ritiro delle Brigate internazionali è stato interpretato a posteriori con l’inizio delle trattative segrete con la Germania che culminarono nell’agosto 1939 nel Patto Ribbentrop-Molotov, ma che erano all’ordine del giorno dal settembre 1938, quando apparve che tutte le concessioni sovietiche non avevano indotto Francia e Inghilterra ad assumere una posizione ferma nei confronti di Hitler, a cui diedero via libera verso est nella Conferenza di Monaco.

Inutile dire che se le “democrazie occidentali” avevano gravi colpe, la soluzione di concedere a Hitler tempo, materie prime preziose, e la sicurezza per quasi due anni sul fronte orientale, fu un rimedio peggiore del male. L’accordo facilitò l’inizio della seconda guerra mondiale e la sconfitta prima della Polonia, poi della Francia. Il silenzio dell’URSS e dei partiti comunisti sui crimini nazisti, il cinismo della spartizione dell’Europa orientale concordata con Hitler nei “protocolli segreti” annessi al patto, la deportazione e lo sterminio di centinaia di polacchi e di baltici, nonché la consegna alla Germania di migliaia di antifascisti tedeschi e austriaci nel 1940, confermano che l’URSS non si preparava alla guerra antifascista, e rendono indifendibile quella scelta, a cui, per giunta, fu sacrificata anche la repubblica spagnola, dopo aver liquidato la rivoluzione.

Un’ultima considerazione, di non minore importanza, è quella fatta allora da Trotskij e ripresa dopo la guerra dai sopravvissuti del POUM: Stalin temeva un successo di una rivoluzione libertaria e non manipolabile, che avrebbe potuto rappresentare un punto di riferimento alternativo e credibile nel movimento operaio europeo. Il mancato bilancio di quella catastrofe faciliterà poi la riproposizione della stessa tattica dei “due tempi” alla resistenza italiana, francese, greca, ecc. (con l’unica eccezione della Jugoslavia, che non considerò invalicabili gli accordi detti “di Yalta” e dimostrò che era possibile vincere). Il comportamento verso le rivoluzioni jugoslava e cinese, dapprima osteggiate e con cui Stalin e i suoi successori arrivarono a scontrarsi, fornisce un’ulteriore conferma a questa ipotesi.

da Antonio Moscato

 

4 MAGGIO 1937: STRAGI DI BARCELLONA

Nel capoluogo catalano si susseguono sempre più serrati e convulsi gli scontri a fuoco tra le formazioni del PSUC, la sigla che raccoglie i comunisti catalani e le squadre degli asaltos e della guardia civil inviate dal governo di Valencia da un lato; e i miliziani anarchici e soprattutto le columnas del Partit Obrer d’Unificació Marxista, il POUM, che si è collocato alla sinistra dei comunisti “ufficiali” ed entro cui aleggiano anche tendenze trotzkiste, dall’altro. È esploso in tutta la sua forza il conflitto politico da tempo latente in tutta la Repubblica, ma soprattutto qui in Catalogna, tra il Fronte Popolare e le correnti più radicali del movimento operaio; conflitto che la Generalitat, il governo locale, è riuscito sinora a stento a contenere in nome dell’autonomia che la regione reclama. Nella mattinata di ieri, le forze governative hanno dato l’assalto alla Telefónica, la centrale dei telefoni controllata dagli anarchici della Confederación Nacional del Trabajo (Cnt) e dal comitato operaio qui insediatosi, come in quasi tutti gli impianti produttivi e le fabbriche di tutta la regione dal luglio dell’anno precedente. Da Plaza de Catalunya gli scontri si sono estesi a tutta la Rambla e intorno all’Hotel Falcón, dove il Poum ha il suo quartier generale, ma le contrapposte barricate sono ormai sorte in tutta la città, mentre i governativi fanno affluire soprattutto via mare numerose truppe di rinforzo per soffocare quella che ormai dalla propaganda dei comunisti viene definita una sollevazione filofascista dei trotzkisti “agenti di Franco”. La posta che in maniera sempre più esplicita sta entrando in gioco non solo qui a Barcellona ma in tutta la Repubblica, è quella fondamentale del comando sulla condotta politico-militare della guerra e sull’assetto presente ma anche a guerra finita delle istituzioni economiche e sociali del paese.

Alle spinte egualitarie e collettiviste, in gran parte degli anarchici, che hanno prodotto nella fase iniziale della lotta contro il pronunciamento dei militari in tutta la Spagna, ma soprattutto qui in Catalogna (dove tutto, dalle grandi proprietà terriere alle botteghe dei barbieri è stato collettivizzato) un’ondata rivoluzionaria senza precedenti, si va sostituendo il tentativo, da parte dei comunisti e dei sempre più numerosi esponenti del Comintern qui accorsi, di arrivare a una più normale “democrazia progressiva”, sulla quale però la dirigenza del PCE e soprattutto gli agenti moscoviti abbiano la possibilità di esercitare un controllo ferreo. È un processo ormai in atto in tutto il sempre meno esteso territorio della Repubblica. La stessa costituzione delle Brigate Internazionali e il loro ruolo nella guerra, che pure tanto hanno contribuito alla salvezza di Madrid, e che su questo conflitto lasceranno comunque l’impronta di un’epopea e di un eroismo senza quasi precedenti, possono essere lette come un tentativo in questo senso. Lo scontro con il POUM, che pur minoritario ha un ruolo politico-militare non indifferente e un certo prestigio internazionale (tra le sue file milita, per esempio, George Orwell), diventa subito strategico e viene condotto in prima persona da Orlov, il capo-missione della NKVD, la polizia segreta stalinista che agisce in piena autonomia e senza rispondere del suo operato in alcuna sede. Esauritisi gli scontri di piazza, scatterà un ferocissimo meccanismo di repressione. Verranno per esempio brutalmente assassinati due anarchici italiani, Francesco Barbieri e Camillo Berneri. Quest’ultimo aveva avuto un notevole peso critico nei confronti dei tentativi di “normalizzazione” della società catalana. Numerosissimi gli arresti e le sparizioni di militanti e di miliziani del POUM, che sarà in poco tempo messo fuorilegge. Nel confronti del suo capo, Andreu Nin, eliminato in segreto e il cui corpo non verrà mai ritrovato, verrà messa in atto una ferocissima campagna di diffamazione che lo indicherò all’opinione pubblica come un mostro al servizio di Franco e del fascismo internazionale. Qualche mese prima, Nin aveva scritto sulla Battala, il giornale del suo partito, che “…i lavoratori hanno sconfitto il fascismo e stanno combattendo per il socialismo…In Catalogna esiste già la dittatura del proletariato…la nostra rivoluzione è più profonda di quella che aveva scosso la Russia nel 1917…