Fra i protagonisti della Rivoluzione francese e del Terrore nessuno è così tragicamente e ambiguamente affascinante come Saint-Just.

Gli storici contemporanei gli affibbiarono, dopo la scomparsa, diversi appellativi: Arcangelo della morte, Giovane atroce e teatrale, Mostro, Tigre. Qualcuno di questi studiosi, con un vivo gusto per il macabro, giunse ad affermare che il più giovane protagonista della Rivoluzione francese amasse indossare un paio di pantaloni confezionati con la pelle di una fanciulla che si era dimostrata insensibile al suo fascino. 

Di certo Saint-Just condusse una vita privata esattamente agli antipodi di quella di Robespierre, al quale lo legava una forte affinità politico-ideologica: egli si fece notare nei salotti della borghesia radicale; si procurò la fama di dongiovanni; si prese anche una rivincita tardiva sul notaio Sigrade-Gellé di Blérancourt, che anni prima lo aveva rifiutato come marito della figlia Thérese: quest’ultima rispose prontamente all’invito della sua antica fiamma, divorziando dal marito e raggiungendo a Parigi il suo Louis Antoine, il quale però, nel frattempo, aveva iniziato una piccola storia d’amore con Henriette Lebas, sorella di un giacobino molto vicino a Robespierre. 

A 22 anni, all’alba della rivoluzione, era già tra i tribuni più decisi e estremisti. Il suo eloquio fatto di frasi brevi e taglienti, di una retorica asciutta e incisiva, gli fece subito guadagnare un posto di primo piano tra le fila della rivoluzione. Nel 1789 pubblica un poema libertino in 20 canti e 2 volumi, il contenuto è così spinto che si disse, avrebbe potuto scandalizzare persino il marchese De Sade. Ma Saint-Just non è solo uomo di impulsi e di azione. Ha alle spalle, malgrado la giovane età e gli studi interrotti, una preparazione teorica di tutto rispetto, tanto che a 24 anni pubblica uno scritto teorico politico in cui si avverte la forte influenza di Montesquieu: si chiama Lo spirito della rivoluzione e della costituzione di Francia, dove pronuncia parole polemiche nei confronti di Rousseau. Di Montesquieu Saint Just acquisisce il metodo, sembra assorbirne anche lo spirito liberale, ma è un’acquisizione di superficie, in breve tempo, infatti,  la sua vera natura piega i temi montesquieiani verso orizzonti che superano il moderatismo, inserendoli dentro il contesto rivoluzionario. 

Saint-Just, come Montesquieu, loda il ruolo positivo dei parlaments e dei corpi intermedi nella struttura dell’antico regime, ma poi introduce un punto di rottura nel discorso: siccome la nobiltà, dice, si è dimostrata incapace di essere all’altezza di quel ruolo sociale che ne aveva legittimato l’esistenza essa merita di essere spazzata via dalla rivoluzione.

Saint Just viene eletto deputato nel 1792: sostiene la necessità di mettere a morte Luigi XVI affermando che “Non si può regnare innocentemente; ciascun re è un ribelle e un usurpatore”. È il principio fondatore della filosofia totalitaria. Non si è dei nemici oggettivi per quello che si fa o per come lo si fa ma per ciò che si è.  Non si fanno più prigionieri: o si è con la rivoluzione e con il suo spirito o si è suoi nemici mortali.

“Io dico che il re deve essere giudicato come un nemico – dice Saint-Just – che dobbiamo combatterlo piuttosto che giudicarlo e che, non rientrando egli nel contratto che unisce i francesi, le forme della procedura non si trovano nella legge civile ma nella legge del diritto dei popoli […] Gli uomini che stanno per giudicare Luigi hanno una repubblica da fondare: ma coloro che attribuiscono una qualche importanza alla giusta punizione di un re, non fonderanno mai una repubblica […] cosa non temeranno da noi i buoni cittadini, vedendo la scure tremare nelle nostre mani, e vedendo un popolo che fin dal primo giorno della sua libertà rispetta il ricordo delle sue catene? ”. 

“Che cosa c’è in comune tra Luigi e il popolo francese, perché gli si usi- no dei riguardi dopo il suo tradimento? […] Non si può regnare senza colpa. Ogni re è un ribelle e un usurpatore. Gli stessi re tratterebbero diversamente i loro pretesi usurpatori? […] […] Luigi è uno straniero fra noi: non era cittadino prima del suo delitto, non poteva votare, non poteva portare le armi; lo è ancor meno dopo il suo delitto […] ”. 

Saint Just è anche membro del Comitato di salute pubblica e mentre si lega con Robespierre, collaborando con lui alla messa a punto di interventi legislativi, presta servizio come commissario dell’esercito in Alsazia e in altre zone di guerra, contribuendo, con spietatezza, a riportare disciplina nell’esercito fino alla vittoria di Fleurus.

Nel 1794 è eletto presidente della Convenzione: può così promuovere l’atto d’accusa contro gli hebertisti e dare l’affondo contro Danton (montagnardo).

 Il 24 febbraio pronuncia il discorso in difesa del Terrore, descritto come strumento per arrivare alla democrazia sociale. Il suo ideale, tratteggiato nei suoi frammenti sulle istituzioni repubblicane, uscito postumo nel 1800, è quello di una società ideale di piccoli coltivatori e artigiani indipendenti retta da un governo rivoluzionario basato sul binomio terrore-virtù.

Vi era in questa visione anche il frutto di un’esperienza diretta: fino al 1792 Saint-Just si era diviso fra Parigi e Blerancourt dove aveva vissuto l’esperienza della rivoluzione contadina dell’ 89. Una società di eguali dipendenti solo dalle leggi, cui si doveva garantire la sussistenza. Da qui i decreti voluti da Saint Just sull’assegnazione ai patrioti bisognosi dei beni di persone sospette

Saint Just sognava una società morale, retta dall’amicizia e dalle virtù civiche. Scettico che questo risultato fosse il frutto di un’evoluzione spontanea della società, aveva pensato alla creazione di comitati speciali, di sorveglianti della morale: un modello sociale tra Sparta e Roma repubblicana senza tuttavia l’armonia di una tradizione e del mos maiorum ma con l’imposizione violenta dell’ideologia

Del resto Saint Just aveva dato prova di essere un esaltato anche nell’esposizione accesa delle sue teorie alla Convenzione. Molte di queste erano decisamente bizzarre: obbligare tutti i fanciulli a un regime vegetariano; bandire dalla Francia tutti coloro i quali non avevano amici; proibire alla fanciulle vergini di camminare sole per strada; sciogliere d’ufficio tutti i matrimoni che dopo sette anni non avevano generato figli.

È proprio di questo rigorismo che si nutre la stagione del terrore che vede Robespierre e Saint Just, appunto, come arcangeli della morte all’opera.

I due personaggi furono accomunati anche dal tragico destino: Saint Just e Robespierre saliranno sul patibolo il 28 luglio (termidoro) del 1794, assieme ad altri giacobini.

 

 


ARTICOLO DI CODA RIZ GIORGIA CRISTINA DELLA CLASSE IV A DEL LICEO CLASSICO